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1 Impostazione generale della ricerca

1.3 Tratti caratteristici di calchi e sintagmi fissi

1.3.2.2 I calchi sintattici

scena, parola d’ordine (1989:24)? Cosa dire dell’espressione a cielo aperto studiata da Marco Fantuzzi (2003:243-248)? Serianni li chiama calchi sintattici, mentre Benincà propenderebbe per sintagmi fissi. Concludiamo dicendo che in questa ricerca, l’espressione calchi sintattici è stata riservata alle strutture produttive, mentre si è preferito utilizzare quella di sintagmi fissi per le strutture sintattiche non produttive del tipo indicato da Serianni o Fantuzzi. Qui sarà opportuna un’ultima osservazione: il processo che può, in date circostanze, rendere accettabili i calchi sintattici, è valido anche per i sintagmi fissi, mediante la loro diffusione, solo che in quest’ultimo caso gran parte del paradigma resta invariato. In altre parole non si ha produzione paradigmatica, ma ripetizione.

1.3.2.2 I calchi sintattici

L’altro sottotipo del calco è costituito dai calchi sintattici. L’espressione calco sintattico aggiunge alle definizioni di prestito e di calco lessicale già date, due altri elementi. Il calco sintattico (come i sintagmi fissi) appartiene alla sintassi (e non al lessico o alla morfologia16), e, contrariamente ai sintagmi fissi, è produttivo. Abbiamo quindi chiamato una struttura sintattica straniera, calco prima che ne sia stata appurata la produttività; calco sintattico se è stato comprovato che la struttura è produttiva e soddisfa gli altri criteri propri ai calchi sintattici17. In base a tali criteri, rientrano in questa categoria i calchi sintattici, i calchi sintattici patrimoniali rinforzati e i calchi sintattici patrimoniali funzionali come indicato nel

§ 1.7.1.

In sintesi, viene definita calco sintattico l’assunzione da una lingua straniera (prestito) di una struttura sintattica produttiva precedentemente assente in italiano standard, [risolvibile, da un punto di vista semantico e funzionale, nei suoi elementi costituenti (calco)]. Ad esempio, l’occorrenza chi fa cosa?, dopo un’analisi volta a verificarne l’origine esclusivamente straniera (<who does what/who’s who = struttura a doppio fuoco di interrogazione estranea all’italiano), potrà essere considerata inizialmente come un calco. Se l’analisi dei corpora

16 In pratica tuttavia, nell’identificazione e nella descrizione dei prestiti, i confini della sintassi si mescolano da un lato con quelli della morfologia, dall’altro con quelli della semantica.

17 È opportuno precisare che numerosi sono i modelli di classificazione dei calchi a seconda degli obiettivi dei ricercatori (che poi si traducono nella ricerca di questo o quel tratto caratteristico). I criteri da soddisfare per classificare un dato costrutto diventano allora i limiti entro cui vengono elaborate e vagliate le ipotesi di ricerca.

È indubbio che altre definizioni dei calchi esistono, ma si è resa necessaria una loro cernita e ridefinizione rigorosa affinché la classificazione rispondesse agli obiettivi della ricerca. È poi vero, che in ogni ricerca su fenomeni di lingua, anche nelle singole classificazioni ci troviamo all’interno di un continuum e che alcuni fenomeni si configurano come casi borderline che non è facile classificare. Nella trattazione delle singole forme, questo tipo di preoccupazioni emergono con maggiore chiarezza.

rivela che è all’origine di costrutti con uno spettro paradigmatico vario (come chi mangia che cosa) sarà considerato un calco sintattico, in caso contrario si tratterà di una delle categorie descritte al § 1.7.1.

1.3.2.3 Produttività

Come osserva Massimo Fanfani: “Da qualche tempo […] gli anglicismi, anche quelli più marginali o quelli ancora in fase di ambientamento, vengono di solito inclusi a piene mani, e a cadenze sempre più ravvicinate, direttamente nei dizionari generali dell’italiano […]”

(2003:155). Da questa tentazione non è esente neanche il campo dei calchi sintattici, con l’aggravante che ci si può effettivamente trovare di fronte ad un fenomeno endogeno attribuito indebitamente all’influsso di un modello alloglotto. Prima che un calco possa essere definito calco sintattico invece, è necessario vagliare diversi fattori (cfr. § 1.7.1), il più importante dei quali è la sua produttività.

Seguendo l’intuizione di Benincà, (1993) la produttività viene definita in questo lavoro come la capacità, da parte del costrutto di assumere uno spettro paradigmatico vario nell’italiano standard, conservando la struttura sintagmatica importata. È questa caratteristica che ha spinto Benincà a usare la parafrasi schemi strutturali produttivi accanto a quella di calchi sintattici. In questa definizione di produttività, la modifica della struttura sintagmatica importata passa in secondo piano in quanto si tratta in realtà di una tappa secondaria dell’acclimatazione. Quando infatti una tale struttura fa parte della lingua (di cui testimonia lo spettro paradigmatico vario), può accadere che alcuni locutori la adattino alle loro necessità comunicative e laddove ciò è avvenuto nei costrutti analizzati, lo si è segnalato.

Quindi, nel nostro studio, si lega la definizione di una tipologia linguistica alla sua produttività. Normalmente, nella definizione degli elementi della sintassi, la capacità di riproduzione paradigmatica (la produttività) viene data per scontata. Per i calchi sintattici, è invece necessario tenerne debito conto in quanto è proprio la loro produttività che li qualifica come tali. Come per le strutture endogene, le strutture straniere vivono se i parlanti le giudicano funzionali alle loro necessità comunicative. Come per le strutture endogene che sono già accessibili ai parlanti, quelle esogene, come tutti i prestiti, attraversano una fase ‘test’

in cui può essere determinante l’adozione da parte di un’istituzione dotata di una certa autorevolezza (Fantuzzi 1995:485) o il contributo dei media. Secondo chi scrive, la prova del superamento di questa fase di test è appunto la produttività. Ma quali sono i tratti caratteristici della produttività? Come descriverla concretamente?

A tale proposito Sarah G. Thomason (2001:68) osserva che è necessario distinguere tra prestiti temporanei e permanenti. La differenza tra i due è più sociale che linguistica. Una volta che un locutore avrà prodotto una data struttura, sarà infatti superfluo chiedersi se quest’ultima è possibile nella lingua considerata. La frequenza della struttura invece (e quindi il suo impiego da parte di altri locutori) è legata più a fattori sociali che linguistici. Secondo Thomason infatti non è sufficiente registrare l’esistenza di un singolo elemento preso in prestito per parlare propriamente di ‘prestito’.

Ad esempio, se dovessimo tradurre la frase:

(11) Thomason’s intuition is correct con

(12) * di Thomason l’intuizione è corretta

staremmo riproducendo in italiano approssimativamente lo stesso ordine sintattico usato in inglese per esprimere la possessione, mantenendo la preposizione di di fronte al proprietario, ma posticipando l’elemento posseduto. Avremmo dunque creato una struttura assente in italiano e riconducibile all’influsso del modello alloglotto.

Tuttavia, anche se abbiamo creato una nuova struttura riconducibile all’inglese in italiano standard, si tratta ancora di un calco temporaneo che, per diventare permanente, deve soddisfare tutte e tre le condizioni seguenti:

- la struttura è impiegata da utenti diversi;

- la struttura è frequente18;

- la struttura non è solamente impiegata nelle traduzioni invisibili (cfr. § 1.5.1.3), ma anche in italiano standard (cfr. § 1.5.1.1).

18 Intuitivamente, una struttura deve diventare frequente per trasformarsi in calco permanente. Nella pratica però, quello che si debba intendere per ‘frequente’ è difficile da definire e misurare, in quanto ogni singola struttura grammaticale endogena ha una frequenza propria. La situazione diventa ancor meno facile da gestire quando la struttura considerata appartiene a una lingua straniera ed è relativamente recente. In questo caso, l’assenza di studi diacronici sulla forma considerata, rende estremamente arduo misurarne la frequenza. Infatti, è difficilissimo stabilire sincronicamente se una data struttura si stia espandendo, stia scomparendo o mantenendo una frequenza stabile. È quindi necessario ridimensionare la pretesa ad una misurazione della frequenza facendo riferimento ad un numero di occorrenze che avrà valore solo all’interno e ai fini della ricerca considerata (cfr.

3.a.i del § 1.7.2 per ulteriori dettagli).

Thomason menziona solo le prime due condizioni. Nel nostro lavoro invece si è ritenuto opportuno aggiungere anche la terza sulla quale spenderemo ora qualche osservazione:

nonostante la struttura venga utilizzata da locutori qualitativamente diversi (condizione no 1) e quantitativamente rilevanti ai fini della ricerca (condizione no 2), può darsi che questa sia solamente dovuta all’influsso della lingua straniera in una particolare situazione storica o in un particolare campo del sapere. È quindi necessario appurare la presenza del costrutto in contesti di italiano standard (non influenzato dalle lingue straniere) prima di classificare il costrutto come calco sintattico.

Può infatti avvenire che, nonostante la forte presenza di calchi sintattici in una data area della lingua caratterizzata da un forte influsso straniero (il caso tipico è quello dell’italiano delle traduzioni), gli utenti non riproducano le strutture in standard per svariate ragioni (perché portano il marchio straniero, perché non funzionali al di là del contesto di contatto che li genera, ecc.). In questi casi, visto che la struttura non valica i confini di questi ambiti linguistici, non si tratterà di produttività in standard, ma in un ambito spazio-temporale ben delimitato. Per quei costrutti invece produttivi in standard, la produttività nel lungo periodo entra in conflitto con l’altra caratteristica precipua dei calchi sintattici: l’inaccettabilità linguistica. La produttività infatti implica l’incremento nell’uso della struttura inaccettabile (cfr. componente statistica dell’italiano standard, § 1.5.1.1). Se in seguito a questo incremento la struttura inaccettabile (nel tempo t0) non sarà più avvertita come estranea all’italiano, la produttività risulterà nell’accettabilità (nel tempo t1) come illustra la Figura 1 - Distinzione tra sintagmi fissi e calchi sintattici. In questo senso, si può dire che la produttività è inversamente proporzionale all’inaccettabilità. Da un punto di vista statistico, queste strutture cessano di essere inaccettabili quando l’uso o la sensibilità degli utenti ne sancisce l’appartenenza a quella varietà astratta chiamata italiano standard.