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Un seul monde Eine Welt Un solo mondo

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Academic year: 2021

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(1)

Eine Welt

Un solo mondo

COOPERAZIONE

www.dsc.admin.ch

1,3 miliardi di giovani nei

paesi in via di sviluppo –

un’opportunità unica

Cuba, mezzo secolo di

rivoluzione castrista

Combattere la corruzione

(2)

Sommario

DSC

FORUM

GIOVENTÙ E SVILUPPO

Nuove visioni per cogliere un’opportunità unica

Attualmente nei paesi in via di sviluppo vivono 1,3 miliardi di giovani – mai prima d’ora vi è stato un momento più propizio per investire nella gioventù

6

Delhi, Nairobi, Tirana, Managua

Quattro ritratti di giovani donne

10, 14

Una casa della speranza

Un progetto realizzato nella provincia pakistana del Punjab mostra quanto sia importante l’impegno a favore dell’infanzia e della gioventù

12

CUBA

Mezzo secolo di rivoluzione castrista

Cuba è il paese che tutti credono di conoscere – tanto sono solide le immagini correlate al suo nome: Fidel Castro, i sigari, la musica, le spiagge… Ma la realtà è ben diversa

16

Dall’Avana, un giorno qualunque

Dalla sua terrazza la giornalista Marta María Ramírez osserva la lotta quotidiana dei cubani confrontati con immense difficoltà economiche

20

Cogliere un’opportunità storica – ora!

Per il direttore della DSC Walter Fust, i giovani sono partner e attori responsabili del processo di sviluppo

21

Burkina Faso: formazione professionale, un puzzle in costruzione

In questo paese dell’Africa occidentale, la Svizzera sostiene l’introduzione dell’apprendistato di tipo duale

22

Mosca, Zurigo o Bogotà: la corruzione esiste ovunque

La lotta alla corruzione riveste nell’ambito della cooperazione allo sviluppo la massima priorità - anche per la DSC

26

Una vita da cane

La scrittrice vietnamita Phan Thi Vang Anh ci racconta le disavventure di un caseggiato disturbato dai latrati notturni di un cane

29

Danze sufi e feste berbere a Ginevra

Il Marocco vanta una grande varietà di musiche e danze – alcune delle quali potranno essere ammirate nell’ambito del festival organizzato dagli Ateliers

d’ethnomusicologie di Ginevra

30

Editoriale 3

Periscopio 4

Dietro le quinte della DSC 25

Che cos’è… lo Human Development Index? 25

Servizio 33

Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

Uno sportello, molti servizi

Gli «One-stop Shops» lanciati in Vietnam dalla DSC hanno avuto un’affermazione rapidissima

24

DOSSIER

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Al nostro ultimo numero avevamo allegato l’opuscolo «La Svizzera e il mondo». L’analisi presentata in que-sto depliant rende un’idea differenziata dell’impronta lasciata dalla Svizzera nella vita politica ed economica, nella società e nella cooperazione internazionale. L’eco da parte vostra, gentili lettrici e lettori, è stato incredi-bile, e le vostre ordinazioni numerosissime. Sembra insomma che, affrontando il tema, abbiamo davvero colmato una lacuna esistente nel campo dell’informa-zione.

La gioventù è un periodo specifico della vita, una fase di transizione durante la quale da bambini diventiamo adulti, attraversiamo le confusioni dell’insorgente ses-sualità, da esseri dipendenti diventiamo autonomi e ci prepariamo ad assumere, da lì in poi come adulti, la responsabilità per le nostre azioni, la società e i figli. Da giovani siamo ancora liberi nella mente e nel cuore, ab-biamo il senso della giustizia e inseguiamo sogni che in seguito, purtroppo, spesso abbandoniamo. Siamo tutti stati giovani e – chi più, chi meno – ab-biamo maturato le nostre esperienze. Negli anni Ottanta scandivamo nei cortei studenteschi di Zurigo «Vista libera sul Mediterraneo». A quei tempi ero stu-dente e seguivo da vicino il movimento stustu-dentesco e i disordini giovanili della città sulla Limmat. La gioventù è spesso la miccia che mette in moto un processo evo-lutivo sia sociale che economico. Non è un privilegio dei giovani svizzeri e sicuramente neppure di questa epoca, ma è da sempre un privilegio della gioventù. A Cuba, per esempio, nel 1953, Fidel Castro, all’età di 27 anni, si rivoltò contro il regime corrotto di Batista

(v. pag. 16 la nostra scheda di approfondimento dedi-cata a Cuba). A pagina 20 potete invece scoprire i pen-sieri che oggi frullano per la testa alla giornalista cu-bana Marta María Ramírez.

Nella maggior parte dei nostri paesi partner vivono più giovani che adulti. In Svizzera e nei paesi industrializ-zati in generale si constata invece un’evoluzione con-traria: stiamo invecchiando eccessivamente. Ma sia qui che là, al potenziale e alla fantasia della gioventù nessuna società può rinunciare. La DSC vuole perciò rendere produttivi la forza della gioventù in Svizzera e, soprattutto, il potenziale della gioventù nei paesi part-ner (v. pag. 21).

Anche la conferenza annuale della DSC, che si terrà il 14 settembre, porrà la gioventù al centro dell’atten-zione. In quell’occasione saranno conferiti dei premi promozionali a cinque progetti di sviluppo presentati da giovani. La consegna dei premi sarà effettuata dalla patrocinatrice di quest’evento, la consigliera federale Micheline Calmy-Rey, che discuterà inoltre con i gio-vani presenti diverse questioni inerenti allo sviluppo e alla posizione della Svizzera nel mondo.

Buona lettura! Harry Sivec

Capo Media e comunicazione DSC (Tradotto dal tedesco)

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worldmapper

.org

Funzionari fantasma

( jls) Il Senegal ha intrapreso una caccia ai truffatori attivi nella funzione pubblica. I ministeri della Sanità e dell’Istruzione hanno effettuato un censimento del loro personale a livello na-zionale. Secondo quanto scaturi-sce da questa indagine, le casse dello Stato pagano migliaia di funzionari che nemmeno si pre-sentano più sul luogo di lavoro, ed in certi casi da molto tempo. Inoltre, numerosi medici hanno abbandonato i dispensari delle zone rurali per andare ad ope-rare nelle cliniche private della capitale, ciononostante, segui-tano a percepire un salario dallo Stato. Ed infine, funzionari ma-lati o invalidi seguitano ad essere pagati anche se ormai da molto tempo hanno cessato ogni loro attività. Pratiche di questo tipo non si verificano solo in Senegal. Nel Niger, un’inchiesta ha stabilito che 4,6 miliardi di FCFA (11,5 milioni di franchi svizzeri) sono versati ogni anno a funzionari fittizi. Nel Mali, 3000 agenti pagati nel gennaio del 2006 risultavano, ad un controllo personale, irreperibili. Infine, oltre 4 mila truffatori sono stati smascherati in Camerun, e ciò dovrebbe con-sentire allo Stato di risparmiare l’equivalente di 12,5 milioni di franchi svizzeri all’anno.

Pesci sì, ma non di mare

(bf ) Il tema «pesce» è uno di quelli che trova ecologisti e po-litici dello sviluppo in profondo conflitto: gli ecologisti vorreb-bero un blocco completo della pesca; i politici dello sviluppo guardano all’Obiettivo del mil-lennio, che pretende, entro il 2015, di dimezzare il numero delle persone che vive in stato di estrema povertà e grave denutri-zione. In questa ottica, il pesce è spesso l’unica fonte di proteine animali per milioni di persone nei paesi in via di sviluppo.

Stephen Hall, direttore del World

Fish Center, propone un radicale

cambiamento di approccio al problema: il pesce non dovrà più essere pescato dai mari, bensì prodotto in sistemi controllati di acquicoltura, nei laghi, stagni o nelle regioni costiere. In tutto ciò Stephen Hall vede un enorme potenziale: nel 1970, soltanto il 6 per cento del pro-dotto ittico proveniva da acqui-coltura; nel 2006 si era già al 30 per cento. Secondo recenti stime, entro il 2020 il 50 per cento del pesce consumato sarà prodotto in sistemi di acquicol-tura, e di cui il 90 per cento nei paesi in via di sviluppo.

Una nuova cartografia

(bf ) Si tratta di carte geografi-che, ma non come le cono-sciamo finora. Bensì di una serie di cosiddetti cartogrammi

glo-bali che non indicano le dimen-sioni geografiche dei paesi, ma i fattori che, proporzionalmente al loro valore, risultano rilevanti per lo sviluppo: dalla sanità al reddito pro capite, ricchezza, tra-sporti, diffusione dell’aids, pro-dotti alimentari, armi nucleari e fino al consumo di acqua pota-bile, comunicazione ed inquina-mento. Al progetto comune

Worldmapper

(www.worldmap-per.org) dell’Università di Sheffield (GB) e di quella del Michigan (Usa) lavorano da anni ricercatori dei più svariati set-tori, che realizzano centinaia di nuovi cartogrammi. «Certi pro-blemi si possono spiegare, anche comprovare e articolare in tabelle», dice, a proposito dei cartogrammi, il professor Danny Dorling dell’Università di Sheffield, uno degli iniziatori del progetto: «Tuttavia, soltanto

P

eriscopio

(5)

REA / laif

Carenza d’acqua? Talvolta basta un serbatoio!

(bf ) L’Africa è visto come un continente arido, in realtà ha un livello di precipitazioni pro capite più elevato di quello eu-ropeo.Tuttavia, la pioggia cade spesso in maniera diluviale, causa

con metodi semplici ed efficaci, raccogliere la pioggia e mettere così al sicuro dalla siccità molte regioni dell’Africa. Uno studio del Centro e del Programma dell’Onu per l’ambiente UNEP arriva alla conclusione che il Kenya – che conta poco meno

maggiore. In un progetto-pilota dell’UNEP, nella regione di Kisamese, a sudest di Nairobi, donne Massai hanno raccolto acqua in semplici contenitori, in mini serbatoi o in pentole d’ar-gilla. In tal modo, queste donne si risparmiano le quotidiane quattro ore di cammino per raggiungere il pozzo più vicino e l’acqua raccolta può essere usata per innaffiare gli alberi, i cespugli e magari anche per un piccolo orto.

Colpiti i più fragili

(bf ) Il clima subisce cambia-menti, e l’attività umana vi con-tribuisce grandemente: di questo gli scienziati sono nel frattempo giunti a mostrare unanimità. Tuttavia, chi è maggiormente colpito da questi cambiamenti?

sviluppo, che determinano la cagionevolezza di certi gruppi sociali alle prese con le conse-guenze dei cambiamenti clima-tici. Il risultato: nei paesi in via di sviluppo non tutte le persone sono in ugual misura colpite dal fenomeno. Le conseguenze di certe crisi sono perlopiù ampli-ficate dalle esistenti disparità so-ciali, come mostrano analisi ef-fettuate in Nicaragua e Tanzania: come ad esempio l’ineguale di-stribuzione del benessere o, al-l’interno di questi paesi, le condi-zioni di accesso al sistema delle assicurazioni sociali, ai beni di base, quali ad esempio l’approv-vigionamento idrico o sementi di elevata resistenza. È così che i cambiamenti climatici colpi-scono soprattutto i socialmente più fragili tra i poveri.

(6)
(7)

REA / laif

Nuove visioni per

cogliere un’opportunità

unica

Il mondo di domani appartiene ai giovani. Come sarà questo

mondo viene però deciso sin da oggi. È dunque essenziale non

dimenticare che le prospettive per il futuro sono strettamente

legate alle opportunità e possibilità date oggi all’infanzia e alla

gioventù – e non solo nei paesi in via di sviluppo – in materia di

formazione, lavoro e partecipazione. Di Gabriela Neuhaus.

Khyber, un villaggio di montagna nella regione del Karakorum in Pakistan. I bambini e gli adolescenti hanno mete e sogni, come ovunque nel mondo. «Vorrei diventare pilota e fare qualcosa per il mio villaggio», afferma il dodicenne Golan. Il suo com-pagno di banco vuole andare in città e diventare ingegnere, un altro medico; una ragazza vuol di-ventare maestra, la sua amica dottoressa.

Anche il diciassettenne Stéphane, che frequenta il liceo a Man, una città della Costa d’Avorio segnata dalla guerra civile, sa cosa vuol fare. Ma per que-sto dovrà lottare con determinazione: per poter pa-gare la retta scolastica cerca, infatti, di racimolare qualche franc lavorando nel tempo libero come venditore ambulante. E se gli si presentasse l’oc-casione, vorrebbe lasciare il paese, dove non vede alcuna prospettiva: andar via, come tanti coetanei – possibilmente in Europa.

Un momento molto favorevole

I giovani costituiscono attualmente a livello mon-diale la fascia di popolazione maggiore. Infatti, metà della popolazione mondiale ha meno di 25 anni. Nel mondo le probabilità di sopravvivenza di bambini e adolescenti sono fortemente miglio-rate a partire dagli anni 1950 grazie ai progressi in campo sanitario e alimentare. Ciò ha determina-to un aumendetermina-to della popolazione giovane. Mentre la crescita della popolazione nei paesi in-dustrializzati, nonché in diversi paesi emergenti quali la Cina o la Tailandia, è fortemente diminuita, Stati come l’India o i paesi dell’Africa australe con-tinuano a registrare una notevole eccedenza delle nascite. In combinazione con una speranza di vita tuttora minore rispetto a quella del Nord, ciò fa sì che la quota dei giovani sotto i 25 anni rappre-senti in diversi paesi il 70 per cento della popola-zione, se non addirittura di più.

Complessivamente, secondo le statistiche dell’O-NU, nei paesi in via di sviluppo vivono circa 1,3 miliardi di giovani dai 12 ai 24 anni. A loro e al loro futuro la Banca mondiale ha dedicato il suo ultimo rapporto sullo sviluppo. «Il momento di in-vestire nella gioventù dei paesi in via di sviluppo non è mai stato così propizio come oggi», scrive Paul Wolfowitz nella sua prefazione al Rapporto sullo sviluppo 2007.

Opportunità e rischi

Invece di «così propizio» avrebbe benissimo po-tuto scrivere «così urgente». Secondo l’Unesco, 103 milioni di bambini continuano a non fre-quentare la scuola, di cui il 96 per cento vive nei paesi in via di sviluppo. Si stima che 800 milioni di giovani, soprattutto nei paesi del Sud e dell’Est, vivano con meno di 2 dollari al giorno. Ma la di-soccupazione e la povertà giovanile stanno au-mentando notevolmente anche nei paesi indu-strializzati. Ciononostante gli economisti della Banca mondiale parlano di una finestra tempora-le unica nella storia per quanto riguarda la demo-grafia: «Le opportunità sono enormi, dato che molti paesi dispongono di più manodopera qua-lificata con meno familiari a carico. Questi giova-ni devono però essere preparati bene affinché pos-sano creare e trovare degli impieghi», ha spiegato il capo economista della Banca mondiale François Bourguignon in occasione della pubblicazione del rapporto nel settembre 2006.

In altri termini: se oggi non si interviene subito, questa opportunità unica andrà perduta. Solo se si creeranno le necessarie premesse per l’attuale generazione di giovani, queste annate numerose saranno anche in grado di fare il necessario per rea-lizzare il grande balzo in avanti. La Banca mon-diale menziona cinque settori nei quali

promuo-Cos’è la gioventù?

La gioventù è la fase della vita tra l’infanzia e la matu-rità. Spesso si ricorre an-che al concetto di adole-scenza. I limiti di età precisi entro i quali scorre dipen-dono molto dalla cultura e dal contesto culturale. L’ONU definisce come gio-vani le persone comprese fra i 15 e i 25 anni. Ma questi limiti non sono as-soluti. Sempre l’ONU di-stingue, infatti, inoltre fra adolescenti (13 a 19 anni) e giovani adulti (20 a 24 anni), mentre la Conven-zione ONU sui diritti dell’in-fanzia riferisce il termine di fanciullo ai minori dagli 0 ai 18 anni. Il Rapporto sullo sviluppo pubblicato dalla Banca mondiale definisce i giovani come persone dai 12 ai 24 anni.

Circostanze di vita

A dipendenza del contesto socio-culturale, gli adole-scenti vivono in situazioni molto diverse: in certi casi i bambini devono assicurarsi il sostentamento sin dalla più tenera età, in altri i gio-vani ricevono un sostegno dalla famiglia fin verso i 30 anni. Mentre nei paesi oc-cidentali l’età in cui ci si sposa continua a salire, in altre società continuano a essere all’ordine del giorno i matrimoni fra adolscenti. Molte ragazze diventano madri fra i 14 e i 18 anni.

(8)

Riehle / laif

Jörg Böthling / agenda

vere il potenziale giovanile: formazione, lavoro, salute, pianificazione familiare ed esercizio dei diritti di partecipazione.

Partner da prendere sul serio

Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo que-sta attenzione alla promozione dell’infanzia e del-la gioventù non è una novità.Tuttavia, per molto tempo questa classe d’età non è stata considerata come un gruppo a sé stante, bensì sempre come parte di una famiglia, della struttura di un villag-gio, ecc. Ciò è cambiato solo col passare del tem-po.

Un primo processo di sensibilizzazione era stato avviato nel 1985 con l’anno internazionale del fan-ciullo indetto dall’ONU. Nel 1989 l’ONU ha quindi varato la Convenzione sui diritti dell’in-fanzia per tutelare i minori - ratificata oggi da tut-ti i paesi membri. In moltut-ti paesi questa conven-zione ha segnato l’avvio di una legislaconven-zione spe-cifica a tutela dei minori.

Un’altra innovazione, ancor più recente, concer-ne l’accesso delle agenzie di sviluppo ai giovani. Ora non sono solo percepiti come un gruppo a sé stante, ma sono anche presi sul serio in quanto partner. Il nuovo approccio si riflette d’altronde anche nel rapporto della Banca mondiale

men-zionato in precedenza, alla cui elaborazione han-no contribuito oltre mila giovani di 26 paesi in via di sviluppo: insieme loro, gli esperti hanno elabo-rato un rapporto che si basa sulle esperienze con-crete nei vari paesi e può servire come base per i futuri miglioramenti. I giovani stessi si esprimono su temi come la formazione o la ricerca di un la-voro, formulando nei confronti dei governi e del-le agenzie di sviluppo critiche e attese fondate sul loro vissuto personale.

Partecipazione attiva

Un passo più in là si spingono i progetti e i pro-grammi che non solo ricercano le esperienze e le opinioni dei giovani interessati, ma li coinvolgo-no attivamente nell’elaborazione e nell’attuazio-ne. «Le nostre esperienze mostrano in modo sem-pre più chiaro che la partecipazione della gioven-tù è irrinunciabile per il cambiamento sociale e la democratizzazione», ha spiegato Wolfgang Jessen, a suo tempo pianificatore specializzato dell’agen-zia tedesca di cooperazione GTZ per i progetti in favore della gioventù, in occasione del convegno specialistico di Eschborn nel 2003.

Nell’ambito di un progetto realizzato dalla GTZ in Sudafrica, si combinano per esempio dal 1997 la prevenzione della violenza e la promozione del-la gioventù: giovani donne e uomini di quartieri urbani trascurati fruiscono di una breve forma-zione come «Community Peaceworkers». Quindi svolgono per un anno lavoro di volontariato. Du-rante questo periodo, il progetto offre loro un orientamento professionale e corsi, per esempio di inglese economico o informatica. Dei 450 giova-ni che finora hanno partecipato al progetto, l’80 per cento ha trovato un impiego fisso dopo l’an-no di volontariato. Nel contempo, nei quartieri interessati, il tasso di criminalità è notevolmente sceso.

La partecipazione attiva non deve però essere

pra-«Più tardi si vedono le cose in modo più appropriato, in perfetto accordo con tutta la società umana, ma la giovinezza rimane l’unico periodo nel quale si è im-parato qualcosa.»

Marcel Proust, «Alla ricerca del tempo perduto»

«Il mio amico ha chiesto all’insegnante: Perché stu-diamo questo vettore? L’insegnante ha risposto: Per passare l’esame».

Nepal

«Una delle mie vicine è una ragazza intelligente, ma non può frequentare la scuola perché sua madre non ha le 250 lempiras ne-cessarie per pagare l’iscri-zione».

Honduras

«La partecipazione è tal-volta scomoda perché devi imbrigliare il tuo ego e pensare agli altri».

Argentina

«Ci dicono sempre che siamo il futuro, ma noi siamo frustrati perché non ci lasciano essere il pre-sente».

Argentina

«Lo studio è solo per la gente di una casta superio-re e non per qualcuno come te».

Nepal

«L’insegnante dà da inten-dere che insegna, lo sco-laro dà ad intendere di im-parare, e lo Stato dà da intendere di aver svolto il suo compito».

(9)

Michael Riehle / laif Silke W e rn et / laif Ta tlow / laif

ticata solo dai più poveri: per i giovani di tutto il mondo esistono innumerevoli possibilità di forni-re un contributo per affrontaforni-re le sfide globali che si pongono a questa nuova generazione – per esempio nell’ambito di un anno di soggiorno in un altro paese, di attività sociali o di progetti co-muni.

Con l’aiuto di manifestazioni informative e cul-turali, nonché di un concorso, la DSC vuole su-scitare anche nei giovani in Svizzera un impegno nel campo della politica di sviluppo. Esistono, del resto, numerose piattaforme in internet che con-sentono ai giovani di tutto il mondo di scambiar-si su questioni relative al futuro e alla politica di sviluppo.

Qualità e non quantità

Non è la prima volta che in una situazione diffi-cile si punta sulla generazione successiva.Affinché l’opportunità unica chiamata in causa dagli eco-nomisti della Banca mondiale non si traduca in un fiasco è necessario che il mondo politico, il mon-do economico e le organizzazioni di sviluppo in-vestano come non mai.

I giovani nei paesi in via di sviluppo sono parti-colarmente assillati da problemi come la povertà, l’aids e l’emigrazione. Molti non vanno a scuola

perché mancano i soldi. Molti sono orfani perché i genitori sono morti di aids oppure perché la struttura familiare si è disgregata da quando i ge-nitori cercano la fortuna all’estero.

I bambini che crescono nelle aree di guerra non conoscono nessuna sicurezza, sono minacciati sul piano fisico e della sopravvivenza, subiscono abu-si come bambini soldati ed altro ancora. Su que-sti bambini e adolescenti gravano ora le speranze di un futuro migliore. Una grande sfida che pre-sume un impegno altrettanto grande a ogni livel-lo. Per questo non è richiesto solo un aumento quantitativo dei mezzi, ma soprattutto anche un cambiamento a livello qualitativo: sono richieste nuove visioni. Il cammino imboccato verso un maggiore coinvolgimento della gioventù è certa-mente giusto. Ma occorre di più.■

(Tradotto dal tedesco)

Offerta formativa

Nell’ambito del tema an-nuale della DSC «Gioventù e sviluppo», la Fondazione Educazione e Sviluppo e Alliance Sud hanno elabo-rato su mandato della DSC un’offerta di formazione sul tema «Gioventù e lavoro». Lo strumento didattico è destinato alle scuole pro-fessionali e consente ai do-centi di elaborare il tema in aula in un contesto globale considerando gli sviluppi dell’economia mondiale. Le studentesse e gli studenti non imparano solo a con-frontare le differenze fra la loro situazione lavorativa e quella dei giovani dell’Est e del Sud, ma anche a indivi-duare e analizzare i paralle-lismi e le similitudini. Attraverso un cambiamento di prospettiva sviluppano la comprensione per altri mondi del lavoro e altre cir-costanze di vita. Il sussidio didattico è corredato da diversi strumenti: fra l’altro, delle cartoline con fotogra-fie di diverse situazioni lavo-rative, un questionario che consente agli studenti di la-vorare da soli, un sito web, nonché un set di filmati scelti per elaborare le tema-tiche «Lavoro in generale», «Il lavoro qui e altrove» e «Mercato mondiale del la-voro».

Lo strumento didattico sarà disponibile da metà novem-bre presso: Fondazione Educazione e Sviluppo, Via Breganzona 16, 6900 Lugano, tel. 091 966 14 06; www.globaleducation.ch

(10)

Nel 2010 si terranno nella capitale indiana i Gio-chi del Commonwealth. Per quell’occasione Del-hi dovrà essere al massimo splendore. Nel pro-gramma rientra lo smantellamento delle bidonvil-les, fra le quali quella di Jamunapushta. Kusum Dikshit racconta: «Improvvisamente arrivarono queste grandi macchine e tanti poliziotti. Dovem-mo fare i bagagli e andarcene. Distrussero tutto, le nostre case…», e avrebbe anche potuto aggiunge-re, «...e i nostri vicoli». Infatti questi stretti passag-gi con i canali di scolo delle acque luride hanno fatto di Kusum ciò che è oggi: una «maestra di da». L’ONG Navjyoti aveva creato le scuole di stra-da per i bambini che non frequentavano la scuola. Le ragazze più mature giocavano con loro per due ore al giorno. E Kusum è cresciuta proprio così. I genitori si erano trasferiti a Jamunapushta nel 1991, da un villaggio dell’Uttar Pradesh. Nel 2004 la famiglia, che nel frattempo contava sei membri, dovette traslocare insieme ad altri 150 mila abitanti della bidonville. Si ritrovò a Bawana, in pieno cam-po, a quaranta chilometri dal centro, un luogo che il governo chiama eufemisticamente «colonia re-sidenziale». Su una parcella di 18 metri quadrati ri-costruì la propria capanna.Il trasloco ha fatto matu-rare Kusum. Grazie all’insegnamento di Navjyoti, la bambina di strada è diventata una maestra di strada.

Nozze a fine dell’anno

Nel tempo libero crea centrini all’uncinetto. For-se per abbellire la casa? Il fratello Ravinder la con-testa ridendo, mentre Kusum arrossisce: «Vuole fare una buona impressione al suo fidanzato». Tra non molto si sposerà. Il prescelto è un lontano cu-gino rimasto al villaggio. Ma perché tanta fretta? A Bawana si registra una forte criminalità legata alla droga e alla prostituzione, perciò è meglio che una giovane sia sposata.

Ma Kusum vuole rimanere maestra di strada e vuo-le inoltre diventare una «vera» maestra. Fino al ma-trimonio rimarrà a casa. Il padre lo vede di rado, è «a Delhi», dove vende cherosene facendolo scor-rere da un barile issato su un carretto di legno. Cosa ne pensa della povertà? «A tratti provo rabbia. Per-ché siamo poveri e altri no? Ma alla Gali School vedo molti bambini che sono ammalati o senza ge-nitori. Sono talmente tanti quelli che hanno ancor meno di me! Allora non invidio più la gente che ha di più».■

Testo e fotografie di Bernard Imhasly, corrispondente dall’Asia con sede a Delhi,India,per il quotidiano NZZ (Tradotto dal tedesco)

Abitanti di Delhi 14 milioni Tasso di alfabetizza-zione 86 per cento Speranza di vita 69,9 anni Tasso di disoccupazione 2,8 per cento

Reddito mensile medio

1250 franchi svizzeri

Kusum Dikshit, 17 anni, Delhi:

«Non ci restò che fare i bagagli

e andarcene»

(11)

Bathore? Liljana guarda imbarazzata il pavimento. Qui non ci sono molte possibilità: «Nessun centro giovanile, nessuna palestra, solo sale da tè dove gli uomini anziani ammazzano il tempo giocando a carte», ci dice. Perciò preferisce rimanere a casa se-duta davanti al televisore. Liljana e le sue amiche hanno una passione: le telenovela latinoamericane. La serie televisiva più popolare in Albania è «Na-talia»: racconta la storia di una ragazza che cresce in un mondo di intrighi, mal d’amore e tristezza. Liljana frequenterà ancora per due anni la scuola media. Ma per il futuro non ha grandi sogni, vista la miseria economica.Ama i libri di Stefan Zweig e le storie sentimentali dello scrittore e umanista italiano Edmondo De Amicis. Un giorno vorreb-be diventare poliziotta.Forse è il sogno tipico di una donna in una società dominata dagli uomini.■

Testo e fotografie di Elsa Demo, giornalista presso il quotidiano albanese Shekulli a Tirana, ed Enver Robelli, redattore del Tages Anzeiger a Zurigo

(Tradotto dal tedesco)

Quindici anni fa Bathore era ancora una grande distesa con prati e campi. Nel frattempo qui, alla periferia di Tirana,è sorta una città satellite.Le case, solitamente di un piano, sono disposte alla rinfusa nel paesaggio come se fossero dei mattoncini Lego. Una bidonville. La terra dei ceceni, come gli abi-tanti che risiedono da tempo a Tirana chiamano con disprezzo i connazionali del nord fuggiti dal-la miseria economica per insediarsi a Bathore. 50 mila persone vivono in questo quartiere di Tirana, a poco meno di sette chilometri da Piazza Skan-derbeg con la sua illuminazione multicolore. An-che la famiglia di Liljana Gjonkolaj dovette ab-bandonare casa e fattoria in un villaggio nei pres-si di Tropoja, a poca distanza dalla frontiera con il Kosovo. «A causa dell’acqua e della povertà», affer-ma la taciturna diciassettenne. Lo sconsiderato di-sboscamento aveva causato nel Nord una siccità che provocò lo spopolamento di interi villaggi. I gio-vani uomini sono emigrati verso l’Europa occi-dentale. Come i due fratelli di Liljana che ora la-vorano in Germania e sostengono la famiglia con delle piccole rimesse. Grazie all’aiuto, a Bathore il padre Dodë ha potuto incominciare a costruire una casa che fa l’orgoglio di tutta la famiglia.

Intrighi, mal d’amore e tristezza

Come trascorre un’adolescente il tempo libero a

Abitanti di Tirana 600 mila Tasso di alfabetizza-zione 89 per cento Speranza di vita 69 anni Tasso di disoccupazione 15,4 per cento

Reddito mensile medio

200 franchi svizzeri

Liljana, 17 anni, Tirana:

«Nessun centro giovanile, nessuna

palestra, solo sale da tè»

(12)

Jef

fr

ey L. Rotman / Still Pictur

es

(gn) In fondo, i bambini e gli adolescenti della pro-vincia pakistana del Punjab sono fortunati. La loro fortuna ha un nome: Faiza Asgher, pediatra e con-sulente del presidente del governo in materia di af-fari giovanili. L’impegno di Faiza Asgher è desti-nato in particolare a promuovere i più poveri fra i poveri e il risultato tangibile del suo lavoro in que-sto ambito è l’«Ufficio per la protezione e il be-nessere del fanciullo» (Child Protection & Welfa-re BuWelfa-reau; v. anche il testo a lato), che ha aperto i battenti nel 2005 a Lahore.

Secondo le stime,nella città – che conta cinque mi-lioni di abitanti –, vivevano allora in strada 10 mila minori, molti dei quali costretti a cavarsela men-dicando o svolgendo lavori occasionali. Il centro offre loro per la prima volta protezione, consulen-za e la possibilità di frequentare una scuola, non-ché di acquisire i primi rudimenti di diverse pro-fessioni.

Al momento vivono presso il centro 250 maschi e

47 femmine. Fra loro anche gli adolescenti Aslam e Tariq, entrambi venduti da piccoli negli Stati del Golfo, dove avevano lavorato per quasi dieci anni come cammellieri. Fanno parte dell’esigua schiera dei 656 ex jockey rimpatriati in Pakistan, dei qua-li non è stato possibile finora individuare le fami-glie. Perciò vivono per ora nel centro di Lahore, dove ricevono assistenza e una formazione.

Un approccio integrale

Sostenuti non sono solo i minori senza genitori. L’«Ufficio per la protezione e il benessere del fan-ciullo» offre anche servizi alle famiglie che vivono in condizioni economiche disagiate. Per esempio aiutandoli con crediti e consulenze. Inoltre, offre assistenza sanitaria e psicologica ai bambini e agli adolescenti, e assicura un servizio giuridico; gior-no e gior-notte a disposizione dei migior-nori c’è pure una help line telefonica, mentre in quattro piccoli Open

Reception Centres sparsi in tutta la città i minori

In Pakistan la cooperazione svizzera si impegna con vari

partner a favore dell’infanzia e della gioventù. Quanto sia

importante questo impegno e cosa sia in grado di ottenere, lo

dimostra un esempio realizzato nel Punjab.

Una casa della speranza

La metà della popola-zione ha meno di 18 anni!

Con oltre 150 milioni di abitanti il Pakistan è uno dei paesi più popolati del mondo. Circa la metà dei suoi abitanti ha meno di 18 anni. Benché il Pakistan sia stato fra i primi paesi a firmare nel 1990 la Convezione dell’ONU sui diritti dell’infanzia, molti mi-nori vivono in condizioni precarie: il lavoro minorile continua a essere ampia-mente diffuso, i minori sono venduti all’estero come schiavi, molti si dro-gano, sono sfruttati ses-sualmente, e in pratica non hanno accesso alle cure sanitarie e alla formazione.

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Ilyas Dean / images.de / Still Pictur

es

Sinopictur

es / Maciej Dakowicz / Still Pictur

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possono trovare temporaneamente protezione e tranquillità.

Come per esempio il tredicenne Abdul Razzak. Giorno dopo giorno, in particolare durante le fe-stività religiose, vende sacchi di plastica nelle vici-nanze di un famoso tempio. Con ciò guadagna un po’ di denaro, che deve bastare a nutrire sé stesso, le due sorelle e la madre. Non frequenta la scuola,

Dal programma del pro-getto pilota «Child Protection & Welfare Bureau», Lahore

Alcuni fanciulli hanno i genitori – altri no. Alcuni fanciulli dormono a casa – altri nelle strade. Alcuni fanciulli sono amati dai genitori – altri subi-scono abusi.

Alcuni fanciulli frequentano la scuola – altri devono la-vorare o mendicare. Alcuni fanciulli diventano medici, ingegneri e ufficiali – altri sono destinati a una vita da mendicanti, criminali o prostitute.

Diamoci la mano per aiutare gli «altri» meno fortunati a vivere una vita migliore!

ma si reca regolarmente in uno degli Open

Recep-tion Centres. Alla domanda perché venga qui,

Ab-dul risponde: «Per giocare e per riposare un po’ – e per ricordarmi che sono ancora un bambino». Dalla sua apertura il centro ha già assistito oltre 10 mila bambini.Al momento, in un modo o nell’al-tro sono sotto la sua protezione circa 3500 mino-ri. «Oggi a Lahore non ci sono praticamente più bambini di strada», ha constatato la collaboratrice della DSC Chloé Milner in occasione della sua ul-tima visita sul posto nel marzo del 2007. «Ciò che il centro ha raggiunto in breve tempo grazie al-l’impegno personale di Faiza Asgher è assoluta-mente eccezionale».

La pediatra ha fatto del progetto pilota statale un vero e proprio progetto modello. L’obiettivo è ora di aprire, grazie alle esperienze maturate finora, centri simili in altre province, per esempio nella

North West Frontier Province (NWFP), dove la DSC

già opera prioritariamente.

I diritti e la loro attuazione

Il progetto pilota di Lahore si fonda sulla Legge a favore dei minori nel bisogno e trascurati, varata dalla provincia del Punjab nel 2004. L’elaborazio-ne delle basi legislative per la protezioL’elaborazio-ne dei mi-nori, nonché la loro attuazione sono temi centrali del programma dell’Unicef in Pakistan, che la DSC sostiene dal 1996.

Un importante pilastro di questo programma è co-stituito dal «Girl Child Project», realizzato per la prima volta nel 1991 dall’Associazione pakistana per la pianificazione familiare in collaborazione con l’Unicef. Il suo scopo era di attirare l’attenzione

della popolazione, e in particolare delle ragazze e delle giovani donne che in Pakistan sono tuttora pesantemente discriminate, in merito ai loro dirit-ti, offrendo loro un addestramento o una forma-zione di base, segnatamente nel campo dell’inse-gnamento, del pronto soccorso o in vari mestieri artigianali.

Il progetto, sostenuto dal 2001 anche dalla DSC, è

nel frattempo stato esteso a 730 comuni di tutto il Pakistan. Secondo le statistiche, nel corso degli incontri sono stati informati sui diritti delle fan-ciulle oltre 100 mila donne e uomini, mentre mi-gliaia di ragazze hanno frequentato corsi nell’am-bito del programma. Oltre 30 mila giovani donne hanno svolto un cosiddetto «Leadership Training» e insegnano oggi ai bambini o lavorano nei centri di pronto soccorso.

Oltre a collaborare con l’Unicef, la DSC parteci-pa a un progetto dell’Organizzazione internazio-nale del lavoro (ILO) per la lotta contro il lavoro minorile. Inoltre sostiene una ONG pakistana at-tiva nel campo della tutela di minori in situazioni difficili. Dal 2009 questi tre progetti per la gioven-tù saranno armonizzati e proseguiti nell’ambito di un programma mantello comune per i «Diritti dei fanciulli» (Child Rights). L’obiettivo di questo pro-getto pilota lanciato dall’ONU è di sviluppare al meglio i vari impegni complementari fino a otte-nere un programma integrale efficiente al servizio dell’«infanzia vulnerabile».■

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«Le donne lavorano forse un po’ più lentamente, ma meglio e con maggiore precisione degli uomi-ni». Miriam Mwangare Muirore lo afferma riden-do e nessuno dei compagni apprendisti presso il

St. Vincent Vocational Center la contraddice. Ha 18

anni, frequenta il secondo anno di tirocinio come elettricista e, non appena avrà racimolato il dena-ro necessario, intende aggiungervi un terzo anno perché: «Voglio il diploma».

Miriam proviene da una tipica famiglia di Riruta, un quartiere della straripante bidonville Kawang-ware nella capitale keniota Nairobi. Sua madre ha allevato da sola i cinque figli svolgendo lavori oc-casionali. I due fratelli maggiori e una sorella sono sposati. Miriam vive con il gemello John e la ma-dre in una piccola capanna di lamiera: una tenda separa il vano delle donne da quello degli uomini, la luce proviene da una lampada a cherosene, l’ac-qua viene portata in casa con una tanica.

Alla sera ripara le radio

Miriam si ricorda benissimo delle reazioni delle amiche, quando lei si era iscritta a un programma di borse di studio finanziato dalla Svizzera e offer-to dalla piccola scuola per bambini poveri e orfa-ni dell’aids della bidonville:«Tutte mi dicevano:una donna elettricista? Impossibile!» La scuola la sosten-ne e le assegnò una borsa per i due usuali anni di

tirocinio; per il terzo (che conduce al diploma) do-vrà provvedere lei stessa. Poco tempo fa Miriam e i suoi compagni apprendisti dovettero posare cavi in un nuovo edificio. Il committente chiese ai ma-schi se si erano portati appresso anche una ragaz-za per farsi preparare il tè. «Gli ho risposto per le rime», racconta Miriam, «mi aveva davvero man-data su tutte le furie. Come se le donne fossero solo capaci di lavorare come parrucchiere o sarte!» Di tempo libero non gliene rimane molto.Alla sera ripara le radio insieme al suo gemello: «È stato lui a contagiarmi, quando eravamo ancora piccoli», spiega Miriam. Il denaro che racimolano lo usa-no per il ménage comune.E come la mettiamo con la discoteca? «Oh, la discoteca! La sera qui non si può più uscire », dice Miriam sistemandosi con un gesto spigliato il ciuffo che sporge dal berretto, «troppo pericoloso. Inoltre non ho soldi da spen-dere. Sto risparmiando per il terzo anno e ho an-che bisogno di attrezzi per metter su un’azienda, la mia propria azienda».

Testo e fotografie di Peter Baumgartner, dal 1994 al 2004 corrispondente dall’Africa con sede a Nairobi per il quotidiano Tages-Anzeiger di Zurigo

(Tradotto dal tedesco)

Abitanti di Nairobi 2,8 milioni Tasso di alfabetizza-zione 85 per cento Speranza di vita 55 anni Tasso di disoccupazione 40 per cento

Reddito mensile medio

87 franchi svizzeri

Miriam, 18 anni, Nairobi:

«Una donna elettricista?

Impossibile!»

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No, non avrebbe mai pensato di avere un figlio alla sua età, dice Rossaura, una nicaraguegna alla soglia dei 17 anni di Ciudad Sandino, una città dormito-rio che sta crescendo a dismisura alle porte di Ma-nagua. Ora, a due mesi dalla nascita della figlia Dia-na, la sua vita è completamente cambiata. Ma in famiglia non è un’eccezione. Anche la ma-dre Martha aveva avuto la prima figlia a 16 anni. E tre delle migliori amiche di Rossaura hanno già un bebè o sono incinte. Non crede alla pillola. Quel-la è veleno per il corpo. Non ha mai pensato di abortire perché avrebbe avuto dei rimorsi. È stata battezzata secondo il rito cattolico e,di tanto in tan-to, va a messa.

Ogni tanto il padre invia del denaro

Con trenta gradi all’ombra, la giovane madre cul-la il bebè nelcul-la sedia a dondolo nel giardinetto da-vanti alla casa dei genitori. L’arrivo di Diana le ha fatto cambiare i piani: ha dovuto interrompere la scuola media. Ma già l’anno prossimo vuole ritor-nare sui banchi: frequenterà per tre anni di sabato una scuola per studenti lavoratori. Già sua madre aveva fatto così fino a conseguire il titolo di agro-noma.Anche Rossaura vuole diventare ingegnere: «Un figlio non è certo di ostacolo alla formazione professionale».

Rossaura ha avuto fortuna: Reynaldo, il

diciotten-ne padre di Diana,non ha voltato le spalle alla com-pagna non appena la piccola ha visto la luce. L’a-veva d’altronde già accompagnata quando fece il test di gravidanza. Poco dopo il parto, la coppia è andata a convivere. Rossaura conobbe Reynaldo, il suo primo amore, quando aveva quindici anni. Oggi al suo fianco con consigli e aiuto vi sono le nonne della piccina.

Il padre di Rossaura emigrò anni fa in Canada. Di tanto in tanto invia del denaro alla figlia, per esem-pio per un corso d’inglese. I giovani genitori non si vedono spesso. La mattina il partner di Rossaura studia marketing, il pomeriggio suda le sette pro-verbiali camice in un mercato di Managua, dove i suoi genitori possiedono una bancarella. Rossaura è certa di voler sposare Reynaldo. Ma secondo la legge nicaraguense dovrà aspettare di aver com-piuto i 18 anni e quindi di essere maggiorenne.■

Testo e fotografie di Richard Bauer, corrispondente dall’America latina del quotidiano NZZ

(Tradotto dal tedesco)

Abitanti di Managua 1 milione Tasso di alfabetizza-zione 77 per cento Speranza di vita 70 anni Tasso di disoccupazione 7 per cento

Reddito mensile medio

160 franchi svizzeri

Rossaura, 17 anni, Managua:

«Un figlio non è certo di ostacolo alla

formazione professionale»

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Cuba è il paese dell’America latina che tutti credono di

cono-scere – tanto sono solide le immagini correlate al suo nome:

Fidel Castro, i sigari, la musica, le spiagge… Ma la sua storia,

il suo destino, la sorte quotidiana della sua popolazione

pro-iettano un’altra luce su questa grande isola dei Caraibi. Di

Jacques Pilet*.

Scoperta nel 1492 da Cristoforo Colombo («È la terra più bella che gli occhi di un uomo abbiano mai contemplato!» esclamò allora), l’isola di Cuba è servita da base al Regno di Spagna per la con-quista dell’America latina. Impossibile compren-dere la Cuba di oggi senza conoscere il peso del-la sua storia coloniale. È soltanto nel 1868 che ini-zia la lotta per l’indipendenza con l’affiorare di una grande figura politica e letteraria ancora oggi ono-rata: quella di José Martí. Nel 1898 gli insorti ri-escono finalmente a sconfiggere l’esercito spa-gnolo – con l’aiuto degli Stati Uniti, che pongo-no immediatamente l’isola sotto la loro tutela. I governi che si succedono sono tutti più o meno

corrotti e autoritari. Trasformano l’Avana in un luogo di piacere e dissolutezza per turisti ameri-cani.

Embargo commerciale

La rivoluzione esplode nel 1953 con l’assalto ad una fortezza, la Moncada, da parte del giovane Fi-del Castro, spalleggiato da una manciata di com-pagni. L’operazione fallisce – ma la lotta armata ha inizio. Sorretti dalla simpatia del popolo, il 1° gen-naio 1959 i ribelli vengono a capo della dittatura di Fulgencio Batista. La borghesia cubana prende allora il cammino di Miami. Le relazioni con gli Stati Uniti si tendono, fino alla rottura. È l’epoca

Mezzo secolo di

rivoluzione castrista

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Tobias Hauser / laif

Dirk Jensen / agenda

Sebastian Hauser / laif

Miquel Gonzalez / laif

Tobias Hauser / laif

fluenza sovietica non sono approdati a nulla. I ri-sultati dell’agricoltura di Stato sono tanto più de-ludenti quanto le quotazioni mondiali dello zuc-chero sono al ribasso. Il 70 per cento circa dei beni agricoli prodotti e consumati a Cuba proviene da un settore privato ristretto, alla periferia delle cit-tà. Occorre tuttavia rilevare anche un settore dove gli sforzi pubblici sembrano promettenti: la pro-duzione di medicamenti, di vaccini e lo sviluppo delle biotecnologie.

I successi più notevoli di questo mezzo secolo di rivoluzione sono, senz’ombra di dubbio, l’istru-zione e la sanità. Su tutta l’isola è possibile farsi cu-rare da medici competenti. I medicamenti scar-seggiano. Ma nessun paese dei Caraibi dispone di una simile infrastruttura. Si è anche sviluppata una medicina di punta per stranieri: ogni anno, tra le 5 mila e le 6 mila persone vengono a farsi curare all’Avana! Cuba trasferisce migliaia di professioni-sti della salute nel Venezuela che rimunera questo servizio fornendo petrolio all’isola.Altro successo incontestabile: l’istruzione.Tutti i bambini cubani sono scolarizzati. I bambini promettenti sono ri-conosciuti e sostenuti. L’isola non conta pratica-mente più nessun analfabeta. Con le sue quaran-ta università, offre inoltre un insegnamento supe-riore di qualità.

Il peso delle dipendenze

Le strutture economiche restano segnate dal pas-sato coloniale. Il paese dispone però di risorse umane eccezionali che lo preparano alla moder-della guerra fredda, che a Cuba assume le forme

più dure.

L’embargo commerciale americano colpisce l’e-conomia cubana, che oscilla sempre più nel cam-po sovietico: l’URSS compera zucchero, fornisce armi e beni di consumo. Fino al crollo del comu-nismo nel 1989.

Occorre dire che nel corso degli anni l’embargo si è di fatto ammorbidito. Molti paesi – Spagna e Canada in primis – hanno intensificato le relazio-ni commerciali con Cuba. Anche gli Stati Urelazio-niti hanno rilanciato gli affari: cargo americani cari-chi di cereali sono regolarmente ormeggiati nel porto dell’Avana.

Altra apertura importante: il turismo, che diviene una delle principali fonti di valuta. Nel 2005 sono stati 2,3 milioni i viaggiatori europei, canadesi e latinoamericani ad aver approfittato del sole cu-bano e delle infrastrutture alberghiere sviluppate, segnatamente, con capitali spagnoli. Questo setto-re – che rappsetto-resenta il 12 per cento del PIL – è uno dei principali datori di lavoro del paese: oc-cupa, infatti, quasi 200 mila persone. L’embargo americano pesa assai sul suo sviluppo: i transatlan-tici dei Caraibi non fanno più scalo all’Avana, e a tutt’oggi i cittadini americani non hanno il dirit-to di calpestare il suolo cubano – ad eccezione de-gli esuli cubani, autorizzati a far visita alle loro fa-miglie.

Servizi sanitari ed istruzione per tutti

Gli sforzi di industrializzazione del periodo

d’in-L’oggetto della vita quotidiana

Il camello

Le leggendarie automobili americane, mantenute in vita dalla rivoluzione del 1959, cadono a pezzi. Le vetture recenti sono rare. Così come gli autobus. Particolarità dell’Avana: il camello (cammello). Si tratta di una doppia cabina gigante d’autobus combi-nata con una struttura d’autocarro, un ibrido in-ventato e messo insieme negli anni Novanta, nei mesi più bui della crisi econo-mica, è in grado di traspor-tare fino a 300 persone… stipate le une contro le altre.

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Christian Heeb / laif

Raf

faele Celentano / laif (2)

Karl-Heinz Raach / laif

turata, attiva, intrisa di valori patriottici autentici, in attesa di un futuro migliore. I successi della ri-cerca medica ne sono la testimonianza. Il rendi-mento degli agricoltori privati è promettente.An-che i turisti frettolosi possono rendersi conto dei progressi compiuti. La città vecchia dell’Avana, pa-trimonio mondiale dell’UNESCO, non era che un cumulo di rovine. Ora il centro sta ritrovando lo splendore di un tempo. Il governo ha dato pieno potere ad uno storico, di fatto un imprenditore di talento, Eusebio Leal Spengler – di origine svizze-ra – che ha creato una società molto dinamica, la

Oficina del historiador. I palazzi, le chiese, le

abita-zioni vengono progressivamente restaurati (un ter-zo circa della vecchia Avana). Con un triplice obiettivo culturale, sociale (una parte degli abitanti vi è rialloggiata) ed economico: alberghi, ristoranti, balere, gallerie e commerci di ogni sorta attraggo-no i visitatori e forniscoattraggo-no i fondi necessari alla prosecuzione dei lavori. Oltre 10 mila persone la-vorano sotto questa insegna: architetti, artigiani, personale turistico ecc. La scena culturale che si sviluppa in questi luoghi è particolarmente stuz-zicante.

Tanta ingegnosità, creatività, competenza e perse-veranza lasciano ben sperare per il futuro di que-sto paese. Qualunque sia la svolta politica.■

* Jacques Pilet, giornalista, cronista all’Hebdo, membro

della direzione del gruppo Ringier, tra il 1968 e il 2007 si è recato più volte a Cuba. Segue in modo particolare le questioni latinoamericane.

(Tradotto dal francese)

nità. E ciò, nonostante l’esilio di tanti cubani. Re-sta nondimeno il gravoso peso della dipendenza: quella dalla Spagna in passato, poi quella dagli Sta-ti UniSta-ti e dall’Unione sovieSta-tica, ed ora la dipen-denza dal Venezuela, che fornisce a Cuba la mag-gior parte della sua energia. Questo settore è il tal-lone d’Achille dell’isola, nonostante le promesse di una produzione petrolifera che è soltanto agli inizi. Dipendenza anche dinanzi ai corsi mondia-li dello zucchero e del nichel. Sfruttato da socie-tà straniere in collaborazione con lo Stato, questo minerale è la prima voce delle entrate di valuta (circa 1 miliardo di dollari l’anno). Le riserve cu-bane sono importanti, ed interessano vieppiù gli investitori cinesi.

Il dominio dello Stato sulle attività economiche, gli ostacoli alla libera impresa e l’embargo impo-sto dagli Stati Uniti hanno la loro parte di re-sponsabilità nella povertà di una popolazione che pur non conoscendo la miseria estrema di alcuni dei suoi vicini resta invischiata nella penuria. In va-luta locale, il salario mensile medio è di circa 30 dollari. Senza accesso alle valute straniere, inviate dagli esiliati (questo contributo è stimato a quasi 1 miliardo di dollari l’anno) o per via di qualche lavoro nella scia del turismo, i cubani sono con-dannati ad un minimo vitale straordinariamente ri-stretto. La maggior parte dei punti vendita dell’A-vana accetta soltanto i CUC, i pesos cubani con-vertibili ottenuti in cambio di dollari, euro o franchi svizzeri.

Verso un avvenire migliore

Questo quadro ombroso non deve tuttavia eclis-sare la notevole energia di una società ben

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strut-Tobias Hauser / laif

(bf ) La Svizzera presta aiuto umanitario a Cuba dal 1997; alla fine del 2000 ha avviato un programma speciale di cooperazione allo sviluppo volto a so-stenere la società cubana verso uno sviluppo del paese pacifico, partecipativo e rispettoso dei dirit-ti sociali acquisidirit-ti.A tale fine vengono promosse le iniziative locali che offrono soluzioni concrete per migliorare le condizioni di vita della popolazione e consolidare l’efficienza delle istituzioni. La Sviz-zera favorisce altresì il dialogo e lo scambio di in-formazioni a livello internazionale, affinché l’Iso-la possa ulteriormente aprirsi al mondo esterno. Il budget 2007 ammonta a 4,1 milioni di franchi (3 milioni destinati alla cooperazione allo sviluppo,0,6 milioni all’aiuto umanitario e mezzo milione alla cooperazione economica, di competenza della SECO).

L’Aiuto umanitario è impegnato con contributi ai programmi dell’ONG svizzera mediCuba Suisse, che realizza attività volte in primo luogo a conso-lidare la produzione locale di medicamenti (medi-cina tradizionale), migliorare l’infrastruttura

ospe-daliera e contrastare la diffusione dell’aids. Paralle-lamente viene fornito un sostegno alla sicurezza alimentare (mediante forniture di latte in polvere) e all’aiuto in caso di catastrofe (in caso di eventi naturali: uragani eccetera).

Il programma della cooperazione allo sviluppo si esplica lungo due assi tematici: uno sviluppo eco-nomico sostenibile – aumentando la produzione mediante l’introduzione di metodi di produzione e di gestione innovativi e sostenibili e miglioran-do l’accesso alle nuove tecnologie negli ambiti dell’agricoltura cooperativistica, della produzione locale di materiali da costruzione, dell’efficienza energetica e della gestione ambientale – e lo svi-luppo locale, promuovendo la partecipazione del-la popodel-lazione allo sviluppo dei comuni (sostegno di iniziative locali, come la risoluzione di proble-mi di alloggio) ed aumentando l’efficienza delle amministrazioni locali. Cifre e fatti Nome Repubblica di Cuba Capitale L’Avana (2,3 milioni di abitanti) Superficie 110 861 km2 Popolazione 11,2 milioni di abitanti; il 77 per cento della popolazione vive in zone urbane

Composizione etnica

mulatti (51 per cento), bianchi (37 per cento), neri (11 per cento) cinesi (1 per cento)

Aspettativa di vita

77,2 anni

Tasso di fecondità

1,6 bambini per donna

Tasso di alfabetizzazione

96,8%

Religioni

È stata in parte ristabilita la libertà di culto. Cattolici (battezzati): 60 per cento

Protestanti: 3 per cento Culti afro-cubani (santería, vudù) Lingua ufficiale Spagnolo Principali risorse Agricoltura: canna da zucchero (8° produttore mondiale), sisal (8° p.m.), iuta, arance, riso, tabacco. Industria mineraria: nichel (5° p.m.), rame, manga-nese, cobalto, cromo, sale. Importanza crescente del settore turistico. Cenni storici

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1449922 Cristoforo Colombo scopre l’isola di Cuba. 1

1551155 Fondazione dell’Avana. 1

1776622 L’isola viene occupata dagli inglesi, che l’anno seguente la restituiscono alla Corona spa-gnola in cambio della Florida.

1

1886688 Inizio della lotta per l’indipendenza, sotto l’impulso del coltivatore Carlos Manuel de Cé-spedes.

1

1889922 José Martí fonda il Partito rivoluzionario cubano. Rilancio della guerra d’indipendenza. 1

1889988 Gli insorti infliggono una sconfitta alle trup-pe spagnole. Gli Stati Uniti intervengono occu-pando la capitale.

1

1990022 L’indipendenza è proclamata, ma Cuba ri-mane di fatto una colonia sotto la tutela degli Sta-ti UniSta-ti.

1

1995533 Un gruppo di oppositori della dittatura di Fulgencio Batista diretto da Fidel Castro attacca la caserma della Moncada. L’assalto fallisce. Castro viene incarcerato, poi liberato sotto la pressione del popolo e si esilia in Messico.

1

1995599 I ribelli rovesciano il regime del generale Batista. Fidel Castro entra all’Avana.

1

1996600 Il governo americano decide di sottomette-re Cuba ad un embargo commerciale, ancora oggi in vigore.

1

1996611 Con il sostegno della CIA alcuni mercenari anticastristi sbarcano nella baia dei Porci, nel sud dell’isola, ma l’insurrezione fallisce.

1

1996622 Il dispiegamento di missili sovietici a Cuba provoca una crisi tra Unione Sovietica e Stati Uni-ti. Mosca ritira infine le sue armi.

1

1998899 Con il crollo dell’URSS, suo principale partner commerciale e politico, Cuba sprofonda in una grave crisi economica.

2

2000055 Instaurazione di relazioni strette con il Vene-zuela di Hugo Chavez.

2

2000066 Ammalatosi, Fidel Castro cede transitoria-mente il potere al fratello nonché vicepresidente Raúl Castro. USA L’Avana Cuba Haïti Giamaica Mar dei Caraibi

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Marta María Ramírez,

giornalista, 31 anni, vive, ama e sogna oggi a L’Avana (Cuba), insieme al suo compagno, il trova-tore Jorge Garcia.

Dall’Avana, un giorno qualunque

Una voce da Cuba

All’Avana il tempo non passa mai. Mi rifiuto di addossarmi la travolgente quotidianità che impone giorni identici, quasi che il sopravvivere si sia con-vertito nella parola d’ordine. È appena spuntato il sole ed il caldo è già irresistibile. Guardo il mare dal mio balcone privilegiato, mentre ascolto la rude voce del trovatore - contratta dall’uscita acustica del mio computer- che canta alla miracolosa Avana: «!Ay¡, dónde poner mi suerte. !Ay¡, si mi ciudad se muere del corazón…». («Ahi! Dove porre la mia fortuna.Ahi,se la mia città muore nel suo stesso cuo-re...»)

La «canzone pensante», si mescola con un sonoro canto reggae alla cubana che risuona dall’alba, pro-vocando, come sempre, l’ira silenziosa del vicinato, con la minaccia: «Deja que yo te coja, caperucita». («Attenta che se ti prendo, cappuccetto».) Il rumo-re dei motori delle poche macchine, dei clacson e delle frenate completano la colonna sonora della mattinata.

Osservo l’andare ed il venire della gente.Quelli soli, quelli in gruppo - i bimbi e le bimbe, in cammino verso la scuola, presi dai loro schiamazzi, dai loro sbadigli.

I più grandi camminano a testa bassa,armati di bor-se vuote, alla ricerca del sostentamento giornalie-ro, nella speranza che la loro «lotta» risulterà frut-tuosa. (Sì, la «lotta», perché nell’isola tale azione ha sostituito quella del lavorare, visto che è appena ar-rivato il salario in pesos cubani e quasi tutto si paga in pesos cubani convertibili, con un tasso di cam-bio secondo il quale un peso vale 1.20 dollari Usa). L’odore di catrame si unisce a quello dell’esotico caffé mescolato, elisir della fusione di alcuni grani di caffé e tanti di piselli. Mi attira anche l’odore dei

dolci e degli sciroppi che prepara Lea, una signora di 83 anni, per pagarsi da vivere.

Oggi ci sarà posto per un dessert a pranzo – penso e lo pregusto. Seguo con gli occhi un venditore di fiori che pedala lentamente sulla sua bicicletta con grida che esprimono la sua essenza poetica nell’ur-lo un po’ volgare di «Fnell’ur-loresssssssss! Fnell’ur-loreroooooo!» Adela grida dalla terrazza posta sul lato. Reclama qualcosa di indecifrabile ad un’altra vicina, che ri-manda indietro il grido da un po’ più lontano. Sve-glieranno tutti,ma a chi importa in fondo,dopo una notte di musica turbolenta. Di fronte, un «babala-wo», un sacerdote della religione afrocubana yoru-ba, colpisce un cane randagio che ha osato insudi-ciare il suo portone.

Adela torna ad apparire nella mia personale scena, per interrompere la mia meditazione. Mi raccon-terà l’ultima notizia, il pettegolezzo, sospeso in bi-lico sulla città: «Un uomo ha ucciso sua moglie spa-randole, e poi si è suicidato in una strada del cen-tro dell’Avana». Mi informa su quanto è successo e ci mette tanto di cronaca ed il dovuto commento su chi era la vittima e su colui che ha di lei fatto una vittima. Non trovo spiegazioni per così tanta violenza,voglio rimanere in silenzio,ancorata a cin-que metri da terra, quasi sperando di passare inos-servata.

Un «buzo» (accattone) annusa gli avanzi accumu-lati durante gli ultimi giorni nei bidoni della spaz-zatura posti negli angoli. I gatti del quartiere cor-rono spaventati dalla concorrenza umana. E torna il bardo:«Quizás,seamos todos como ellos».(«Chis-sà, saremo tutti come loro».)

Oggi, dal mio punto in alto tutto sembra così tri-ste. E mi domando da dove mai arrivi la credenza che vuole che i cubani siano sempre così allegri... Si sta facendo tardi per la mia lotta. E non ho che da unirmi al coro dei passeggeri scoraggiati, senza smettere di sognare un futuro migliore.

Il mio trovatore si avvicina, adesso in carne ed ossa, con in mano caffé fumante per due, e prova un ver-so struggente per ricordarmi che ver-sono viva: «Sólo por tí será que no me vaya.Tu cuerpo tiene forma de país», («Sarà solo per te, che non me ne andrò. Il tuo corpo ha la forma di un paese».) Nel mentre, insieme, guardiamo il mare.■

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T

ina Steinauer

Nel mondo non ci sono mai stati così tanti giova-ni quanto oggi. Un quinto dell’odierna popola-zione mondiale ha, infatti, tra 15 e 24 anni. Si trat-ta di oltre 1,2 miliardi di persone, di cui l’85 per cento vive nei paesi in via di sviluppo, dove rap-presenta oltre la metà della popolazione – con ten-denza al rialzo!

Dal punto di vista della politica di sviluppo ciò rappresenta al contempo una sfida e un’opportu-nità. Dove la popolazione cresce a questo ritmo, crescono anche le sfide per la società chiamata a creare condizioni di vita idonee per i giovani. Occorrono sistemi sanitari e di formazione capa-ci di reggere all’assalto, ma anche centri di forma-zione e posti di lavoro. Così come sono necessari meccanismi e istituzioni che consentano ai giova-ni di partecipare ai processi decisionali in seno alla società e di partecipare alle decisioni politiche. Se riusciamo a cogliere queste sfide abbiamo un’op-portunità storica. I giovani dispongono, infatti, del potenziale per promuovere in modo decisivo e sostenibile lo sviluppo globale e ridurre durevol-mente la povertà e le sue molteplici conseguenze negative.

Grazie al calo dei tassi di natalità,nella maggior par-te dei paesi in via di sviluppo aumenpar-terà nei pros-simi anni consistentemente la quota delle persone occupate rispetto alla popolazione totale. Di con-seguenza, la parte produttiva della popolazione do-vrà sostentare un numero decisamente minore di persone economicamente dipendenti,come i bam-bini e gli anziani, che non nei paesi industrializza-ti, dove la piramide demografica è rovesciata. Cosa significhi questa evoluzione demografica per un’e-conomia nazionale lo hanno dimostrato i «paesi

ti-gre» asiatici: nel giro di pochi decenni sono riusciti a compiere un impressionante balzo in avanti in termini di sviluppo.

Nel suo operato, la DSC si impegna a tutti i livel-li per investire oggi nei bambini e neglivel-li adolescenti allo scopo di spezzare il circolo vizioso composto nei paesi in via di sviluppo da povertà, violenza, esplosione demografica, migrazione, degrado am-bientale e HIV/aids. I giovani che dispongono di prospettive intatte per il futuro e che possono rea-lizzare il loro potenziale personale non solo sono più sani sul piano psichico e fisico, ma contribui-scono anche in modo determinante allo sviluppo sociale ed economico delle loro società. Soprat-tutto, però, trasmettono le capacità acquisite, le esperienze positive e i valori alle generazioni suc-cessive, aumentandone le opportunità di condur-re una vita autodeterminata, lontani dalla povertà e dall’emarginazione.

La premessa necessaria a questa posta in gioco è che i giovani siano presi sul serio come partner e attori responsabili dei processi di sviluppo. Dob-biamo fare in modo che, nei dibattiti in materia di politica di sviluppo a livello nazionale e interna-zionale, non solo abbiano maggiore voce in capi-tolo, ma possano anche partecipare alle decisioni. Infatti, si decide oggi in quale mondo vivranno do-mani.■

Walter Fust Direttore della DSC (Tradotto dal tedesco)

Cogliere un’opportunità storica – ora!

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Jens Gr

ossmann / laif (2)

(jls) I giovani burkinabé che desiderano imparare un mestiere manuale possono scegliere fra tre sibilità. Se hanno seguito una scolarizzazione, pos-sono frequentare uno dei licei tecnici gestiti dal-lo Stato. Questi istituti dispensano un insegna-mento teorico accompagnato da lavori pratici, senza un vero rapporto con il mondo del lavoro. Un’altra via possibile è quella dei centri di for-mazione privati, che si moltiplicano da alcuni anni. La qualità della loro offerta è tuttavia molto diversa fra di loro, soprattutto per due motivi: il contenuto delle formazioni non è sottoposto ad alcuna regolamentazione statale; in mancanza di supporti didattici, gli insegnanti si accontentano di veicolare nozioni basate principalmente sulla loro esperienza professionale. La terza opzione, di gran lunga più frequente, è l’apprendistato «sul posto» in un atelier o in una piccola impresa del settore informale. Questo indirizzo professionale presen-ta il vanpresen-taggio di essere aperto anche ad adolescenti poco o affatto scolarizzati – ma comporta anche grossi inconvenienti: il giovane apprende i gesti

della professione per semplice imitazione, non ac-quisisce quasi nessuna conoscenza teorica o com-merciale; in molti casi, l’artigiano evita inoltre di condividere tutta la sua conoscenza con l’appren-dista, temendo di affilare le armi di un futuro con-corrente.

Alternare scuola e azienda

Nel 1996, la Svizzera e tre altri paesi donatori han-no deciso di lavorare insieme per migliorare il si-stema di formazione professionale in Burkina Faso. Hanno così creato una Cellula d’appoggio alla for-mazione professionale CAFP, tendente a promuo-vere l’apprendistato duale, che combina pratica nell’impresa e corsi teorici.

Consigliati, durante i primi anni, dalla fondazio-ne Swisscontact, gli otto esperti burkinabé della CAFP si sono iniziati alle scienze formative: in col-laborazione con le associazioni professionali, ela-borano curricoli formativi atti a soddisfare le esi-genze dell’economia e confacenti alle realtà del paese; li testano su gruppi di apprendisti,

proce-Burkina Faso: formazione profes

Il sistema di formazione professionale del Burkina Faso è

vitti-ma di lacune che rallentano lo sviluppo dell’artigianato. Per

col-marle, un’unità di lavoro cofinanziata dalla Svizzera sostiene

l’introduzione dell’apprendistato di tipo duale. Elabora schemi

di formazione per varie professioni e propone agli artigiani

cor-si di perfezionamento.

La lobby dei lavoratori informali

Se l’agricoltura e l’alleva-mento restano i principali pilastri dell’economia bur-kinabé, sono tallonati dal settore informale, primo for-nitore di occupazione nelle città. Le microimprese arti-gianali, commerciali e dei servizi occupano tra il 75 e l’85 per cento della popola-zione attiva urbana. I lavo-ratori dell’economia infor-male hanno generalmente un livello d’istruzione e di qualificazione debole, i loro redditi sono modesti e le condizioni di lavoro medio-cri. Nel corso degli ultimi quindici anni i vari gruppi professionali hanno costi-tuito delle associazioni dotate di statuto legale. Queste svolgono un ruolo di lobby e cominciano a difendere attivamente gli interessi dei loro membri presso gli interlocutori istitu-zionali. Negoziano, ad esempio, l’accesso degli artigiani al piccolo credito o ai mercati pubblici.

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Elevato tasso di analfa-betismo

Oltre la metà della popola-zione del Burkina Faso ha meno di 18 anni. Nel 2005 il numero dei giovani sfio-rava i 7,2 milioni, su una popolazione totale stimata a 13,2 milioni di abitanti. Purtroppo il sistema edu-cativo riesce a scolarizzare non oltre il 56 per cento dei bambini a livello primario; inoltre, un quarto di essi abbandona la scuola prima di avere frequentato il quinto anno. Di conse-guenza il tasso d’alfabetiz-zazione non supera il 50 per cento nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni e il 30 per cento per l’insieme della popolazione. Nonostante il sensibile miglioramento dal 2000, questi tassi restano fra i più bassi dell’Africa occiden-tale.

La disoccupazione e il sot-toimpiego sono per contro molto elevati, e nelle città colpiscono soprattutto i giovani.

Una nuova visione

Per Pascal Fellay, il paesaggio della formazione pro-fessionale burkinabé somiglia ad un puzzle in co-struzione, che a termine dovrà includere centri di formazione – sia pubblici, sia privati – competen-ti, supporti didattici, una regolamentazione giuri-dica, controlli della qualità e un sistema di finan-ziamento. «Creando la CAFP, abbiamo incastrato il primo tassello. Contavamo sul fatto che avreb-be avuto un effetto di traino sugli altri. Ma le la-cune sono molte, a svariati livelli. La principale ca-renza consiste nell’assenza di orientamenti chiari da parte dell’autorità pubblica».

Lo Stato burkinabé ha iniziato a strutturare que-sto settore soltanto di recente. Nel 2003 ha rico-nosciuto ufficialmente il ruolo della CAFP. L’an-no successivo ha creato un fondo di sostegL’an-no alla formazione mediante apprendistato nel quale ri-versa dei contributi alla formazione professionale prelevati sui salari. Inoltre, una politica nazionale è in fase di elaborazione. «Ciò prenderà più tem-po di quanto inizialmente previsto, ma il puzzle sta prendendo forma», commenta Pascal Fellay. «In dieci anni il governo ha completamente cambia-to visione. Oggi rispetta i centri privati, ricono-sce i meriti della formazione duale ed ammette la necessità delle associazioni professionali. È una vera rivoluzione in un paese che fino a poco tem-po fa scommetteva soltanto sugli istituti tecnici».■

(Tradotto dal francese)

dono ai necessari adeguamenti, poi distribuisco-no il materiale didattico ai centri di formazione sia pubblici che privati.

Ad oggi la CAFP ha elaborato metodologie per sette professioni: taglio e cucito, elettricista, mura-tore, meccanico d’automobili, meccanico di mo-tocicli, serramenti metallici e falegnameria. La Svizzera e l’Austria ne hanno assunto il finanzia-mento in parti uguali.

I datori di lavoro si perfezionano

Nel Burkina Faso la domanda di formazione pro-fessionale è in netto aumento. Le richieste non provengono solamente dai giovani, ma anche da-gli stessi artigiani, desiderosi di rafforzare le loro capacità per accedere, ad esempio, a nuovi merca-ti. La CAFP ha dunque organizzato cicli di perfe-zionamento per datori di lavoro composti da sva-riati moduli.

«Questo approccio è molto più confacente rispetto ad una formazione lineare. I piccoli datori di la-voro hanno bisogno di corsi specifici che consen-tano loro di assumere rapidamente la padronanza di questa o quella competenza», spiega Pascal lay, incaricato di programma presso la DSC. Fel-lay cita l’esempio dei meccanici d’auto, le cui co-noscenze tradizionali risultano insufficienti di fronte ai progressi tecnologici e all’elettronica complessa delle automobili moderne: «Quando un nuovo modello arriva sul mercato, i meccanici vo-gliono seguire una formazione ad hoc per essere in grado di ripararlo e curarne la manutenzione».

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