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La politica verde in germania, introduzione alla problematica generale e confronto con l'approccio europeo Traduzione parziale di un branco dell'"Umwelttechnologieatlas"

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Master

Reference

La politica verde in germania, introduzione alla problematica generale e confronto con l'approccio europeo Traduzione parziale di un branco

dell'"Umwelttechnologieatlas"

MONTI, Lucia

Abstract

Analyse de la politique verte allemande et européenne et traduction d'un texte spécialisé en technologies pour l'environnement de l'allemand à l'italien.

MONTI, Lucia. La politica verde in germania, introduzione alla problematica generale e confronto con l'approccio europeo Traduzione parziale di un branco

dell'"Umwelttechnologieatlas". Master : Univ. Genève, 2010

Available at:

http://archive-ouverte.unige.ch/unige:14847

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LUCIA MONTI

LA POLITICA VERDE IN GERMANIA, INTRODUZIONE ALLA PROBLEMATICA GENERALE E CONFRONTO CON L’APPROCCIO EUROPEO

Traduzione parziale di un brano dell’”Umwelttechnologieatlas”

Mémoire présenté pour l’obtention de la Maîtrise en traduction spécialisée

Directeur : Giancarlo Marchesini Juré : Rovena Troqe

Septembre 2010

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Perché parlare di sviluppo sostenibile

"Nell'ipotesi che l'attuale linea di sviluppo continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso,incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale”.(MEADOWS:1972:14)

Pubblicato nel 1972, il Rapporto sui limiti dello sviluppo, del Massachusetts Institute of Technology (MIT: The Limits of Growing) è stato il primo studio scientifico a documentare l'insorgere della questione ambientale in termini globali. Il Rapporto, commissionato dal Club di Roma, un’associazione non governativa impegnata per i cambiamenti globali, prende in considerazione 5 variabili: popolazione mondiale, industrializzazione, produzione alimentare, consumo di risorse, inquinamento - con l’ipotesi che queste grandezze avrebbero subito una forte crescita nei decenni a seguire. Analizzando le interazioni tra queste stesse variabili su scala mondiale i ricercatori del MIT hanno elaborato proiezioni sul futuro che vengono riassunte in 10 possibili scenari: Crisi delle risorse non rinnovabili, Crisi da inquinamento, Crisi alimentare, Crisi da erosione, Crisi multipla, Crisi da costi, Programmazione familiare, Moderazione degli stili di vita, Utilizzo più efficiente delle risorse naturali, Tempestività. Ognuno di questi scenari si differenzia per la quantità di

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risorse a disposizione, una quantità che spesso va oltre ad una dimensione realistica. Nonostante ciò, il risultato che accomuna tutti questi scenari è la catastrofe del sistema, perfino ipotizzando una disponibilità di risorse illimitata.

Ciò che oggi stupisce maggiormente è che questa proiezione è stata concepita in un’epoca in cui non si era ancora in grado di quantificare il tasso di crescita della quinta variabile, l’inquinamento.

Ci troviamo in un epoca in cui i paesi industrializzati godono di un certo benessere: la seconda guerra mondiale è ormai lontana, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono impegnati nell’esplorazione spaziale, nascono settori quali l’informatica e l’elettronica, il petrolio come combustibile soppianta il carbone e l’industria cresce in maniera esponenziale. Questa vera e propria

“corsa” verso la crescita economica e industriale iniziata il decennio precedente sfocia in una riflessione sulle conseguenze di tale sviluppo. Lo studio dell’MIT rappresenta quindi il primo campanello d’allarme a tutela dell’ambiente non per motivi etici, ma per una logica a favore della crescita e dello sviluppo nel mondo. Emerge quindi la consapevolezza che le risorse naturali della Terra devono essere tutelate attraverso pianificazioni strategiche e che la natura ha un ruolo fondamentale per l’economia.

Sempre nel 1972, 113 nazioni si incontrano a Stoccolma per la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano. È la prima Conferenza che si occupa dell'ambiente dando inizio quindi, alla politica ambientale internazionale. Viene adottata una dichiarazione (la Dichiarazione di Stoccolma), recante 26 principi su diritti e responsabilità dell’uomo in relazione all’ambiente. Tra questi troviamo il Principio di cooperazione (principio 24), che obbliga gli stati a cooperare insieme per controllare, prevenire, ridurre e eliminare le

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conseguenze nocive dell’inquinamento ambientale. Due sono le conclusioni importanti che verranno riprese in seguito: nasce la consapevolezza di un legame tra l'ambiente e l’andamento dello sviluppo e si giunge alla conclusione che la catastrofe ambientale è il risultato sia dell'“over-” che dell’ ”under- development” verificatosi nel secolo scorso sul nostro pianeta.(HURRELL;KINGSBURY:1992:64) Oggi possiamo affermare che la Conferenza di Stoccolma è stata il primo passo verso il concetto attuale di

“sviluppo sostenibile”.

Per questi motivi nasce negli anni ’80 una nuova concezione della crescita economica volta ad inserirsi in un nuovo modello di sviluppo. Questa nuova concezione viene coniata con termini quali "eco-development" e "sustainable development”. Quest’ultimo, verrà coniato definitivamente nel 1987, in occasione della “World Commission on Environment and Development” , più nota come Rapporto Brundtland1. Viene formulata un’efficace definizione del concetto di “sviluppo sostenibile”, la prima parte si riferisce ai paesi industrializzati:

"far sì che esso [lo sviluppo sostenibile] soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro. […] Lo sviluppo sostenibile, lungi dall'essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali".

Successivamente viene affrontato anche il problema dei paesi in via di sviluppo:

1Il Rapporto deve il nome all’allora Primo Ministro della Norvegia Gro Harlem Brundtland, che presiedeva la Commissione.

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"il soddisfacimento di bisogni essenziali (basic needs) esige non solo una nuova era di crescita economica per nazioni in cui la maggioranza degli abitanti siano poveri ma anche la garanzia che tali poveri abbiamo la loro giusta parte delle risorse necessarie a sostenere tale crescita. Una siffatta equità dovrebbe essere coadiuvata sia da sistemi politici che assicurino l'effettiva partecipazione dei cittadini nel processo decisionale, sia da una maggior democrazia a livello delle scelte internazionali"2.

Gli elementi costitutivi del concetto di sviluppo sostenibile sono quindi l’uso equo e sostenibile delle risorse naturali, un’equità inter- e intra-generazionale e l’integrazione tra politiche di sviluppo economico, politiche ambientali e sociali.

Si passa quindi dal binomio ambiente - sviluppo al modello dei “tre pilastri”, che resterà uno dei criteri fondamentali per le politiche ambientali fino ai giorni nostri.

Dopo il primo passo dell’individuazione della problematica nasce la necessità di individuare una strategia comune per lo sviluppo sostenibile. La comunità mondiale decide dunque di riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro per la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo. In quell’occasione viene sottoscritto il “Programma d'azione per il XXI secolo”, noto come

“Agenda 21”, che pone lo sviluppo sostenibile come prospettiva da perseguire per tutti i popoli del mondo. Il termine Agenda 21 indica l’insieme delle strategie ed azioni da intraprendere nel XXI secolo per conseguire lo sviluppo sostenibile. Essa comprende le tematiche ambientali, sociali ed economiche indicando gli obiettivi da realizzare. Il documento è suddiviso in 40 capitoli, ripartiti in 4 grandi sezioni: dimensione sociale ed economica, conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo, rafforzamento del ruolo dei soggetti

2Gro Harlem Brundtland “il futuro di tutti noi”, dall’inglese “Our Common Future”, 1987.

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sociali, strumenti di attivazione. Il capitolo 28 dell’Agenda 21 sottolinea l’importanza dell’educazione e dell’informazione delle autorità locali in merito allo sviluppo sostenibile. Le autorità locale vengono a loro volta obbligate ad informare le popolazioni e concepire con esse delle Agende 21 locali.

Il “Programma d'azione per il XXI secolo” contiene inoltre 3 Dichiarazioni di principi, tra cui la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo che definisce in 27 principi diritti e responsabilità delle nazioni nei riguardi dello sviluppo sostenibile. Tra questi principi, alcuni verranno recepiti in seguito nei regolamenti della Comunità europea e di alcuni Stati, come ad esempio il

“principio precauzionale” (principio 15) (in tedesco Vorsorgeprinzip)3. Il principio precauzionale permette ad uno Stato di adottare misure nazionali per prevenire il degrado ambientale, anche se il rischio di danni non viene confermato scientificamente. Per la prima volta compare un approccio anticipatorio rispetto all’insorgenza di problemi ambientali. Inoltre vi è il principio di responsabilità condivisa ma differenziata (tedesco:

Kooperationsprinzip) (principio 7) e il principio “chi inquina paga”

(Verursacherprinzip) (principio 16) che stabilisce un quadro di responsabilità ambientale basato sul principio secondo cui gli stessi autori dell'inquinamento devono risarcire i danni provocati. In altre parole, essi sono tenuti a prevenire o a riparare i danni ambientali.

In conclusione, la Dichiarazione di Rio prevede che gli Stati cooperino in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l'integrità dell'ecosistema terrestre.4 Tale partnership deve però considerare

3 Per la Comunità europea vi è un riferimento diretto al principio di precauzione nella Comunicazione della Commissione del 2 febbraio 2000 (COM 2000 1 ). In Germania il Principio di precauzione è uno dei tre pilastri del diritto ambientale insieme al Principio di cooperazione ed il principio “chi inquina paga”.

4http://bch.minambiente.it/IT/Documenti/PDFFILES/dichiarazionediRio.pdf

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che non tutti i paesi hanno le stesse responsabilità per quanto riguarda l’inquinamento. È ovvio che i paesi sviluppati hanno responsabilità maggiori rispetto agli altri in primo luogo per il loro contributo all’inquinamento nettamente superiore a quello dei paesi in via di sviluppo, in secondo luogo per le tecnologie e risorse finanziare che dispongono per far fronte al problema.

Oggi sappiamo che l’Agenda 21 della Conferenza di Rio è stato un programma di successo non tanto per i risultati ottenuti ma per il metodo seguito nella proposta di soluzioni della problematica ambientale. Negli anni a seguire sanno infatti numerose le Agende proposte a livello regionale, nazionale e internazionale, che si baseranno sempre sui principi formulati a Rio.

Anche l’Unione europea si mobilita in materia di sviluppo sostenibile: infatti approva nel 1992 il Quinto piano d’Azione ambientale (“Per uno sviluppo durevole e sostenibile”) al fine di rendere operativi gli accordi firmati a Rio.

“è necessario un cambiamento radicale in tutti i settori di intervento della comunità. Esso presuppone che la tutela dell'ambiente venga integrata nella definizione e nell'attuazione delle altre politiche comunitarie, non solo per il bene dell'ambiente, ma per il bene e il progresso degli altri settori."5

Il principio di sviluppo sostenibile passa quindi dall’essere un principio ispiratore per varie normative ambientali a vero e proprio obiettivo della politica ambientale. Infine nel 1997, con le modifiche introdotte nei Trattati europei, la tutela dell’ambiente diventa un principio costituzionale dell’Unione europea. L’articolo 2 del Trattato di Amsterdam afferma che:

5In: Quinto Programma Quadro: Programma politico e d’azione della Comunità Europea a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile, Unione Europea, 1992.

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"La Comunità Europea promuoverà […] uno sviluppo sostenibile, armonioso ed equilibrato delle attività economiche, un alto livello di occupazione e della sicurezza sociale, l'eguaglianza tra donne e uomini, una crescita economica sostenibile e non inflazionistica […] un alto grado di protezione e miglioramento della qualità dell'ambiente, la crescita degli standard e della qualità della vita, la solidarietà e la coesione sociale ed economica tra gli Stati membri"6.

Tale Trattato rappresenta la prima tappa del percorso europeo in materia di strategie per lo sviluppo sostenibile. L’Unione europea, infatti, pur non essendo uno Stato si assumerà impegni comuni a tutti i suoi membri sotto forma di vari accordi che verranno elencati in seguito.

Già in occasione del Consiglio europeo di Lisbona nel 2000 viene elaborata dai capi di governo una strategia nella quale lo sviluppo sostenibile svolge un ruolo importante. Tale strategia (Strategia di Lisbona) ha lo scopo di fare dell’UE l’economia più competitiva al mondo:

“Diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”7.

Si tratta quindi di una strategia fondata su tre pilastri, gli stessi elencati precedentemente come elementi costitutivi dello sviluppo sostenibile: il pilastro economico, sociale ed ambientale. La strategia di Lisbona, rivoluzionaria all’interno della dimensione europea per quanto riguarda la

6Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 (www.governo.it)

7Consiglio Europeo Lisbona 23 e 24 marzo 2000, Conclusioni della Presidenza

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quantità di obiettivi prefissi, pone per contro la politica ecologica in secondo piano: predominano misure quali la riforma economica, la competitività, le politiche sociali.

Gli obiettivi della politica ambientale europea per il futuro vengono definiti l’anno seguente nel VI Programma d’azione per l’ambiente, sottoscritto a Göteborg nel 2001. L'Unione europea definisce le priorità e gli obiettivi della politica ambientale europea fino al 2010 e oltre, concentrandosi sui provvedimenti da adottare per contribuire alla realizzazione della strategia in materia di sviluppo sostenibile da essa elaborata. Il programma, con il titolo

“Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”, si concentra su quattro campi d’azione prioritari: il cambiamento climatico, la biodiversità, l’ambiente e la salute e la gestione sostenibile di risorse e rifiuti. Vengono quindi concretizzate le quattro problematiche che resteranno il leitmotiv della questione dello sviluppo sostenibile di un decennio per tutta l’Europa e non solo.

Per la prima volta si supera il mero approccio legislativo a vantaggio di quello strategico: tale approccio dovrà utilizzare vari strumenti e provvedimenti per influenzare il processo decisionale coinvolgendo l'ambiente imprenditoriale, politico ed i cittadini. Il VI Programma propone quindi una nuova impostazione per elaborare le misure ambientali, con lo scopo di una maggiore partecipazione dei cittadini senza sottoporli a divieti e normative. Interessante è inoltre la strategia del disaccoppiamento8 della crescita economica dal degrado ambientale, obiettivo che farà da premessa per numerose strategie che verranno elencate in seguito.

8Il termine “disaccoppiamento” viene usato nei testi dell’Unione europea per riprendere il termine inglese

“decoupling”

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“Garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabili e l'impatto che esso comporta non superino la capacità di carico dell'ambiente e dissociare l'utilizzo delle risorse dalla crescita economica migliorando sensibilmente l'efficienza delle risorse, dematerializzando l'economia e prevenendo la produzione di rifiuti."9

Il piano d’azione decennale si pone obiettivi importanti sia a breve che a lungo termine, come per esempio la riduzione delle emissioni globali del 20-40%

entro il 2020 e la riduzione la quantità dei rifiuti destinate allo smaltimento finale del 20% entro il 201010.

Tornando alla dimensione globale, dieci anni dopo la Conferenza di Rio la comunità mondiale si riunisce a Johannesburg per il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (World Summit on Sustainable Development (WSSD) – anche noto come “Rio+10” ). In quell’occasione si riflette su quanto iniziato al Summit di Rio per realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. La conclusione dell’incontro è la volontà di realizzare uno sviluppo sostenibile che coniughi gli aspetti ambientali con quelli economici e sociali al fine di assicurare una società più equa e prospera, nel rispetto delle generazioni future.11

“ Di conseguenza, ci assumiamo la responsabilità collettiva di promuovere e rafforzare i tre pilastri inseparabili dello sviluppo sostenibile, la protezione dell’ambiente e lo sviluppo economico e sociale, a livello locale, nazionale, continentale e globale.”12

9Il VI Programma di azione per l’ambiente della Comunità europea, Comunità europee, 2001

10riduzione rispetto ai livelli del 1990

11http://www.a21arneo.it/DocumentiUfficiali/Index9.htm

12Ibidem

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Tra i risultati più importanti troviamo l’adozione di un piano d’azione, contenente dei cosiddetti “temi chiave” per il prossimo decennio. Tra questi vi sono i modelli di produzione e consumo: si tratta di un approccio che ancora oggi viene riconosciuto e applicato in numerose strategie per lo sviluppo sostenibile e che all’epoca è stato avviato con il programma “Sustainable Consumption and Production ”(Produzione e Consumo Sostenibili).

“All countries should promote sustainable consumption and production patterns, with the developed countries taking the lead and with all countries benefiting from the process, taking into account the Rio principles, including, inter alia, the principle of common but differentiated responsibilities as set out in principle 7 of the Rio Declaration on Environment and Development.

Governments, relevant international organizations, the private sector and all major groups should play an active role in changing unsustainable consumption and production patterns. This would include the actions at all levels set out below.”13

Viene ripreso il principio di responsabilità condivisa fissato nella conferenza di Rio, che in quest’occasione verrà applicato direttamente mediante la creazione del progetto "Stakeholder Forum for our Common Future" (in seguito verrà denominato UNED Forum), il quale vuole coinvolgere tutti gli attori dei cosiddetti “major groups14” nel processo dello sviluppo sostenibile.

Altri temi chiave sono: povertà, acqua, energia, salute, protezione dell'ambiente naturale, globalizzazione, Africa.

13Johannesburg Plan of Implementation, (www.un.org)

14L’Agenda 21 delle Nazioni Unite riconosce 9 gruppi, detti “major groups” per rappresentare la società civile nella sua totalità. Questi sono: industria e aziende, bambini e giovani, agricoltori, popolazioni indigene, autorità locali, organizzazioni non governative, la comunità scientifica e tecnologica, donne, lavoratori e sindacati.

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Con il vertice di Johannesburg si consolida la prima fase della problematica dello sviluppo sostenibile nella quale si passa dalla definizione della problematica alla nascita di vari approcci per contrastare il declino ambientale.

È una fase che non presenta miglioramenti importanti per quanto riguarda l’inquinamento in termini percentuali ma che vanta per contro il coinvolgimento di un gran numero di nazioni e la nascita di una nuova consapevolezza del “non può continuare così”. Nonostante questa consapevolezza, non tutti gli Stati si sono impegnati in modo concreto negli anni a seguire per conseguire un cambiamento. Questo può essere facilmente motivato con gli interessi economici in ballo di diversi paesi industrializzati per i quali la posizione ecologista era automaticamente un sinonimo di freno alla crescita ma anche con gli interessi dei paesi emergenti che sentendosi

“svantaggiati” rispetto ai paesi industrializzati non si sentivano obbligati a contrastare il declino causato proprio da quest’ultimi.

GERMANIA

Negli ultimi 40 anni l'Unione europea ha realizzato una fitta rete di misure per proteggere l'ambiente e promuovere lo sviluppo sostenibile e la Germania è stata finora uno degli Stati che ha maggiormente appoggiato la posizione ecologista. Il Paese che ha da sempre basato la sua stabilità sulla crescita materiale ed economica ha saputo sfruttare al meglio questo potenziale applicandolo a favore dell’ambiente, l’esempio più eclatante è sicuramente l’investimento nelle energie rinnovabili che lo porta ad essere considerato un faro europeo. Colui che conosce la società tedesca sa che l’atteggiamento ecologista va aldilà del senso civico in Germania: si tratta piuttosto di una mentalità che trova le sue radici nella “Naturgebundenheit” (il legame per la

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natura) che ha da sempre accomunato i popoli tedeschi nella storia. È un atteggiamento che ha sopravvissuto a le varie guerre e divisioni e che è tutt’ora un elemento che fa parte dell’identità del popolo tedesco riunitosi dopo la caduta del muro. Questo incrociarsi della dimensione economica, ecologica ed sociale, tipico della società tedesca si riversa anche sull’assetto politico: la Germania è infatti lo Stato europeo nel quale è nato e cresciuto un forte movimento ecologista organizzatosi, poi, nel partito politico dei Grünen (Verdi).

A livello federale, la tutela dell'ambiente è di competenza del Ministero dell'Ambiente, della Protezione della Natura, dell'Energia e della Sicurezza Nucleare (Bundesministerium für Umwelt, Naturschutz und Reaktorsicherheit) istituito nel 1986 in quella che allora era la Germania Ovest. All’interno di esso vi è anche l’Ufficio federale per le questioni ambientali (Umweltbundesamt) il quale è responsabile per il supporto scientifico del Ministero, l’applicazione delle leggi sull’ambiente e per l’informazione dei cittadini in termini di politica ambientale. Quest’ultimo è stato fondato già nel 1974 all'interno del Ministero degli Interni in qualità di autorità federale indipendente.

La questione dello sviluppo sostenibile fa il suo ingresso nella politica nazionale tedesca solo nel 1998, in ritardo rispetto ad altri Stati. Fino a quel momento, il governo si era concentrato prevalentemente sulla creazione di un piano ambientale. Con l’arrivo al potere della coalizione composta dai socialdemocratici (SPD) e dai Verdi (Die Grünen) ci si accorda sull’adozione di una strategia per lo sviluppo sostenibile (Nachhaltigkeitsstrategie). Nello stesso anno, la commissione d'inchiesta (Enquete Kommission) “Schutz des Menschen und der Umwelt” istituita nel 1995 presenta il rapporto finale denominato

“Konzept Nachhaltigkeit – Vom Leitbild zur Umsetzung”(Programma

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Sostenibilità – Dalla Teoria alla Pratica). Anche qui viene ripresa la triplice dimensione ecologico -economico - sociale con l’obiettivo di creare innovazioni atte a promuovere lo sviluppo sostenibile sia a livello istituzionale che strumentale. La strategia per lo sviluppo sostenibile prevista dalla commissione non è però esente da direttive ecologiche (quindi un approccio legislativo, tipico per la società tedesca come vedremo in seguito) che verranno concordate con gli obiettivi economici e sociali. Viene inoltre proposta la creazione di un Consiglio per lo sviluppo sostenibile (Nachhaltigkeitsrat) . Questo fu effettivamente fondato nel 2001 dal governo federale con il compito di contribuire alla realizzazione di una “strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile” e di fare dello sviluppo sostenibile una problematica di interesse comune. Ma la coalizione rosso-verde non si ferma: nel 2000 verrà fondata una commissione dei segretari di Stato per lo sviluppo sostenibile (Staatssekretärausschuss für Nachhaltige Entwicklung) seguendo come modello il “Green Cabinet” del Regno Unito. La problematica esce quindi dalla sfera di competenze del Ministero dell'Ambiente e diventa un impegno trasversale per tutti i Ministeri. Dal 2002 la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile è sotto la responsabilità dell'ufficio del cancelliere.

Ma non è solo la coalizione rosso-verde ad interessarsi di misure per lo sviluppo sostenibile. Dopo la presentazione del progetto della maggioranza per una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, il partito della sinistra (PDS) presenta 21 indicatori per il 21esimo secolo ( 21 Indikatoren für das 21.

Jahrhundert ) riprendendo ciò che è stato auspicato dalla Conferenza di Rio, cioè di creare una serie di “Agende Nazionali e Locali” per lo sviluppo sostenibile. La proposta della PDS è quella, appunto, di misurare lo sviluppo sostenibile in base a 21 indicatori, tra cui 8 punti chiave. Ognuno di questi indicatori si pone degli obiettivi a breve o medio termine, che vengono

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aggiornati ogni due anni dal governo in base ai dati forniti dall’Ufficio federale di Statistica. Lo sviluppo sostenibile è quindi il concetto che accomuna tutti i partiti tedeschi, dal centro-destra alla sinistra e tutti i Ministeri. Le misure per la politica ecologista sono sempre state portate avanti anche con i cambi di governo, il che spiega anche il successo della Germania in questo campo.

L’unica questione, peraltro attuale, che è diventata motivo di disaccordo tra maggioranza e opposizione è la chiusura delle centrali nucleari, fortemente voluta dalla coalizione rosso-verde ma rimandata per motivi economici dall’attuale coalizione di centrodestra.

Con i 21 indicatori della PDS viene confermata l’esigenza di integrare il concetto di sviluppo sostenibile in tutti gli ambiti politici. La politica ambientale tedesca si trasforma in messa in pratica della sostenibilità (“Umwelt ist praktizierte Nachhaltigkeit”15) prendendo in considerazione per ogni misura politica le conseguenze ambientali, economiche e sociali.

Di seguito verranno elencate le misure in materia di politica ambientale più significative del quadro politico tedesco che in gran parte fungono da punto di riferimento per il contesto europeo.

Prima fra tutte la “La riforma ecologica del sistema fiscale” (Ökologische Steuerreform). Essa prevede l’introduzione di una tassa su energia e carburanti (escluse ovviamente le energie rinnovabili, per favorirne la competitività) che verrà compensata con una diminuzione percentuale dei contributi per l’assicurazione pensionistica. In compenso viene premiato l’utilizzo di energie

“verdi”. Il risultato è una diminuzione del 15% dei consumi e del 3% delle emissioni di biossido di carbonio. Inoltre, l’efficacia di tale misura è stata

15In : Integration des Umweltschutzes in die Fachpolitiken, Bundesministerium für Umwelt, Naturschutz und Reaktorsicherheit, März 2007

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comprovata dall’istituto tedesco per la ricerca economica (Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung- DIW) che, incaricato da Greenpeace, ha condotto uno studio sull’efficacia della tassa sull’energia e sulle sue ripercussioni economico-sociali. Il verdetto è più che positivo: La riforma ecologica del sistema fiscale non contribuirebbe solo ad una diminuzione dei consumi e quindi ad una riduzione delle emissioni di gas tossici ma comporterebbe anche vantaggi dal punto di vista economico e sociale: tale direttiva ha infatti contribuito alla creazione di 250.000 posti di lavoro nell’ambito delle tecnologie per l’innovazione ecologica.

Ma questa non è l’unica misura nell’ambito delle energie: il governo federale ha inaugurato una vera e propria “svolta”, in tale settore (Energiewende). Essa prevede tra l’altro l’abbandono dell’energia nucleare per ragioni non solo etiche ed ecologiche ma anche per considerazioni politiche. Si favorisce così l’entrata nel mercato di tecnologie più efficienti ed energie rinnovabili. Il progetto prevede nella fattispecie la chiusura delle centrali nucleari in seguito alla produzione di una quantità prefissata di energia. Tale misura ha favorito un vero e proprio boom delle energie rinnovabili (si passa dal 5,2% nel 1998 al 10,2% nel 2005) per le quali la Germania ha deciso di introdurre una regolamentazione: si tratta della legge del 2000 sulle energie rinnovabili (EEG- Gesetz) che prevede l’immissione di energie rinnovabili nella rete nazionale tramite i principali gestori. (HOLZER:2007:77) Questi vengono quindi praticamente obbligati ad integrare le energie “verdi” nella fornitura nazionale in cambio di agevolazioni che servono a coprire i costi per l’espansione delle rinnovabili, in particolare per l’energia eolica. L’obiettivo della legge è quello di aumentare la percentuale delle energie rinnovabili al 12.5% del volume

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energetico complessivo entro il 2010 e del 20% entro il 202016. La legge sulle energie rinnovabili viene affiancata dal cosiddetto “Kraft-Wärme- Koppelungsgesetz” (Legge sulla cogenerazione) (KWK-Gesetz). Tale legge prende spunto dalla direttiva 2004/8 del Parlamento europeo sulla

“produzione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell’energia”. La direttiva intende accrescere l'efficienza energetica creando un quadro per la promozione e lo sviluppo della cogenerazione. Con il termine cogenerazione si intende la generazione simultanea in un unico processo di energia termica ed elettrica o meccanica. In altre parole, la direttiva prevede l’utilizzo del calore emesso dalle centrali elettriche per generare a sua volta energia.17 L’utilizzo di questa tecnica viene premiato in Germania con un parziale rimborso dei consumi annuali di energia elettrica: l’obiettivo è produrre, entro il 2020, un quantitativo di energia pari al 20% dell’erogazione complessiva di energia elettrica. La cogenerazione è, data la sua efficacia, tra le tecnologie più importanti per la Germania in termini di sviluppo sostenibile dell’economia energetica.

Tra i settori di maggiore rilievo per la legislazione ambientale tedesca c’è anche quello dei rifiuti. Al centro della politica dei rifiuti tedesca vi è la protezione delle risorse (Stoffstromorientierte Ressourcenschonung – salvaguardia delle risorse mediante i flussi di materia). La gestione dei rifiuti è l’attività che pesa maggiormente sul fatturato totale delle imprese di tutta l’Unione europea18. In

16L‘obiettivo è stato largamente superato: secondo il bdew (Bundesverband für Energie und Wasserwirtschaft) già nel 2009 è stata raggiunta la quota del 18,19% di energie rinnovabili. Per questo motivo è stato prefisso l’obiettivo del 30% per il 2020.

17http://www.ecotermica.com/cogenerazione.asp

18Il risultato emerge da uno studio condotto nel 2001 dall’IGEAM sotto il coordinamento dell’ENEA ed il Ministero dell’Ambiente

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questo contesto la Germania, attraverso il “Kreislaufwirtschafts- und Abfallgesetz” (Legge per l’economia a ciclo chiuso e per i rifiuti) ha cambiato completamente approccio in materia di smaltimento dei rifiuti coniugando la produzione dei rifiuti con l’andamento economico grazie alla cosiddetta

“Kreislaufwirtschaft” (economia del ciclo di vita del prodotto) . Essa comporta la responsabilità per il prodotto (Produktverantwortung) e prevede che sarà il produttore, e non i comuni, ad assumersi la responsabilità di evitare, ridurre, riciclare e smaltire (vermeiden, verwerten, entsorgen) in maniera ecologica i rifiuti - e la creazione di un’economia dei materiali (Stoffwirtschaft) il cui obiettivo è quello di fare dei rifiuti di determinati prodotti materie prime per altri.

La legge sui rifiuti viene affiancata dalla cosiddetta Verpackungsverordnung (direttiva sui materiali di confezionamento) che obbliga al recupero degli stessi da parte del produttore al termine del loro uso. Per garantire il ritorno di tutte le confezioni vi è l’obbligo del deposito per il vuoto (Pfandpflicht). I materiali di confezionamento, quindi, non vengono più considerati come rifiuti, bensì come prodotti riutilizzabili (Wertsoff) e, in quanto tali, non sono più contemplati dalla legge sui rifiuti. Tale differenziazione ha portato alla creazione di un’organizzazione privata addetta alla selezione ed alla raccolta del materiale riutilizzabile denominata “Duales System Deutschland” e meglio nota come “Grüner Punkt”. Essa, in alternativa al deposito per il vuoto, inoltra il materiale direttamente al produttore (responsabile per lo smaltimento degli imballaggi) oppure a società commissionate per lo smaltimento. Il tutto viene supervisionato dai cosiddetti “Garantiegeber”, cioè società, responsabili per il riciclaggio dei materiali.

Dal punto di vista ecologico è stata registrata, dieci anni dopo l’adozione della legge, una graduale diminuzione del deposito di rifiuti non trattati. Inoltre è

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stato stimato che, grazie al divieto di deposito per i rifiuti combustibili (Deponierungsverbot) vi è stato un risparmio di 20 tonnellate di biossido di carbonio.19Uno studio della IFEU Heidelberg rivela che l’emissione di gas tossici per il clima dovuta allo smaltimento dei rifiuti è diminuita per un valore di circa 30 milioni di tonnellate di CO2 per il periodo 1990-2005. Anche in questo caso, l’introduzione della legge ha comportato vantaggi non solo per l’ecologia:

l’economia dello smaltimento cresce creando nuovi posti di lavoro20. ll contributo della politica dei rifiuti tedesca in materia di sviluppo sostenibile è stato inoltre raccolto nella pubblicazione “Beitrag der Abfallwirtschaft zur nachhaltigen Entwicklung Deutschlands” (Contributo dell’economia dei rifiuti per lo sviluppo sostenibile della Germania) nella rivista “Umwelt” del Ministero per l’Ambiente. Lo studio rivela un aumento della quota di riciclaggio dal 12%

del 1990 al 46% del 2001 per i rifiuti domestici; tale valore è tra i più alti al mondo. La produzione di rifiuti invece è rimasta costante per quel periodo. Ciò lascia dedurre che, considerando la crescita economica del 15% (crescita del PIL dal 1992 al 2001) non vi è più una dipendenza tra crescita economica e produzione di rifiuti.

I due esempi in materia di politica ambientale ci mostrano, che all’interno di queste misure, vi sono vari strumenti per la messa in pratica delle politiche ecologiche: innanzitutto vi sono le ordinanze e le leggi a carattere obbligatorio.

Nel caso della Germania vi sono oltre 14.000 norme giuridiche in materia di protezione dell’ambiente.21(BANSE;KIEPAS:2005:45) L’approccio normativo è

19 Fonte: Nationales Inventarbericht

20Tali conclusioni emergono dall’allora Ministro per l’ambiente Angela Merkel in un discorso del 1996, due anni dopo l’adozione della legge (http://www.bmu.de/pressearchiv/13_legislaturperiode/pm/891.php)

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suddiviso in tre strumenti: gli ordinamenti (come i due esempi sopracitati), le imposte (approccio economico), come ad esempio quelle per l’energia, che devono essere sempre compensate con risparmi in altri settori per essere accettati dalla popolazione, e le licenze e i certificati (si pensi solo a quelli per l’emissione di gas tossici, come previsto dal protocollo di Kyoto). Questi 3 strumenti vengono anche chiamati “ökologische Lenkungsabgaben“ (imposte guida per l‘ecologia). (PRIEWE:1998:26) I criteri per la scelta di uno strumento piuttosto che l’altro dipendono, secondo Priewe, dalla garanzia di successo in ambito ecologico, dall’attuabilità in campo amministrativo e dal rapporto costi/rendimento in termini economici.

Ma l’approccio normativo è anche soggetto a critiche: secondo lo stesso Priewe esse sarebbero un peso ingiusto per gli imprenditori, costretti a combattere con la competitività dei mercati esteri. Inoltre, un mero approccio normativo frenerebbe la creatività in materia di nuove strategie innovative, e non spingerebbe le imprese a raggiungere prestazioni ambientali migliorative.

Secondo Fischer “Questa ipertrofia legislativa è il risultato di una politica ambientale tesa a controllare e reprimere le emissioni piuttosto che a influenzare i modelli di produzione e di consumo” (FISCHER:1997:669)

L’alternativa all’approccio normativo sono i cosiddetti “Accordi Volontari”

(Selbstverplichtungen). Un accordo volontario è un accordo in virtù del quale la legislazione ambientale applicabile è sospesa, le aziende possono operare secondo criteri da loro ritenuti più convenienti, purché il risultato finale sia analogo da quello eventualmente previsto dalla legislazione. Gli strumenti volontari sono uno strumento relativamente recente, sviluppatosi nei paesi OCSE nell’ambito di cooperazione tra imprese e amministrazioni pubbliche. Un esempio di accordo volontario è quello concluso, in materia di protezione del clima, tra il governo federale tedesco e l’industria tedesca: l’accordo prevede

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entro il 2012 una riduzione dei gas nocivi del 35% rispetto ai valori del 1990. È difficile stabilire se è più efficace un approccio più “severo” come quello degli ordinamenti e le imposte o un approccio più “libero” attraverso gli accordi volontari. La scelta deve essere fatta anche considerando la società alla quale si applica: Nel caso tedesco ci troviamo dinanzi ad una società abituata ad una legislazione più severa che accetta maggiormente le imposte richieste dallo Stato soprattutto se queste favoriscono una posizione ecologista che accomuna tutti i ceti sociali.

Ma il ruolo dello Stato cambia anche in Germania: Il Prof. Andreas Troge (Presidente dell’Umweltbundesamt dal 1995 al 2009) parla di “der gestaltende und moderierende Staat”. Le pubbliche amministrazioni sono sempre meno attori della politica ambientale (gestaltend) e assumono man mano il ruolo di moderatori di quest’ultima (moderierend). Lo Stato diventa quindi colui che fornisce il campo di gioco sotto forma di obiettivi di qualità ambientale (Umweltsqualitätsziele22). Per Troge lo sviluppo sostenibile è un processo, che si muove all’interno di condizioni generali molto vaste e che è soggetto ad evoluzioni di vario tipo dal punto di vista tecnico, ecologico, sociologico, economico. L’ecologia diventa quindi un fattore di produzione con un ruolo completamente nuovo: essa non deve essere più “a buon mercato” per limitare i costi di produzione, bensì diventa un fattore nel quale vengono ottimizzati i consumi, sfruttate al meglio le risorse in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati. Si parla quindi di “ecologia industriale” : il termine è stato coniato in inglese (“industrial ecology”) negli anni ‘80 per descrivere il movimento, in alcuni paesi, impegnato a sfruttare materie prime, energia e rifiuti: nei sistemi

22Troge differenzia gli obiettivi di qualità ecologica (Umweltqualitätsziele), cioè un determinato stato dell’ecologia auspicato (ad esempio limitazione del surriscaldamento terrestre) dagli obiettivi d’azione ecologica (Umwelthandlungsziele), cioè le azioni necessarie affinché gli obiettivi di qualità ecologica possano essere raggiunti (ad esempio la riduzione dell’emissione di gas responsabili per l’effetto serra)

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industriali, lo scopo è quello di valorizzare i rifiuti degli uni come materie prime degli altri. Il principio di base dell’ecologia industriale è quello che il sistema industriale evolva secondo leggi e logiche analoghe a quelle del sistema ecologico.(BRUNORI;MORABITO:2009:75)

Di conseguenza, l'ecologia industriale offre prospettive interessanti per migliorare ulteriormente l'efficienza della gestione delle risorse nell'industria.

Tale disciplina richiede diverse competenze facenti parte delle strategie di sviluppo sostenibile, che sono, in ordine di tempo, l’ultimo approccio verso la politica ecologica e lo sviluppo sostenibile. Nel capitolo seguente verranno prese in esame proprio le strategie di sviluppo sostenibile, considerando che tale argomento è molto più presente nella letteratura tedesca che non in quella italiana.

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2.Le strategie per lo sviluppo sostenibile

Con le strategie per lo sviluppo sostenibile entriamo nella seconda fase della problematica ecologica. Le definizioni dei percorsi da compiere e gli accenni a vari modelli di soluzione discussi negli incontri internazionali vengono finalmente concretizzati con misure di vario tipo. Molte di esse sono in parte antecedenti a tali incontri ma vengono messe in atto solo negli anni novanta, in cui assistiamo ad un vero e proprio boom di provvedimenti politici, innovazioni tecnologiche, ordinamenti, programmi e modelli descritti in questo capitolo con il termine “strategie”. Tali strategie non hanno tutte conseguito i risultati sperati, al contrario, a distanza di anni sappiamo che esse hanno in parte contribuito all’abuso del termine “sostenibile”, termine che in questa seconda fase diventa un vero e proprio fenomeno di moda, svuotato del significato originario, per scopi meramente consumistici e non ecologici.

Descrivere tutte le strategie messe in atto finora sarebbe stato un lavoro lungo e poco adatto a far luce sulla problematica ecologica in modo sintetico; per questi motivi verranno elencate le strategie più importanti in termini di innovazione ed efficacia. Esse sono in parte già note al lettore informato che potrà quindi approfondirne la conoscenza. Altre invece sono all’apparenza sconosciute ma non per questo meno importanti: spesso si tratta di normative ignote all’opinione pubblica ma indispensabili per conseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile.

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2.1. Le certificazioni ambientali ISO e EMAS23

Tra le strategie per lo sviluppo sostenibile troviamo in primo luogo i cosiddetti standard per la certificazione ambientale. In questo caso parliamo dei cosiddetti strumenti volontari che non hanno quindi carattere vincolante. Essi si sono diffusi a livello internazionale dagli anni ‘70, con l’obiettivo di coinvolgere tutti i soggetti interessati alle politiche per lo sviluppo sostenibile.

Si può distinguere tra 2 tipi di certificazione: quelle legati ai processi produttivi (come ISO 14001 e EMAS, appunto), e quelle legate a prodotti e servizi (l’Ecolabel europeo, etichette nazionali).

Primi fra tutti, per ordine di importanza, troviamo gli standard di qualità ISO (International Organization for Standardization), che hanno origine nel settore privato, nel quale gli studi in campo ambientale hanno portato nel 1993 all’istituzione, in sede ISO, del Technical Committee TC20724,con lo scopo di standardizzare gli aspetti relativi ai Sistemi di Gestione Ambientale di impresa (SGA; Umweltmanagementsysteme - UMS). Viene così varato lo standard ISO 14000 al cui interno trovano spazio le problematiche dell’etichettatura ecologica dei prodotti (Umweltkennzeichnungen) ISO 14020, l’analisi del ciclo di vita, meglio nota con l’acronimo LCA25 (Ökobilanz) ISO 14040, gli Audit

23Rispettivamente International Organisation for Standardisation. e Eco Management and Audit Scheme (vedi infra)

24L’istituto tedesco per la standardizzazione DIN ha partecipato attivamente al TC207.

25La nozione LCA (Life Cycle Analysis) verrà definita in seguito.

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Ambientali26 (Öko Audit) certificati da ISO 14010 e l’ecoprogettazione (Ökologische Produktentwicklung) con ISO 14062. Con questo tipo di valutazione la questione sulla sostenibilità o meno di un prodotto viene risolta dalla radice: si entra nel nucleo degli stabilimenti e nelle imprese per esaminare tutte le fasi della produzione.

I vantaggi di tale approccio sono plurimi e facilmente intuibili. Inoltre, ciò che secondo Brunori e Morabito è innovativo nella certificazione ambientale è la valenza plurima a livello di: competitività e mercato, approvazione da parte delle pubbliche amministrazioni, condivisione di responsabilità nella gestione di problematiche ambientali ed il coinvolgimento di diversi stakeholder per la creazione di meccanismi di mercato che colleghino eccellenza ambientale e vantaggio competitivo. (BRUNORI, 2009:135ss.)

EMAS

L’EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) è la certificazione ambientale europea, istituita dalla Commissione europea e controllata, in Italia dal Comitato per l’Ecoaudit e l’Ecolabel e dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione della Ricerca Ambientale), in Germania da una commissione d’esperti in materia ambientale (Umweltgutachterausschuss).

L’ISPRA definisce così l’approccio EMAS:

26L'Audit Ambientale è un processo di verifica, sistematico e documentato, per fornire evidenze oggettive che determinate attività, condizioni, sistemi di gestione ambientale, sono conformi ai criteri fissati per l'audit e per comunicare i risultati di questo processo.

(27)

L’EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) è uno strumento volontario europeo che affianca gli strumenti della regolazione diretta (command and control27) e punta ad internalizzare28gli obiettivi di qualità ambientale nella gestione delle imprese e delle organizzazioni. Esso si può considerare parte di ISO e viceversa, dato che contengono SGA coerenti29, ma differisce da ISO in quanto richiede la pubblicazione di una Dichiarazione Ambientale, ed offre quindi alle imprese l’opportunità di un riconoscimento pubblico e la diffusione delle informazioni riguardo al miglioramento delle proprie prestazioni ambientali. Può essere considerato un contratto con il quale l’impresa offre trasparenza in materia ambientale e garanzie di miglioramento, migliore efficienza, posizione competitiva sul mercato e migliori relazioni con azionisti, gruppi di interesse e cittadini. 30

Sia per le certificazioni ISO che EMAS è previsto un riconoscimento formale sotto forma di “Etichette ecologiche di prodotto31” (Umweltzeichen), che vengono classificate da ISO in 3 categorie: Le etichette di tipo I (ISO 14024) sono caratterizzate dal possesso di requisiti ecologici predefiniti, non

27Viene definito ”command and control” l’approccio che utilizza strumenti fiscali ed economici per risolvere i problemi dell’inquinamento. Esso è strettamente legato al modello “end of pipe” (interventi a valle del processo produttivo) (BRUNORI MORABITO:2009:105)

28Il termine deriva dall’inglese to internalize “interiorizzare” ed appartiene prevalentemente al linguaggio economico per indicare un procedimento attraverso il quale è possibile correggere l’inefficienza allocativa derivante dall’esistenza di esternalità. (Dizionario economico www.simone.it)

29Lo standard di riferimento per il SGA dell’EMAS è il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001 “sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema di ecogestione e ecoaudit (EMAS)”, per ISO invece vi è la norma internazionale UNI EN ISO 14001:2004 “Sistemi di Gestione Ambientale – Requisiti e guida per l’uso.”

30http://www.apat.gov.it/certificazioni/site/it-it/EMAS/Incentivi_e_agevolazioni/Normativa_nazionale/

31Così definite da Brunori e Morabito

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prevedono uno studio di LCA e vengono convalidate da parte di un verificatore accreditato (Zertifizierte Ökolabel). Un esempio storico di etichetta di tipo I è il

“Blauer Engel”(angelo azzurro), istituito in Germania nel lontano 1977. Per l’Europa troviamo invece l’Ecolabel (con il logo della margherita), introdotto nel 1992 con il Regolamento CE 880 che premia prodotti e servizi con un ridotto impatto ambientale nel loro intero ciclo di vita. Le etichette di tipo II (ISO 14021), invece, sono autocertificazioni che possono riguardare anche una sola caratteristica ambientale di prodotto (Selbstdeklarationen). Le certificazioni di tipo III (ISO 14025) riguardano infine le quantificazioni degli impatti ambientali associati al ciclo di vita di un prodotto (Produktdeklarationen).

Il VI Programma d’Azione per l’Ambiente della Comunità europea sottolinea la propensione a diffondere le certificazioni ambientali volontarie, e afferma che:

“Ciò spingerà le imprese a reagire con innovazioni ed iniziative manageriali che sproneranno crescita, redditività, competitività ed occupazione;

permetterà inoltre ai consumatori di adottare uno stile i vita più ecologico operando scelte informate”32

E cita tra le azioni:

“Incoraggiare una più ampia adozione del programma comunitario di eco gestione e audit (EMAS) e sviluppare misure che incoraggino un maggior

32COM/2001/0031 def. – Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni sul Sesto programma d’azione per l’ambiente della Comunità europea “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”.

(29)

numero di imprese a pubblicare relazioni rigorose e certificate da esperti indipendenti in materia ambientale o sviluppo sostenibile”33

Tra i punti deboli delle certificazioni ambientali vi è indubbiamente la questione economica: è ovvio che una certificazione comporta dei costi (per eventuali servizi di consulenza esterni, per il personale interno da destinare alla gestione ambientale, per le verifiche ispettive, ecc.) che incidono poi sui prezzi di prodotti e servizi. D’altro canto si prospettano benefici finanziari a medio termine, quali ad esempio riduzione dei premi assicurativi, dei costi energetici, dei costi relativi al consumo di materie prime, al consumo d’acqua e alla produzione dei rifiuti. Esse contribuiscono inoltre al miglioramento delle condizioni contrattuali il che favorisce a sua volta un clima di consenso e di partecipazione nella società civile34. Per agire sul meccanismo dei prezzi, ed evitare quindi dei costi troppo elevati, è necessario far leva su due strumenti:

gli incentivi statali e l’applicazione del principio “chi inquina paga”. In Germania le certificazioni vengono incentivate da tutti i Bundesländer In Italia, invece, non sono previsti incentivi né per la certificazione EMAS né per quella ISO, unica eccezione è la Regione Toscana dove è previsto un abbattimento dell’IRAP dell’1% per l’EMAS e dello 0,6% per la certificazione ISO35. Tale politica si riflette quindi sulla diffusione delle certificazioni: nel 2008 sono state registratI, nell’UE, 3966 certificati EMAS, dei quali solo 779 provenienti

33Ibidem.

34“Costi, benefici e aspettative della certificazione ISO 14001 per le imprese italiane”- indagine CESQA-SINCERT 2006 – Università degli Studi di Padova – Centro Studi Qualità Ambiente, dicembre 2008.

35http://ius.regione.toscana.it /pro/cdg/rmm/rappleg/pdf/azioni/6-azioni-economia.pdf

(30)

dall’Italia. La Germania, invece, supera la media europea con 1453 certificati registrati. (BRUNORI - MORABIT0:2009:150). Per quanto riguarda l’Italia, tale strategia non può ancora rivelarsi efficace a contrastare la problematica ambientale dato il numero delle imprese che la adotta è ancora troppo basso.

Il ritardo italiano è dovuto anche al fatto che il paese è tra le poche nazioni industriali a non possedere un’etichetta ecologica nazionale. Ci sono inoltre problemi quali il deficit di tecnologia, gli insufficienti investimenti nella ricerca, gli errori nelle incentivazioni delle imprese e l’inadeguata politica di credito.

Tali lacune sono già state sottolineate nel 2002, nella Strategia d’Azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia.

La Germania è stata il primo paese ad adottare un’etichetta nazionale con il

“Blauer Engel”, che è quindi il marchio di qualità ambientale più longevo. Esso conta oltre 3600 tra prodotti e servizi suddivisi in oltre 100 categorie.

L’esempio tedesco è stato seguito da altri paesi quali Danimarca, Svezia, Finlandia e Islanda (che insieme adottano il certificato “White Swan”), Francia (“NF Environment”), Paesi Bassi (“Milieukeur”), Austria (“Umweltzeichen”) e Spagna (“Aenor- Medio Ambiente”). L’unico marchio utilizzato in Italia è quindi l’Ecolabel, che tuttavia presenta dei limiti: oltre all’applicabilità a poche categorie di prodotti/servizi, vi sono controversie in sede comunitaria per stabilire i criteri per il rilascio del marchio ai singoli paesi.

Tra i punti critici dell’Italia, Brunori e Morabito menzionano inoltre la mancanza di provvedimenti di incentivazione, un’insufficiente sensibilizzazione ed

(31)

informazione da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti del consumatore. (BRUNORI;MORABITO, 2009:153).

Tornando all’EMAS, esso ha appena concluso la seconda fase di revisione (EMAS III è divenuto legge dell’Unione nel gennaio del 2010). Le revisioni, sono dovute al fatto che non vi è stata una grande adesione allo schema Comunitario, soprattutto da parte del mondo delle imprese manifatturiere che ancora preferiscono la certificazione ISO 14001.

Secondo Molinas, L’EMAS stesso è stato messo in discussione negli ultimi anni dato che si tratta di un’organizzazione complessa e costosa ed è un sistema la cui efficacia in termini di miglioramento è paragonabile a quella dello standard internazionale ISO:

“l’attuale schema si basa sull’utilizzo di un sistema di gestione ambientale (conforme a EN ISO 14001) e non prescrive il raggiungimento di un livello prefissato di performance ambientale. Quantunque il Regolamento richiami continuamente l’attenzione sugli aspetti sostanziali (prestazioni) piuttosto che su quelli formali (documentazione), un’organizzazione potrebbe mantenere teoricamente la registrazione, una volta ottenuta, senza ulteriori oneri sostanziali se non quelli legati alla conformità legislativa. Questo non garantisce l’efficacia nel migliorare le prestazioni ambientali delle organizzazioni che è l’obiettivo sostanziale di EMAS per contribuire alla qualità dell’ambiente all’interno dell’Unione.”(MOLINAS, 2007:27-28)

(32)

Un secondo elemento importante riguardo alle revisioni di EMAS è emerso da una critica molto forte, fatta da alcuni settori del mondo ambientalista e dei consumatori, che si riferisce alle prestazioni ambientali delle organizzazioni registrate36. Infatti, EMAS e EMAS II (ma anche ISO 14001) non prescrivono il raggiungimento di obiettivi minimi e non spronano le imprese a perseverare nel miglioramento. Ciò ha fatto sì che le aziende, dopo il conseguimento della prima registrazione non si sforzassero per conseguire altri obiettivi in termini ambientali. L’Unione Europea ha cercato di contrastare questo fenomeno con due misure: esse sono la creazione di indicatori ambientali per una comunicazione più precisa delle prestazioni e la creazione di un benchmarking37 tra imprese e altri settori che permettono la diffusione delle cosiddette BAT (Best Aviable Pactices – migliori pratiche disponibili). In particolare la seconda misura è finalizzata a venire incontro alle imprese informandole in modo del tutto semplice e gratuito, delle nuove tecnologie e metodi di produzione vantaggiosi da punto di vista ecologico. Trattandosi delle certificazioni ambientali di accordi volontari, è importante che essi non diventino troppo

“severi” dato che ciò comprometterebbe la volontà di adesione da parte delle imprese . D’altro canto è necessario che tale strategia inizi a diffondersi per favorire anche la consapevolezza da parte del consumatore dell’esistenza di tali metodi di produzione. Le misure dell’UE sono senz’altro promettenti, ma è ancora troppo presto per poter parlare di risultati.

36http://emascavalese.com/sectionfiles/59_newsletter_emas_n1_2010.pdf

37Il benchmarking ambientale è tra gli strumenti di gestione d’impresa più innovativi. In generale

benchmarking (posizionare, identificare punti di riferimento) è il processo di identificazione, comprensione, e adattamento delle migliori pratiche, proprie o di altre organizzazioni, allo scopo di migliorare le performance.

(Beyond Controlling Magazine,2004, www.beycon.com)

(33)

Confrontando le certificazioni EMAS e ISO, si notano alcune differenze a vantaggio della prima:

L’EMAS prevede in maniera obbligatoria la redazione della fase di “Analisi ambientale iniziale38”(Voraudit) che nella norma ISO 14001 è solo consigliata.

In secondo luogo, l’EMAS richiede la “Dichiarazione Ambientale” non prevista dalle norme internazionali dell'ISO. L’EMAS è quindi una certificazione più

“trasparente” per il consumatore e può riscuotere più facilmente consensi.

Infine, bisogna puntualizzare che L’EMAS ha le sue radici nella Legislazione UE, e non, come ISO, nella standardizzazione proveniente dal settore privato. E’

per questo motivo che l’EMAS viene preferito dalle autorità ambientali europee, prime fra tutte quelle tedesche.

2.2. Tecnologie di prodotto: l’eco-innovazione

Nel quadro delle strategie per lo sviluppo sostenibile, le certificazioni ambientali svolgono la funzione di strumento dell’eco-innovazione. Il termine si riferisce ad ogni tipo di innovazione, che persegue l’obiettivo di uno sviluppo equo39e sostenibile mediante la diminuzione dell’impatto ambientale o di un uso più consapevole ed efficiente delle risorse naturali. Questo non vuol dire che l’eco-innovazione si limiti solo alle tecnologie che hanno un impatto

38L'Analisi Ambientale Iniziale (di seguito AAI) consiste in un'esauriente analisi dei problemi, dell'impatto e delle prestazioni ambientali connesse all'attività di un'organizzazione.

39Equo in quanto non svantaggia i paesi che rispettano l’ambiente dal punto di vista dell’impronta ecologica

(34)

positivo sull’ambiente. Secondo un’altra definizione le tecnologie cosiddette eco-innovative sono quelle che, paragonate con quelle precedenti, hanno un impatto minore sull’ambiente, qualsiasi sia la loro funzione o applicazione40. (KLEMMER;LEHR;LÖBBE, 1999:29)

Lo sviluppo di un mercato degli eco prodotti è certamente trainato dalle nuove regolamentazioni che entrano man mano in vigore.

In questo contesto, l’Unione europea, prefigura già nel 1996, nel “Libro Verde sulla politica integrata dei prodotti" il ricorso allo strumento “Green public procurement” (italiano: “Acquisti verdi della Pubblica amministrazione”, tedesco: “Grüne Beschaffung”), che prevede la rapida diffusione di acquisti verdi nel settore pubblico. La strategia degli acquisti verdi all’interno delle

“Politiche di Consumo e Produzione Sostenibili (PCS)” verrà trattata in seguito.

L’eco-innovazione è dunque un processo che ha le sue origini nell’industria e nell’impresa. I due filoni principali dell’eco-innovazione sono gli stessi delle certificazioni ambientali: prodotto/servizio e processo (BRUNORI;MORABITO:2009:167).

La promozione delle eco-innovazioni rappresenta un obiettivo importante dell’Unione europea, anche se la messa in pratica delle politiche è spesso caratterizzata da ostacoli e lacune. Ciò viene evidenziato da uno studio che prende in esame 24 politiche e 3 strategie quadro dell’Unione europea condotto da Julia Hertin, Klaus Jacob e Walter Kahlenborn incaricati dal

40traduzione dal tedesco: “alle Innovationen, die der Verbesserung der Umwelt dienen, gleichgültig, ob diese Innovationen auch u.a. (ökonomischen) Gesichtspunkten vorteilhaft wären“

(35)

Ministero per l’Ambiente tedesco di valutare le strategie europee in materia di eco-innovazione. (2008:3)

Tra le 24 politiche per l’eco-innovazione la pubblicazione ne individua tre di grande rilievo.

- L’ETAP, il Piano d’Azione per le tecnologie ambientali (Environmental Technologies Action Plan), adottato dalla Commissione Europea il 28/01/2004, che persegue come obiettivi principali l’eliminazione degli ostacoli che impediscono di realizzare tutte le potenzialità delle tecnologie ambientali e l’acquisizione di leadership da parte dell’Unione europea nella loro applicazione41.

- Il Programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP – Competitiveness and Innovation Programme) 2007-2013 della Commissione europea, che si concentra prevalentemente sulle piccole e medie imprese: esso sostiene le attività innovative (ivi compresa l’eco innovazione), offre un accesso migliore ai finanziamenti ed eroga servizi di supporto alle aziende42. Il periodo d’attuazione è il 2007-2013, con un budget complessivo di 3621 milioni di euro.43

- La Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo “Politica Integrata dei prodotti – sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale” del 18/06/2003 che ribadisce i motivi per i quali è necessaria una dimensione di prodotto nella politica ambientale, descrivendo l’approccio della politica integrata dei prodotti (IPP) e indicando le azioni che l’Unione europea deve intraprendere per favorirne l’adozione.

41http://europa.eu/legislation_summaries/enterprise/interaction_with_other_policies/l28143_it.htm

42ftp://ftp.cordis.europa.eu/pub/fp7/docs/practical-guide-rev2_it.pdf

43http://europa.eu/legislation_summaries/energy/european_energy_policy/n26104_it.htm

(36)

Il fatto che vi siano ben 24 politiche che promuovono direttamente o indirettamente le eco-innovazioni lascia intendere che queste ultime rappresentano un obiettivo politico importante per l’Unione europea. Lo studio svela tuttavia, che queste strategie presentano numerose lacune: innanzitutto una carenza di azioni concrete quali ad esempio lo stanziamento di fondi o la definizione di attività e obiettivi concreti. Inoltre vi è il problema della disponibilità dei mercati.

In questo contesto Hemmerskamp sottolinea che le eco-innovazioni dovrebbero essere menzionate come obiettivo esplicito, e che la loro promozione non può essere un compito affidato solamente alla politica ambientale. Egli propone la creazione di un quadro politico più vasto che comprenda strategie coerenti. (HEMMERSKAMP:1999:105)

Hertin, Jacob e Kahlenborn hanno ripreso questo pensiero individuando 3 strategie generali (Rahmenstrategien) all’interno dell’Unione europea che si occupano in un certo qual modo delle eco-innovazioni ricoprendo campi tematici diversi . Esse sono: la Strategia di Lisbona, La Strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile, ed il programma “Legiferare meglio”44della Commissione europea.

La Strategia di Lisbona rappresenta l’iniziativa più vasta in termini di sviluppo economico e sociale all’interno dell’Unione europea. La componente dedicata alla politica ambientale sottolinea la promozione e la diffusione delle eco-

44Comunicazione della Commissione: “Governance europea:Legiferare meglio, Bruxelles, 5.6.2002 COM(2002) 275 definitivo

(37)

innovazioni. Tra gli obiettivi compare: “promuovere tutte le forme di innovazione, compresa l’eco innovazione”45

Nel capitolo “Attività di eco-innovazione” vengono menzionati obiettivi concreti:

“[…] coinvestimenti in fondi di capitale, promozione di reti per l’eco innovazione, promozione di approcci integrati all’eco innovazione in settori quali la gestione ambientale e la progettazione ecocompatibile di prodotti, processi e servizi tendendo conto del ciclo di vita completo.”46

Per quanto riguarda la Strategia per lo sviluppo sostenibile dell’UE, essa risale al 2001, ma è stata aggiornata nel 2006, sotto la presidenza dell’Austria, alla luce delle carenze riscontrate e per far fronte ai nuovi problemi. La nuova strategia, che è strettamente legata alla politica energetica e a quella sul cambiamento climatico, sottolinea l'importanza dell'istruzione, della ricerca e dei finanziamenti pubblici per lo sviluppo di modelli di produzione e di consumo sostenibili. Essa si differenzia dalla precedente per l’istituzionalizzazione di un processo di revisione degli obiettivi da conseguire, i cosiddetti “obiettivi chiave” che riguardano 7 ambiti diversi, nei quali figurano sempre le eco-innovazioni. Tra questi obiettivi compare anche la promozione di politiche di produzione e consumo sostenibili (PCS) che verranno definite in

45Decisione N.1639/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24.10.2006 che istituisce un programma quadro per la competitività e l’innovazione (2007- 2013), Gazzetta Ufficiale dell’UE, 9.11.2006.

46Ibidem.

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