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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana Dipartimento Sanità

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Academic year: 2022

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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana Dipartimento Sanità

Corso di Laurea in Cure Infermieristiche Andrea Colombo

LA RELAZIONE DI AIUTO: UNA METODOLOGIA PER RIDURRE IL RISCHIO DI DEPRESSIONE NEI PAZIENTI CON PREGRESSO ICTUS

Lavoro di tesi (Bachelor thesis)

Direttore di tesi: Manno, 31 Luglio 2013 Sergio Piasentin

ANNO ACCADEMICO 2012 / 2013

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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana Dipartimento Sanità

Corso di Laurea in Cure Infermieristiche

Andrea Colombo

LA RELAZIONE DI AIUTO: UNA METODOLOGIA PER RIDURRE IL RISCHIO DI DEPRESSIONE NEI PAZIENTI CON PREGRESSO ICTUS

Lavoro di tesi (Bachelor thesis)

Direttore di tesi:

Sergio Piasentin Manno, 31 Luglio 2013.

ANNO ACCADEMICO 2012 / 2013

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ABSTRACT

Definizione dell'argomento

La depressione post ictus è una complicanza molto diffusa in grado di condizionare il percorso riabilitativo del paziente. L’infermiere, mediante la relazione di aiuto, potrebbe aiutare il malato a ricercare una motivazione per vivere in maniera soddisfacente nonostante le limitazioni che la malattia comporta.

Obiettivi

Analizzare la correlazione dell’insorgenza del disturbo depressivo in pazienti post evento ictale.

Confrontare i dati rilevati dalla pratica infermieristica con le indicazioni provenienti dalla letteratura.

Analizzare la relazione di aiuto come metodo efficace per la riduzione del rischio di depressione post ictus.

Metodologia e costruzione della tesi

Il quadro teorico è stato sviluppato mediante revisione della letteratura. Per poter indagare il contesto della pratica infermieristica e permettere agli infermieri di esprimere la propria esperienza e i vissuti durante la relazione con i pazienti è stata adottata una ricerca qualitativa. I dati sono stati raccolti mediante la somministrazione di un questionario anonimo nel reparto di neurologia dell’Ospedale Civico di Lugano.

Risultati

I risultati della ricerca hanno confermato che gli infermieri presentano alcune difficoltà durante la relazione con questi pazienti. In particolare, nonostante gli operatori siano in possesso delle competenze necessarie a livello relazionale, in alcune situazioni sono confrontati con la gestione di forti emozioni che ostacolano la relazione.

Nel quadro teorico viene suggerito un nuovo approccio verso il paziente: l'approccio salutogenico, con la speranza che questo "sguardo" possa servire a potenziare le competenze relazionali dell’infermiere.

Conclusioni

La relazione risulta essere l'arma vincente per la riduzione della depressione post ictus e le competenze in possesso degli infermieri hanno un ruolo determinante nella rilevazione, nella prevenzione e nel trattamento di questo disturbo.

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INDICE

INDICE   1  

1.   INTRODUZIONE   3  

2.   MOTIVAZIONI PERSONALI IN MERITO ALLA SCELTA DEL TEMA   3  

3   METODOLOGIA   4  

3.1   LO SCOPO   4  

3.2   OBIETTIVI DEL LAVORO   4  

3.3   PIANIFICAZIONE DEL PERCORSO   4  

4   PROLOGO   7  

5   QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO   8  

5.1   PAZIENTE CON ICTUS CEREBRALE   8  

5.1.1   DEFINIZIONE   8  

5.1.2   EPIDEMIOLOGIA   8  

5.1.3   FISIOPATOLOGIA   8  

5.1.4   TIPOLOGIA   9  

5.1.5   CAUSE   9  

5.2   IL DISTURBO DEPRESSIVO   10  

5.3   ICTUS E DEPRESSIONE   14  

5.3.1   ICTUS E IL RISCHIO DI DEPRESSIONE   14   5.3.2   DEPRESSIONE ED IL RISCHIO DI MALATTIE CEREBROVASCOLARI   18   5.3.3   L’INFLUENZA DELLA DEPRESSIONE SUL PERCORSO RIABILITATIVO   19   5.3.4   IL RUOLO DEI CAREGIVERS NEI MALATI CON PREGRESSO ICTUS   21  

5.4   RIDURRE IL RISCHIO DI DEPRESSIONE CON UNA RELAZIONE DI AIUTO   23   5.4.1   UN APPROCCIO AL MALATO VERSO LA RELAZIONE DI AIUTO   23   5.4.2   IL TRAUMA DEL CAMBIAMENTO POST ICTUS E IL RUOLO DELLINFERMIERE   25   5.4.3   TRATTI RELAZIONALI DA SVILUPPARE PER UNA CORRETTA RELAZIONE DI AIUTO   26  

6   LA RICERCA SUL CAMPO   31  

6.1   ANALISI   31  

6.1.1   LA VALUTAZIONE INFERMIERISTICA DEL RISCHIO DI DEPRESSIONE POST ICTUS   32   6.1.2   IL MODO DI RELAZIONARE DEGLI INFERMIERI CON QUESTA TIPOLOGIA DI PAZIENTI   33   6.1.3   STRATEGIE COMUNICATIVE PER UNA PRESA A CARICO VERSO LA RELAZIONE DI AIUTO   33   6.1.4   LE DIFFICOLTÀ INCONTRATE DURANTE LA RELAZIONE DI AIUTO   34   6.1.5   COMPETENZE RITENUTE NECESSARIE DAGLI INFERMIERI PER UNA RELAZIONE DI AIUTO   35   6.1.6   EMOZIONI SCATURITE DURANTE LA RELAZIONE CON QUESTI PAZIENTI   35  

7   DISCUSSIONE   37  

(5)

8   CONCLUSIONI   41  

8.1   SVILUPPI FUTURI   42  

8.2   VISSUTO PERSONALE   42  

8.2.1   LIMITI   42  

8.2.2   DIFFICOLTÀ   42  

8.2.3   POTENZIALITÀ   42  

9   BIBLIOGRAFIA   43  

9.1   OPERE LETTERARIE   43  

9.2   ARTICOLI DA PERIODICI   45  

9.3   SITOGRAFIA   48  

10    ALLEGATI   52  

(6)

1. INTRODUZIONE

“La causa dell’insuccesso è dovuta alla resistenza del paziente, o piuttosto non sono le nostre abitudini che non ci permettono di adattarci sul piano del metodo alle particolarità della persona stessa?”. (Goussot 2011)

In questa tesi desidero approfondire un aspetto dell’attività professionale dell’infermiere che ritengo indispensabile nel processo terapeutico rivolto ai pazienti colpiti da un ictus.

L’intento è quello di non soffermarmi unicamente su atti tecnici come la somministrazione delle terapie o l’indagine tramite tecniche diagnostiche, che con il tempo possono divenire procedure di routine, bensì indagare su alcuni aspetti delle competenze infermieristiche personali e relazionali, come ad esempio stabilire una relazione di aiuto con il paziente.

Come viene descritto da Sarmani et al. (2006) questa tipologia di pazienti colpiti da un evento ictale, avverte improvvisamente un cambiamento nella percezione di sè e nelle capacità fisiche e mentali. L'impatto improvviso con la malattia può portare ad un disagio emotivo sino all' insorgere di un disturbo depressivo in grado di condizionare negativamente il recupero funzionale del paziente. Nel corso del lavoro verrà quindi posto l'accento sull' importanza di una valutazione multidimensionale del paziente, che non si basa solo sula presa a carico delle disabilità fisiche, ma che prende anche in considerazione un'altra parte molto colpita, la sfera emotiva. L'infermiere è una delle figure professionali più presenti durante la degenza di questi pazienti, grazie alle sue competenze relazionali potrebbe fornire una relazione di aiuto in grado di sostenere il malato e di migliorare le sue modalità di adattamento per fronteggiare la fase critica del percorso riabilitativo. Questo lavoro sostiene l’importanza della relazione di aiuto dell’infermiere nella presa a carico di questi pazienti, al fine di ridurre il rischio di stati di depressione e di promuovere il raggiungimento del successo terapeutico.

2. MOTIVAZIONI PERSONALI IN MERITO ALLA SCELTA DEL TEMA

Durante il percorso formativo di pratica in ospedale, il confronto con pazienti colpiti da ictus mi ha fatto riflettere sul valore che questo tema acquisisce nella professione dell'infermiere ed ho capito che per raggiungere il successo terapeutico la relazione di aiuto è un ottimo vettore. Nel corso della presa a carico di questi pazienti, ho potuto notare che l’impatto iniziale con le disabilità causate dall’ictus incide notevolmente sulla loro sfera emotiva.

Queste situazioni mi portavano ad avere delle difficoltà nell’instaurare una relazione a causa della poca collaborazione di questi pazienti verso le cure e al sentimento di frustrazione che li travolgeva durante la fase riabilitativa. Le difficoltà incontrate durante la presa a carico di questa tipologia di pazienti, mi hanno fatto capire di avere ancora poca esperienza e di avere bisogno di approfondire questa tematica per acquisire i mezzi necessari per affrontare queste situazioni. Inoltre, ho avuto la sensazione che in alcune situazioni anche gli infermieri più esperti avessero difficoltà durante l’assistenza di questi pazienti. Le emozioni provate e le difficoltà incontrate durante l’assistenza, mi hanno dato la motivazione per approfondire questo tema con la speranza che mi possa essere utile per affrontare queste situazioni con maggior sicurezza, al fine di poter garantire una maggior soddisfazione dei pazienti, che saranno meglio informati e tranquillizzati da una relazione di aiuto efficace.

(7)

3 METODOLOGIA 3.1 Lo scopo

••• Migliorare le cure infermieristiche di un paziente a rischio di sviluppare un disturbo depressivo nel corso del primo anno post evento ictale.

••• Promuovere la pratica riflessiva tra gli infermieri partecipanti alla ricerca.

3.2 Obiettivi del lavoro

••• Confrontare la pratica infermieristica e le indicazioni provenienti dalla letteratura sulla relazione di aiuto con questa tipologia di pazienti.

••• Analizzare la relazione tra ictus ed il rischio di contrarre un disturbo affettivo come la depressione durante la fase post acuta di ictus del paziente.

••• Analizzare la relazione di aiuto come metodo efficace sulla prevenzione di un disturbo depressivo.

3.3 Pianificazione del percorso

Questo lavoro di tesi si suddivide in diversi capitoli: i pazienti con ictus, il rischio di depressione che essi possono contrarre e la relazione infermieristica di aiuto dell'infermiere.

L'approccio alla ricerca è stato sviluppato seguendo differenti strategie; lo studio è stato condotto, per quanto concerne la parte teorica, mediante l'utilizzo del metodo di revisione della letteratura. In seguito, al fine di approfondire il vissuto degli infermieri durante la relazione con questi pazienti, si è deciso di utilizzare un questionario qualitativo.

••• La revisione della letteratura

È stata condotta una ricerca consultando pagine di Evidence Based Nursing (www.evidencebasednursing.it), siti specifici sulle patologie trattate (www.cardiolab.it;;

www.beyondblue.org.au; www.stroke.org.uk) linee guida specifiche come la SPREAD (Stroke Prevention and Educational Awareness) (www.spread.it) ed alcune banche dati (CINAHL, Pubmed, Cochrane Library). Le parole libere inserite durante la ricerca sono state: stroke, depression, after stroke, nurse relationship, therapeutic relationship, utilizzando gli operatori booleani AND,OR,NOT.

(8)

I limiti della ricerca sono stati i seguenti:

LIMITI DELLA RICERCA:

Articoli in lingua Italiana Articoli in lingua Inglese Articoli in lingua spagnola Articoli in lingua francese

Soggetti colpiti da ictus cerebrale ischemico (emisfero destro e sinistro).

Episodio depressivo post ictus che insorge nei 6-12 mesi post ictus.

Pazienti senza precedenti episodi depressivi tali da avere reso necessario un trattamento

farmacologico.

Soggetti senza altre malattie concomitanti.

Limite temporale: dal 1996 ad oggi (ad eccezione di quattro articoli del: (1952- 1976- 1984-1987) ritenuti importanti per i dati in essi contenuti).

Risultati della ricerca:

BANCHE DATI

UTILIZZATE ARTICOLI

TROVATI ARTICOLI

UTILIZZATI CONTENUTI:

CINAHL 10 6 • Relazione di aiuto

dell'infermiere

• Ruolo

dell'infermiere con un paziente

depresso.

• Ruolo dei caregiver PUBMED

5 3 • Trattamenti della

depressione post ictus

COCHRANE

LIBRARY 6 3 • Depressione post

ictus.

TOTALE ARTICOLI: 21 12

(9)

••• Il questionario di ricerca

Per la redazione di questa ricerca si è utilizzato un questionario qualitativo composto da domande aperte, al fine di poter indagare in maniera più approfondita sui vissuti degli infermieri durante la relazione con pazienti a rischio di sviluppare un disturbo depressivo nel post ictus. La raccolta dei dati è avvenuta tramite la somministrazione di un questionario agli infermieri del reparto di neurologia dell'Ospedale Regionale Civico di Lugano. La scelta del reparto di neurologia è stata effettuata considerando l'ambito della casistica presa in considerazione per questa ricerca.

Il questionario è composto da 8 domande attraverso le quali l’intervistato può esprimere i propri pensieri, le emozioni ma anche le difficoltà incontrate durante l'assistenza di questa tipologia di pazienti. Dopo aver incontrato la capo reparto di neurologia per fornirle alcune informazioni in merito al questionario e alla sua somministrazione, si sono distribuiti 27 questionari, pari al numero complessivo degli infermieri del reparto. Trascorso un periodo di 50 giorni, sono stati restituiti 13 questionari compilati, che, a seguito di questo studio, restano in possesso del curatore di questa tesi e a disposizione di chi volesse consultarli per una visione più completa della ricerca.

Infine, il lavoro si conclude con la discussione dei dati raccolti ed una riflessione personale confrontando quanto emerso nella revisione della letteratura con i concetti ed i vissuti espressi dagli infermieri.

(10)

4 PROLOGO

Tutto questo me l'hanno raccontato. Il buio negli occhi, i piedi di piombo, il corpo morto che cade: di colpo, la mia coscienza se n'è andata. Non ricordo le voci di casa, i figli che fermano il taxi, la corsa all'ospedale. Di quella sera la mia memoria è vuota. Ho avuto un ictus, sono immobile in un letto.

Ci volle qualche momento prima che mi fosse chiara la realtà, raccolsi le forze, a quel tempo ce n'erano davvero poche e il primo pensiero che formulai fu di prendermi una rivalsa sul destino che mi aveva messo a terra. Ho dovuto andare contro a qualcosa per riconquistare il mio territorio, e in più la mia indipendenza. Avevo un corpo da rimettere ai miei ordini resistendo alla tentazione di lasciarmi andare.

E' stato così che ho rivisto come un film tutta la mia vita. E ho pensato alle varie ragioni che ci portano a resistere anche quando la battaglia sembra perduta. Da padre ho pensato che potevo dare ancora qualcosa ai miei ragazzi.

Ci sono frammenti fissati nella mia memoria che sembrano l'inizio di un'altra vita. Mi rivedo in un letto, ho davanti un gruppo di dottori. Quel giorno, porsi, come si usa fare da gentleman, la mia mano sinistra, l'unica in quel momento disponibile. Venne completamente ignorata. Mi ritrovai come il cristo che, nel famoso quadro di Piero della Francesca, viene flagellato mentre i dottori del tempio confabulano sulla sua sorte,

I tre professori discutevano della mia condizione, mentre io non potevo intervenire, non avevo voce in capitolo. Pronunciarono poche parole tra loro a bassa voce, quasi stessero concordando un verdetto di fronte all'imputato.

Colpevole o innocente? che, applicato al mio caso, si traduceva nell'alternativa: si può fare qualcosa o conviene lasciar perdere?. Sono stato affidato a specialisti espertissimi, pensai, quand'anche non specializzati in buone relazioni con il paziente, ma se viene a mancare la mia determinazione addio recupero. E mi dissi, puntando una bella cifra sulla mia forza di volontà, e sull'aiuto di mia moglie, dei miei figli e degli amici: loro ci metteranno tutta la competenza, io tutta la caparbietà. Dovevo a ogni costo reagire a tutte le avversità:

emiparesi, afasia, aprassia, termini che sembrano corrispondere, e forse corrispondono, ad altrettante calamità naturali. (Bonadonna 2005)

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5 QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO 5.1 PAZIENTE CON ICTUS CEREBRALE 5.1.1 Definizione

L’ictus è una parola che deriva dal latino e significa “colpo”, colpisce le persone all’

improvviso. (www.cardiolab.it) In particolare, “è causato da l’interruzione della fornitura di sangue al cervello, in genere per la rottura di un vaso sanguigno o per un blocco causato da un coagulo. Questi episodi interrompono il rifornimento di ossigeno e sostanze nutritive, portando danni al tessuto cerebrale”. (www.who.int)

5.1.2 Epidemiologia

“L’ictus cerebrale rappresenta la seconda causa di morte a livello mondiale e la terza causa di morte nei paesi industrializzati, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori”.

È stato riscontrato inoltre che “l’incidenza aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni [in particolare] Il 75% degli ictus si riscontra in soggetti di oltre 65 anni”. (www.spread.it)

Il numero dei decessi registrati all’anno in Europa è di 1.1 milioni. Più di una donna su sette (15%) e un uomo su dieci (10%) muoiono per un evento ictale. (Nichols et al. 2012) Si stima che in Europa vi sarà un aumento di 400.000 nuovi casi di ictus nel corso del periodo 2000-2025. Inoltre, “è stato considerato l’effetto di lievi aumenti o diminuzioni dei tassi di incidenza di ictus (± 2% a 5 anni) che potrebbero derivare da una maggiore esposizione a, o un miglior controllo di principali fattori di rischio per l’ictus come il livello della pressione arteriosa, fumo di tabacco, diabete, indice di massa corporea, e il livello di attività fisica. La differenza entro il 2025 sarebbe ± 150.000 ictus".(Truelsen et al. 2006) In Svizzera il numero delle persone colpite da ictus ogni anno si situano attorno ai 16.000 casi ogni anno, (www.helpbyswissheart.ch) mentre per quanto riguarda Il Ticino, si stimano 1200 persone colpite su 350.000 abitanti. (Cereda 2010)

5.1.3 Fisiopatologia

Il nostro encefalo con le sue 100 miliardi di cellule che lo compongono, è un organo estremamente attivo con una continua richiesta di ossigeno e nutrienti. Queste cellule necessitano di molta energia ma il nostro cervello non dispone di alcuna riserva energetica come altri organi del nostro corpo.

Le richieste vengono garantite da un’ estesa vascolarizzazione. (Martini 2010)

Quando il lume di un’arteria si riduce o si chiude, il sistema vascolare cerebrale dispone

di un efficiente sistema collaterale, il poligono Figura 1 (www.medicitalia.it)

(12)

di Willis, che per mezzo di un’anastomosi tra le arterie carotidi e vertebrali compensa eventuali riduzioni del flusso ematico. Se questi meccanismi protettivi falliscono e una parte del nostro cervello non viene irrorata per una riduzione del flusso sanguigno, i neuroni privi di nutrimento muoiono nel giro di pochi minuti provocando un evento ictale.

(Beers 2007) L’ictus è quindi da considerare una condizione patologica acuta che necessita di intervento immediato. I deficit causati possono essere temporanei o permanenti in relazione alla zona del cervello e ai vasi interessati, all’estensione della lesione, alla preesistente salute fisica ed emozionale del paziente e alla presenza di altre malattie e lesioni. (www.infermierionline.net)

5.1.4 Tipologia

L’ictus può essere di natura ischemica (80%) solitamente derivato da trombosi o embolia, oppure di natura emorragica (20%) per via della rottura di un vaso.

Ictus cerebrale ischemico: Si parla di ictus ischemico quando un trombo o un embolo occlude un’arteria cerebrale e impedisce l’apporto ematico adeguato in grado di fornire i nutrimenti necessari e il rifornimento di ossigeno al tessuto cerebrale producendo una alterazione della funzionalità encefalica con conseguenti deficit neurologici improvvisi che persistono >1 ora. Viene invece definito attacco ischemico transitorio TIA (Transitory ischemic attack) un accidente cerebrovascolare definito dalla regressione completa della sintomatologia in meno di 24 ore.

L’ictus cerebrale emorragico: L’emorragia cerebrale in genere è conseguente alla rottura di una piccola arteria aterosclerotica che è stata indebolita principalmente dall’ipertensione arteriosa cronica, provocando un sanguinamento focale dei vasi all’interno dell’encefalo. Il sangue derivante da un emorragia cerebrale si accumula come una massa comprimendo il tessuto cerebrale portando una disfunzione neuronale. (Beers 2007)

5.1.5 Cause

L’ictus cerebrale è quasi sempre conseguenza di una patologia cronica del sistema cardiovascolare. Può essere dovuto da tre principali fattori:

L’ Aterosclerosi: Rappresenta la causa principale di morbilità e mortalità nella maggior parte dei paesi occidentali ed è la causa più frequente di occlusione di una arteria cerebrale. È caratterizzata da un ispessimento delle arterie di medio e di grosso calibro che può ridurre o impedire del tutto il flusso ematico. Molti fattori sono responsabili dello sviluppo dell’aterosclerosi, i principali comprendono un livello alto di colesterolo nel sangue, il diabete, il fumo di sigaretta, la familiarità, la sedentarietà, l’obesità e l’ipertensione. Uno dei più comuni nella formazione dell’aterosclerosi è l’accumulo di sostanze grasse (in prevalenza colesterolo) chiamato ateroma che si deposita sulle pareti interne delle arterie limitandone il flusso. (www.cardiolab.it)

La trombosi: È il secondo fattore più frequente nell’insorgenza di un evento ictale ed è caratterizzato dalla formazione all’interno di un vaso sanguigno di un agglomerato (chiamato trombo) costituito da elementi presenti nel sangue coagulati come piastrine, fibrina, globuli rossi spesso scatenati da un danneggiamento della parete vasale.

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L’embolia: Rappresenta il terzo fattore più frequente nell’incontrare una malattia cerebrovascolare come l’ictus. Avviene quando un frammento di sangue si stacca dal punto in cui si forma e trasportato dalla corrente sanguigna arriva ad occludere un’arteria impedendo il normale flusso della irrorazione sanguigna causando patologie ischemiche come l’ictus. (www.cardiolab.it)

5.2 IL DISTURBO DEPRESSIVO

La depressione è un problema di grande rilievo per la salute pubblica e spesso non viene riconosciuta o trattata in misura sufficiente. Nel mondo 350 milioni di persone vivono con questa malattia. (www.who.int)

Dal punto di vista diagnostico, si fà riferimento a dei manuali di classificazione:

l'ICD-10 (International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems) (OMS 2009) e il DSM IV TR, (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) (APA 2007)"I codici forniti dal ICD-10 sono compatibili con quelli del DSM IV-TR". (Giusti, Montanari e Iannazzo 2006)

Come altre patologie, anche per la depressione sono presenti differenti forme. Le più comuni secondo il DSM IV-TR sono: (APA 2007)

Disturbo depressivo maggiore: Questo disturbo si caratterizza per la comparsa di uno o più episodi depressivi maggiori che durano almeno due settimane, compromettendo la vita sociale, lavorativa e sociale del soggetto. Le persone che soffrono di questo disturbo, sono di umore triste, facilmente irritabili e subiscono delle variazioni rilevanti nelle loro abitudini di vita, come la difficoltà nel pensare o nell'agire, mancanza di interesse nelle attività di piacere percependo inoltre sentimenti di colpa, inutilità e vuoto.

Distimia: Il disturbo distimico significa "cattivo umore". Può essere definito come un disturbo depressivo attenuato caratterizzato da un atteggiamento cupo, triste, chiuso e taciturno. Le più tipiche manifestazioni di tale disturbo sono sentimenti di inadeguatezza, colpa, irritabilità, rabbia, ritiro sociale, perdita di interesse, inattività e mancanza di produttività. Il soggetto non presenta sintomi gravi, infatti pur con delle difficoltà può portare avanti una vita normale. Questo disturbo, per essere riconosciuto deve presentare almeno due dei sintomi classici da almeno due anni, questo significa che si può diagnosticare solo quando diventa cronico. (APA 2007)

Disturbo depressivo non altrimenti specificato: La diagnosi di questo disturbo viene considerata quando le manifestazioni depressive non soddisfano tutti i criteri previsti per gli altri disturbi depressivi. (Fassino, Abbate Daga e Leombruni 2007).

Gli esempi di disturbo depressivo non altrimenti specificato includono:

- Il disturbo disforico premestruale - Il disturbo depressivo minore

- Il disturbo depressivo breve ricorrente

- Il disturbo depressivo postpsicotico della schizofrenia

- Un disturbo depressivo maggiore sovrapposto a disturbo delirante

- Situazioni in cui il medico ha concluso che vi è la presenza di un disturbo depressivo, ma non è in grado di determinare se sia primario, dovuto ad una condizione medica generale, o indotto da sostanze. (APA 2007)

(14)

Secondo l'ICD 10 (OMS 2009)un episodio depressivo può essere classificato come lieve, moderato, grave.

Episodio depressivo lieve: Il paziente è sofferente per i sintomi ma questi non compromettono lo svolgimento delle attività durante l'arco della giornata. Per definire un disturbo depressivo lieve devono essere soddisfatti i criteri generali per un disturbo depressivo (criterio a) e sono generalmente presenti due o tre sintomi elencati nella (Tabella 1). In particolare, devono essere presenti due dei seguenti tre sintomi: (criterio b) - Umore depresso nella maggior parte della giornata e quasi ogni giorno e persistente per almeno due settimane.

- Perdita di piacere o interesse per le attività che sono normalmente piacevoli.

- Diminuita energia o aumentata affaticabilità.

Inoltre, devono essere presenti almeno uno o più sintomi addizionali della lista seguente, in modo tale da raggiungere un numero totale di quattro sintomi: perdita di sicurezza e autostima, sentimenti di colpa, pensieri di morte o suicidio, diminuita capacità di concentrarsi, modificazioni dell'attività psicomotoria, disturbi del sonno, modificazioni dell'appetito. (criterio c)

Episodio depressivo di media gravità: Sono di solito presenti quattro o più dei sintomi elencati nella (Tabella 1). Qui il soggetto presenta una considerevole difficoltà nello svolgere molte delle sue attività. Per definire un disturbo depressivo medio devono essere rispettati i criteri generali per disturbo depressivo, (Tabella1) devono essere presenti almeno due o tre sintomi tra quelli elencati nel disturbo lieve (criterio b) ed inoltre, devono essere presenti i sintomi addizionali (criterio c) in modo tale da raggiungere un totale di sei sintomi.

Episodio depressivo grave senza sintomi psicotici: E' caratterizzato dalla presenza di molti sintomi elencati sopra tra cui, perdita dell'autostima e senso di colpa sono accentuati e causano tipicamente una marcata sofferenza. Sono comuni inoltre le idee e i disturbi suicidari. Per definire questo disturbo devono essere rispettati i criteri a,b,c elencati nel disturbo lieve. In particolare, per quanto riguarda il criterio c, devono essere raggiunti un totale di otto sintomi. Inoltre, non devono essere presenti allucinazioni, deliri o stupore depressivo.

Episodio depressivo grave con sintomi psicotici: Si tratta di un episodio depressivo in cui sono presenti allucinazioni, deliri, rallentamento psicomotorio o stupore depressivo. Vi può essere il pericolo di vita per istinti suicidali, disidratazione. Per definire questo disturbo devono essere soddisfatti i criteri dell'episodio grave senza sintomi psicotici e non devono essere soddisfatti i criteri per la schizofrenia o la sindrome schizoaffettiva di tipo depressivo.

Altri episodi depressivi: Depressione definita come "atipica" singoli episodi di depressione non altrimenti specificata. Devono essere inclusi i criteri che non rientrano negli altri disturbi, sintomi aspecifici come tensione e preoccupazione, dolore e fiacchezza persistenti, non conseguenti a cause organiche. (OMS 2009)

In Europa, ogni anno circa il 7% della popolazione soffre di depressione maggiore. Questo disturbo è responsabile di circa il 15% di disabilità. (www.euro.who.int) "Le donne si ammalano con una frequenza doppia rispetto agli uomini (10% uomini, 20% donne)".

(Keck 2010) Da un indagine Svizzera condotta nel 2007 dall' Ufficio Federale di Statistica

(15)

(UST 2007) risulta che in Svizzera una persona su venti soffre di depressione. In particolare, "su un periodo di un anno, il 5% della popolazione presenta i sintomi di un disturbo depressivo importante". Nell’arco di un anno, il 4% degli uomini e il 6% delle donne sono in trattamento per problemi psichici. Il ricorso a tali trattamenti è più frequente tra la popolazione in età lavorativa (tra i 25 e i 64 anni)".

La parola depressione viene spesso usata per descrivere la tristezza o la diminuzione del tono dell'umore; un termine più adatto per queste condizioni è demoralizzazione.

I sentimenti negativi di demoralizzazione a differenza della depressione, si risolvono quando gli eventi scatenanti migliorano o si sistemano. Inoltre, un aspetto che differenza in modo particolare la demoralizzazione dalla depressione è la durata; in genere, si parla di giorni mentre per quanto riguarda la depressione la durata supera la settimana, a volte dura perfino per mesi accompagnata da pensieri suicidari e con la prolungata perdita di funzionamento. (Beers 2007)

Sia l'ICD-10 (OMS 2009) sia il DSM IV-TR (APA 2007), stabiliscono l'esistenza di episodio depressivo maggiore in presenza di cinque o più dei seguenti sintomi da almeno due settimane. (Fassino, Abbate Daga e Leombruni 2007) (Tabella 1)

Tabella 1 Sintomi episodio depressivo secondo l'ICD 10 (www.progettoasco.it)

La causa esatta di questo disturbo non è conosciuta ma sono presenti alcuni fattori che possono aumentarne il rischio come:

L'ereditarietà: C'è una forte evidenza che il fattore genetico gioca un ruolo significativo nella predisposizione di una persona. In particolare, il rischio genetico di sviluppare un disturbo depressivo è del 40% se un parente biologico è stato diagnosticato con la malattia.

Stress: È importante sottolineare che ogni individuo può essere sottoposto a stress nel corso della sua vita a causa di alcuni eventi. La maggior parte riesce a superare questi eventi in pochi giorni o in alcune settimane. Esistono però, una serie di stress esistenziali

(16)

come separazione, episodi di violenza, o la perdita di una persona cara che generalmente richiedono più tempo per essere elaborati e di conseguenza aumentano il rischio di incontrare episodi di depressione.

Pregressi episodi depressivi: Le persone che hanno sofferto in passato di un disturbo di depressione maggiore hanno un rischio più elevato di sviluppare altri episodi.

(/www.blackdoginstitute.org.au; Beers 2007)

Modificazioni chimiche cerebrali: È probabile che vi siano una serie di alterazioni a livello dei neurotrasmettitori. I neurotrasmettitori sono sostanze chimiche che trasportano segnali fra le cellule nervose, In particolare, quelli che influenzano l'umore di una persona sono la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. In una persona depressa questi non riescono a funzionare normalmente, il loro segnale è diminuito o interrotto prima di passare alla cellula nervosa vicina (Figura 1). (Keck 2010)

Figura 2 (Keck 2010)

"Sappiamo oggi che tutte le malattie psichiche hanno effetti sul corpo e viceversa le malattie fisiche influiscono fortemente sulla psiche". (Keck 2010) Nei prossimi capitoli, verranno evidenziati questi aspetti al fine di poter dimostrare come le due patologie centrali di questo lavoro, ictus e depressione, possano entrare in relazione l'una con l'altra.

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5.3 ICTUS E DEPRESSIONE

“Essere colpiti al cervello è essere colpiti nel centro del pensiero, della consapevolezza, della nostra autonomia, capacità motivazionale e del movimento immaginativo e fisico”.

(Sarmani et al. 2006)

La depressione post stroke (DPS) è considerata il disturbo neuropsichico più frequente e importante dopo un evento ictale. Il mancato riconoscimento della patologia può influire sul recupero funzionale nella fase riabilitativa che rischia di essere incompleta ed inefficace.

(Andreone 2006) La frequenza di questo disturbo è maggiore nei primi mesi e tende successivamente a ridursi. In particolare, a 6 mesi dall’ ictus i sintomi depressivi si verificano nel 43% dei pazienti mentre passati 36 mesi la percentuale dei casi si riduce al 18%. (Sarmani et al. 2006)

5.3.1 Ictus e il rischio di depressione

L’ictus colpisce improvvisamente e quasi sempre senza preavvertimento attraverso sintomi prodromici, mettendo repentinamente il soggetto in contatto con la morte, la fragilità e l’essere indifesi. Dopo il primo impatto con la malattia, la persona deve confrontarsi con la disabilità che ne deriva, comportando una riorganizzazione della propria vita e la dipendenza da altre persone. “Il modo in cui una persona si percepisce necessariamente cambia”. (Sarmani et al 2006) In questi pazienti il riconoscimento di un disturbo depressivo non è un processo facile, poiché risulta particolarmente difficile da comprendere se un sintomo è dovuto a causa delle compromissioni neurologiche e cognitive oppure è segno di una effettiva psicopatologia. (Lindèn, Blomstrand e Skoog 2007)

In questi ultimi anni l’eziopatogenesi della depressione post ictus è stato oggetto di grande dibattito, a partire dal modello neuroanatomico proposto in Andreone (2006) di Robinson et al. (1984). Il modello considera due forme distinte di depressione, una maggiore ed una minore. La depressione maggiore non viene associata come una reazione psicologica all’

evento ictale, bensì come “una forma di depressione biologicamente determinata con precisi correlati neuroanatomici”. (Chemerinski e Robinson 2000) in particolare, lo stesso Robinson et al (1984) sostiene che le lesioni a livello della corteccia cerebrale sinistra si associno più frequentemente alla depressione post ictus. La forma di depressione minore viene considerata invece come una “sintomatologia meno definita” dove potrebbe essere considerata come una risposta alla disabilità provocata dalla lesione. (Andreone 2006) Il modello neuroanatomico di Robinson et al (1984) è stato però messo in discussione.

Dato che la sua evidenza empirica rimane tuttora contradittoria, sono state proposte altre ipotesi sulla relazione tra ictus e depressione basate sul ruolo dei fattori psicosociali.

(Goussot 2011)

Sarmani et al. (2006) ricordano un modello recentemente elaborato da Mast e Vedrody (2006) “modello biopsicosociale complesso”. In questo modello si sostiene che la sede della lesione è connessa all’episodio depressivo nella fase acuta, mentre in un secondo periodo sembra che possano influire maggiormente fattori psicologici e cambiamenti sociali.

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“La depressione rappresenta il fattore sfavorevole più rilevante sulla qualità della vita dei pazienti con postumi cronici di ictus”. (Sarmani et al. 2006)

L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce un disturbo depressivo come:

Un disturbo comune mentale caratterizzato da tristezza, perdita di interesse o piacere nelle attività, mancanza di energia, bassa concentrazione e autostima. Le persone che soffrono di malattie croniche e disabilità…sono a più alto rischio di sviluppare un disturbo depressivo rispetto alla popolazione generale. (www.emro.who.int)

Per orientare l’operatore durante la complessa valutazione di un possibile rischio di depressione, ci sono alcuni fattori predittivi con il quale può fare riferimento. Alcuni di essi sono: l’età avanzata al momento dell’ictus, la presenza di un supporto sociale scarso, l’

insorgenza di gravi disabilità fisiche, la solitudine e una storia precedente di disturbi psicopatologici. (Goussot 2011) Sarmani et al. (2006) ricordano uno studio di Carota et al.

(2005) dove vengono identificati invece come altri fattori predittivi la tristezza, il pianto e i sentimenti soggettivi di depressione.

La depressione può essere diagnosticata esclusivamente in pazienti senza una malattia cerebrale in fase acuta; di conseguenza, laddove si manifestino (in pazienti ricoverati specie in terapia intensiva) stati di tristezza o modificazioni del comportamento in senso depressivo durante la fase acuta di ictus, non appare corretto il riferimento diagnostico alla depressione in senso stretto. (Andreone 2006) Ulteriori problemi insorgono per la difficoltà nell’intervistare in modo efficace pazienti afasici, dove si può aumentare il rischio di sovrastimare la diagnosi per la presenza di sintomi quali alterazione dell’ appetito, del sonno o calo della libido che possono essere determinati da fattori di ordine fisiologico e non psicologico. (Andreone 2006) Inoltre, “I pazienti con depressione post ictus presentano, rispetto ai pazienti con depressione funzionale, una minore melanconia ma più segni fisici di depressione e maggiore apatia”.

(Sarmani et al. 2006) Questi problemi devono essere considerati quando si utilizzano i criteri DSM IV TR e altre scale di valutazione diverse. (Andreone 2006)

Nel corso dell’ assessment della depressione post ictus, le scale più comuni utilizzate sono la HRSD (Hamilton Rating Scale for Depression) e la BDI (Beck Depression Inventory). (Salter et al. 2007). Per la valutazione dei pazienti afasici la valutazione e il monitoraggio dei sintomi depressivi possono essere di difficile esecuzione nei casi dove non è possibile avere un colloquio o eseguire test verbali con il paziente.(Sarmani et al.

2006) Per questo, sono utilizzate scale di valutazione specifiche non verbali come la VAMS (Visual Analog Mood Scales) in grado di valutare gli stati emozionali e la ADRS (Aphasic Depression Rating Scale).(Sarmani et al. 2006) Per la valutazione della depressione post ictus esiste una scala specifica: la PSDRS (Post Stroke Depression Rating Scale). In particolare, questa scala valuta i sintomi ritenuti più frequenti nella depressione post ictus come la reazione catastrofica e la labilità emotiva, non valutabili in altre scale di valutazione. (Goussot 2011)

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“Queste scale possono essere utilizzate per la diagnosi di depressione oppure per monitorare i risultati del trattamento, ma non possono essere usate isolatamente soprattutto per la formulazione della diagnosi”. (Goussot 2011) Sempre Goussot (2011) ricorda che per poter giungere alla formulazione della diagnosi è importante considerare la globalità della persona, poiché con questa tipologia di pazienti la diagnosi basata esclusivamente sulla presenza di sintomi può indurre a fraintendimenti. Quindi, è necessario dedicare maggiore attenzione nella fase di assessment con un confronto multidisciplinare, l’utilizzo di strumenti più specifici possibile e colloqui con il paziente e la sua famiglia.

Il disturbo depressivo interferisce con la partecipazione attiva del paziente nel programma riabilitativo portando alla compromissione del recupero funzionale. E’ quindi necessario che sia tempestivamente trattato al fine di poter ridurre gli effetti clinici negativi. (Sarmani 2006) L’ interpretazione secondo il modello neurobiologico o sociopsicologico della DPS può condizionare anche un diverso atteggiamento terapeutico da parte dei clinici.

Considerando il disturbo depressivo come un problema “funzionale” si prenderà poco in considerazione la terapia farmacologica, poiché la depressione in questo caso è considerata come “una fase transitoria di registrazione del mutamento avvenuto”. Inoltre,

“in quest’ottica il trattamento farmacologico può essere considerato inutile o addirittura dannoso, in dipendenza agli effetti collaterali che normalmente gli antidepressivi inducono, quali sedazione, ipotensione e alterazioni del sonno”. (Andreone 2006)

Le opzioni terapeutiche disponibili per il trattamento della depressione sono i farmaci antidepressivi e la psicoterapia. La scelta del tipo di trattamento dipende dalla gravità della depressione. Spesso una combinazione di trattamenti risulta più efficace.

(www.beyondblue.org.au)

La scelta dell’antidepressivo deve ricadere su una molecola che abbia una provata efficacia, una buona tollerabilità con ridotta frequenza di effetti collaterali e una sicurezza a dosi terapeutiche in modo che non vi sia rischio di interferenze con il substrato patologico o con la terapia cardiocerebrale. (Sarmani et al. 2006)

I TCA e gli SSRI sono i farmaci antidepressivi più testati di frequente nella letteratura per il trattamento della depressione post ictus. (Paolucci 2008)

Triciclici (TCA): Esercitano la loro funzione agendo sul sistema noradrenergico e serotoninergico. Sono costituiti da 5 molecole principali: (notriptilina, imipramina, clomipramina, amitriptilina, desimipramina). (Sarmani et al. 2006) “L’uso di questo farmaco può essere limitato a causa dei suoi effetti collaterali”. Gli effetti indesiderati più comuni sono: ritenzione urinaria, offuscamento della vista, glaucoma, confusione, ipotensione ortostatica e vertigini. (Lökk e Delbari 2010)

SSRI: Agiscono come inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Anch’essi sono costituiti da 5 molecole principali (fluoxetina, paroxetina, fluvoxamina, sertralina, citalopram) (Sarmani 2006) Questi farmaci sono la prima scelta di trattamento per la DPS (Lökk e Delbari 2010) I motivi principali che favoriscono la scelta di questi farmaci rispetto i TCA sono: Profilo di sicurezza più favorevole, migliore tollerabilità, non causano effetti anticolinergici, minore interazione farmacologica, agiscono più velocemente e sono efficaci

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quanto i TCA. (Lökk e Delbari 2010) Tuttavia, questi farmaci non sono del tutto privi di effetti collaterali. Disfunzioni sessuali, sonnolenza e aumento di peso sono i più comuni.

(Cascade, Kalali, e Kennedy 2009)

I trattamenti psicologici includono: la terapia comportamentale, la terapia cognitivo comportamentale, la terapia problem solving e la terapia “life review”. (Lökk e Delbari, 2010) Gli interventi psicoterapici per il trattamento della depressione post ictus sono generalmente basati sull’utilizzo della terapia cognitivo comportamentale. Questo tipo di psicoterapia o “talk terapy” (terapia della parola) aiuta le persone a cambiare stili di pensiero e comportamenti negativi che possono contribuire alla depressione. (NIMH 2011) “L‘intervento psicologico impedisce l’aumento dei sintomi depressivi.” In particolare, il trattamento con la terapia cognitivo comportamentale risulta avere un miglioramento sull’

umore dei pazienti. (Rasquin et al. 2009) Si ricorda inoltre che l’efficacia di queste terapie è legata alla fornitura di una adeguata esposizione all’ intervento. I terapeuti dovrebbero utilizzare uno specifico quadro di riferimento per la terapia poiché il successo è legato alla aderenza al modello terapeutico nonché alle caratteristiche dei terapeuti. (Andreone 2006) Purtroppo, questi interventi comportano alcuni svantaggi in termini di costi e tempo per il personale. Inoltre, la loro risposta richiede diverse settimane prima di mostrare i miglioramenti clinici (Lökk e Delbari 2010)

In uno studio di De Man van Ginkel et al. (2010) vengono esaminati alcuni possibili interventi terapeutici che possono essere messi in atto dagli infermieri nei pazienti con depressione post ictus.

Terapia “Life review”: Questo intervento è stato svolto in tre sessioni di un’ora dove l’infermiere ha avuto il ruolo di ascoltatore lasciando spazio al paziente per parlare delle sue esperienze vissute nell’infanzia, adolescenza, età adulta e della sua famiglia. Nel gruppo di intervento si ha avuto una riduzione del livello di depressione nei partecipanti.

Intervista motivazionale: In questo intervento il paziente ha discusso con l’operatore dei problemi e degli obiettivi personali che vuole raggiungere. Questo intervento ha permesso al paziente di identificare le proprie soluzioni e di rafforzare l’ottimismo e l’auto efficacia.

Tre mesi dopo l’ictus nel gruppo di intervento si è verificato un effetto significativo sui pazienti depressi.

Programmi di supporto: In questo programma l’operatore ha visitato il paziente a domicilio durante le prime due settimane e per telefono ogni settimana per più di tre mesi. Durante questi contatti sono stati monitorati di continuo i progressi del paziente in relazione ai problemi fisici e psicosociali. Questo programma ha portato ad una significativa riduzione nella gravità della depressione nel gruppo di intervento. (De Man-van Ginkel et al. 2010) Inoltre, In un recente studio è stato sperimentato un altro tipo di intervento che può essere messo in atto dall'infermiere, intitolato "vivere bene con l'ictus" In inglese, "Living Well With Stroke" (LWWS). Questo intervento, messo in atto da un infermiere specializzato nell'ambito della riabilitazione post ictus, consiste nel sottoporre i pazienti a nove sessioni di counseling, con lo scopo di insegnare loro nuove tecniche di problem solving e di aiutarli a sviluppare obiettivi terapeutici realistici. Inoltre, durante questo processo sono affiancate delle sessioni dedicate a migliorare l'umore, aiutando i partecipanti a identificare ed aumentare la la loro partecipazione in piacevoli eventi sociali, quali: attività fisiche, stare

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con la propria famiglia, ascoltare la musica, leggere, risolvere puzzle, imparare qualcosa di nuovo. (Mitchell et al. 2009)

"Abbiamo concluso che il progetto LWWS, attraverso un programma di counseling ha cambiato in modo positivo lo stato d'animo dei pazienti diminuendo i comportamenti associati alla depressione, solitamente trattati con la sola assunzione di farmaci."

"Il successo di questo trattamento dimostra l'importanza di considerare le strategie comportamentali nella cura dei pazienti con post ictus." (Mitchell et al. 2009)

Questi nuovi trattamenti emergenti, come la terapia motivazionale, per avere un buon risultato terapeutico richiedono una diagnosi precoce della depressione. “l’uso strutturale di uno strumento di screening della depressione nella cura quotidiana di un paziente con ictus dovrebbe aumentare il riconoscimento precoce della depressione da parte degli infermieri.” (De Man-van Ginkel et al. 2010) Inoltre, “gli infermieri hanno un ruolo fondamentale nella ricerca, la prevenzione e la gestione della depressione in seguito a ictus." (De Man-van Ginkel et al 2010) Sempre De Man van Ginkel et al. (2010) fanno notare quindi l’importanza nella formazione e l’istruzione degli infermieri su come utilizzare gli strumenti di screening della DPS e quali interventi da applicare nella cura di questi pazienti.

Parafrasando Goussot (2011) ancora oggi purtroppo le diagnosi psicopatologiche vengono formulate frettolosamente attraverso la consulenza di un professionista esterno dove già alla prima visita attribuisce al paziente un’etichetta diagnostica che comporta spesso la prescrizione di psicofarmaci. Per velocizzare i tempi si saltano quindi i passaggi fondamentali per la diagnosi e di conseguenza ciò può comportare la scelta di un trattamento non adeguato. “Giungere ad una corretta diagnosi, procedendo verso una presa in carico della psicopatologia che esuli dalla semplice prescrizione di un psicofarmaco, significa porre in risalto la volontà di evitare una cronicizzazione, oggi purtroppo molto frequente, e procedere verso il miglioramento della qualità di vita della persona disabile.” (Goussot 2011)

5.3.2 Depressione ed il rischio di malattie cerebrovascolari

Nello scorso capitolo si è visto che la depressione è un evento comune nei pazienti che sono stati colpiti da un evento ictale. Negli ultimi anni sono stati condotti alcuni studi che dimostrano una possibile relazione tra depressione e il rischio di essere colpiti da un ictus.

"La depressione può portare ad un aumento della pressione arteriosa, infarto miocardico e ictus". (www.euro.who.int) Le persone affette da depressione sono più esposte ad incontrare una malattia cerebrovascolare come l'ictus. (Liebetrau, Steen e Skoog 2008) L'incidenza della depressione è stata stimata in più del 16% della popolazione generale.

(Kessler 2003) In particolare, il rischio di sviluppare un ictus ischemico per questi pazienti è stato rilevato con maggior frequenza in persone con meno di 65 anni e con una alta predisposizione nel sesso femminile. (Seifert et al. 2012).

Negli ultimi anni, grazie a intensi sforzi di ricerca internazionali, è divenuto chiaro che la depressione rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di malattie vascolari come le cardiopatie e l’ictus. Le spetta quindi probabilmente la stessa importanza

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attribuita ai classici fattori di rischio come fumo, sovrappeso e mancanza di moto, ai quali attualmente viene attribuita un’attenzione molto maggiore, sia nella consapevolezza pubblica, sia nell’ambito di strategie di prevenzione delle istituzioni sanitarie.. La depressione è considerata oggi quindi una malattia «sistemica», potendo interessare oltre al cervello molti altri sistemi di organi. (Keck 2010)

La depressione può causare l'insorgenza di un ictus attraverso una varietà di meccanismi.

Vi sono alcuni processi che collegano i sintomi della depressione con un aumento del rischio vascolare. La presenza della serotoniina nel sangue ha un effetto immediato sulle piastrine portando a una aggregazione piastrinica e col tempo, possono causare fenomeni di aterosclerosi. (Cassidy et al. 2003) In alcuni studi è stata rilevata la relazione con un innalzamento del livello dell'indice infiammatorio nel sangue, la proteina c reattiva (PCR). È importante però tenere in considerazione che "sebbene elevati livelli di PCR siano associati a un aumentato rischio di insorgenza di ictus, la PCR non può essere utilizzata per la predizione individuale di ictus." (Howren, Lamkin e Suls 2009) Altre possibilità possono essere legate alla disfunzione piastrinica, alterazioni della coagulazione del sangue, disfunzione autonomica e anomalie del ritmo cardiaco. (Arbelaez et al. 2007) Vi sono inoltre altre vie per cui i sintomi depressivi agiscono come un rischio per l'ictus. Un aspetto che viene preso in considerazione e non da sottovalutare, è lo stile di vita in cui la depressione è spesso associata, quali: cattiva alimentazione, obesità, inattività fisica, fumo di sigaretta e mancanza di compliance della terapia farmacologica. (Pan et al. 2011)

"La depressione può impedire agli individui di controllare altri problemi di salute come il diabete e l'ipertensione, di prendere i farmaci regolarmente o perseguire altre misure di stile di vita sano, come l'esercizio fisico...tutti questi fattori possono contribuire ad aumentare il rischio." (S.A 2012) Il trattamento di questo disturbo viene spesso associato con l'utilizzo di antidepressivi. Alcuni di questi farmaci sono sospettati di causare un lieve aumento di ictus. (Coupland et al. 2011) Gli effetti sembrano essere correlati con la quantità della dose somministrata. Si consiglia di iniziare quindi a basso dosaggio, tenendo sotto controllo attentamente gli effetti collaterali, in particolare con soggetti che presentano fattori di rischio di eventi cardiovascolari. (Wu et al. 2010) Dal punto di vista clinico l'utilizzo di un antidepressivo deve essere valutato accuratamente e confrontato con la compromissione della qualità di vita, i rischi di malattie cardiovascolari e di mortalità associata alla depressione non trattata. (Whooley et al. 2008)

5.3.3 L’Influenza della depressione sul percorso riabilitativo

La depressione post ictus riveste un ruolo sfavorevole sulla prognosi e sul trattamento riabilitativo (www.spread.it) "La persona è estremamente limitata nel suo percorso di vita, nella socialità, nel processo di accettazione della disabilità, ma anche nel versante medico e riabilitativo." (Goussot 2011)

Disturbi ansiosi o depressivi ostacolano la partecipazione attiva e la capacità di apprendimento del paziente e condizionano il programma riabilitativo compromettendo il recupero. Va quindi ricordato che un’indagine e trattamento precoce di questo disturbo riduce le complicanze e riduce gli effetti clinici negativi. (www.aliceitalia.org)

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"La stretta correlazione tra tono dell’umore e stato funzionale è comprovata, tra l’altro, da segnalazioni in cui al miglioramento dell’umore, spontaneo e/o dopo trattamento, si associava un miglioramento funzionale". (www.spreadl.it)

Per una migliore presa a carico di questi pazienti con possibilità di sviluppare queste possibili problematiche, è importante che vi sia un approccio multidisciplinare per strutturare un efficace percorso riabilitativo. (Miller et al. 2010) L'infermiere, rispetto agli altri operatori di altre discipline che trattano particolari strutture del corpo, prende in considerazione la persona nel suo complesso. Attraverso uno stretto contatto e un orientamento olistico con il paziente, gli infermieri sono i primi a notare i cambiamenti funzionali o complicazioni che possono essere pericolose per la vita o che possono scoraggiare l'andamento del percorso riabilitativo. La figura dell'infermiere riveste quindi un ruolo essenziale nella fase riabilitativa del paziente. (Miller et al. 2010)

Nel modello biopsicosociale, la definizione e la classificazione delle disabilità ha subito un strutturato processo di revisione passando nel definire una disabilità come una deviazione della normalità (modello bio-medico) al considerarla un cambiamento del funzionamento umano, che origina dall'interazione tra le caratteristiche intrinsiche dell'individuo e l'ambiente fisico e sociale. (Űstün 2001)

La WHO (World Health Organisation) comprende l'importanza e la complessità del percorso riabilitativo proponendo il modello ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) ovvero una guida che permette di valutare il grado di salute degli individui, anzichè la gravità della patologia. Questo modello è quindi efficace per valutare e affrontare l'impatto funzionale e sociale che ogni individuo con pregresso ictus e la sua famiglia si devono confrontare. Può essere utilizzato per facilitare il processo decisionale, la comunicazione e la collaborazione tra gli infermieri e gli altri membri del team multidisciplinare. (Miller et al. 2010) Esso, prende in considerazione i seguenti punti:

§ Perdita di funzioni corporee e funzioni psicologiche (ad esempio: emiparesi, disfunzione cognitiva) o conseguenze secondarie (es: contratture, decubiti)

§ Limitazione attività della vita quotidiana (ad esempio: la difficoltà ad usare il telefono a causa di problemi di comunicazione)

§ Restrizioni alla partecipazione della vita sociale (ad esempio: la difficoltà di sviluppare una nuova vita e reintegrarsi nella società)

§ Fattori ambientali (ad esempio: il sostegno della famiglia, gli atteggiamenti sociali, barriere architettoniche) e fattori personali (ad esempio: sesso, comorbidità, sfondo etnico culturale)

"Per raggiungere un buon outcome del paziente è indispensabile avere un team multidisciplinare che lavori in modo organizzato e armonico." (Miller et al. 2010) In questa classificazione poc'anzi descritta, viene suggerita l'identificazione dei diversi fattori prognostici della disabilità post ictus. Vengono separati i parametri correlabili ad esito funzionale in fattori "individuali" ed "extraindividuali" , "preesistenti all'evento morboso" ed "emergenti". (SPREAD 2005)

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"Per costruire programmi efficaci è necessario un approccio globale e integrato, che consideri non solo la patologia in sé ma anche le problematiche sociali, economiche, culturali e psicologiche che ne influenzano la sintomatologia e il decorso." (Goussot 2011) Quindi, lo scopo di questa procedura riabilitativa è quello di avere un approccio alle disabilità con una visione olistica dove il paziente è al centro dell'attenzione e colui che presta le cure ha come obiettivo la cura dell'uomo e non della malattia.(Űstün 2001) 5.3.4 Il ruolo dei caregivers nei malati con pregresso ictus

"Il caregiver può sostenere la persona temporaneamente disabile e aiutarla a orientarsi verso gli obiettivi terapeutici, garantire l'aderenza alle prescrizioni mediche, nonchè condividere con lei la speranza di un ritorno alla normalità." (Goussot 2011)

La maggior parte dei pazienti colpiti da ictus, al termine della degenza ospedaliera rientrano a domicilio; ad assumere il ruolo di caregiver per assistere queste persone sono prevalentemente i loro famigliari. Dopo la fase acuta del paziente che provoca chiaramente alti livelli di stress, la dimissione a domicilio è uno dei punti più critici da affrontare per i caregivers. (Montanari e Dimonte 2012) E' molto importante che la persona colpita da ictus e le persone che si occupano di lui una volta rientrato a domicilio, siano consapevoli che i miglioramenti possono avvenire attraverso diversi profili: in seguito a progressi spontanei, con l'aiuto di un percorso di riabilitazione e di sostegno perseguito con pazienza e motivazione. (www.neurocaregiver.it)

Prendersi cura del malato può costituire una fonte di soddisfazione e gratificazione, ma fattori come la preoccupazione per la sua salute, il carico dell’assistenza, l’incertezza rispetto al futuro o alle proprie capacità e competenze, la gestione della casa e l’isolamento sociale hanno come conseguenze comuni la mancanza di tempo libero e un marcato peggioramento della qualità della vita; possono inoltre provocare ansia, depressione, disturbi del sonno, irritabilità, con un deterioramento generale del benessere psicofisico del caregiver che può a sua volta ripercuotersi negativamente sulle condizioni dell’assistito. (Montanari e Dimonte 2012)

"il ritorno a casa, con il passaggio da un ambiente protetto a un ambiente non protetto, è un momento estremamente delicato, che pone tutta una serie di difficoltà pratiche legate alla mancanza di autonomia del malato e alla necessità di affrontare e risolvere i problemi ed emergenze". (Montanari e Dimonte 2012).

L'ictus risulta avere maggior frequenza nella categoria delle persone anziane; chi assumerà quindi il ruolo della cura sarà un coniuge che si troverà in un momento delicato della propria esistenza e farà particolarmente fatica nel soddisfare le richieste fisiche e psicologiche durante l'assistenza al proprio caro. In particolare, fattori importanti di disagio psicologico e stress per il caregiver sono dati dalla presenza di una disabilità funzionale maggiore e disturbi cognitivi e affettivi del malato. (Sverzut, et al. 2008)

"Un adattamento è evidentemente necessario, ma talvolta esso può essere percepito da colui che fornisce aiuto, assistenza e sostegno al paziente, come una pesante costrizione dei propri spazi vitali che assorbe spesso, specie nella fase iniziale della nuova condizione, tutte le energie fisiche e psichiche a disposizione." (Goussot 2011)

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Solitamente per combattere l'isolamento sociale e per adeguarsi a queste situazioni, si instaurano nei caregivers dei meccanismi di adattamento. (Montanari e Dimonte 2012) Durante questo percorso è di fondamentale importanza avere una informazione qualificata, il sostegno psicologico e l'acquisizione di nuove competenze che interessano la persona colpita e tutta la sua rete sociale. I bisogni più ricorrenti espressi dalle persone colpite da ictus e dai loro caregiver, si rileva l'esigenza di possedere informazioni esaustive da parte degli operatori sanitari, sia sulla diagnosi, che sul percorso assistenziale della persona colpita. (www.neurocaregiver.it)

"Educare i caregivers e i membri della famiglia sullo stroke e il percorso del ricovero è un aspetto molto importante. i caregivers di pazienti colpiti da ictus spesso non hanno le informazioni necessarie per poter gestire adeguatamente la situazione a domicilio".

(Sberna-Hinojosa e Rittman, 2007)

Al fine di poter migliorare la percezione di se e dell'altro può essere utile fornire alcune indicazioni di comportamento con l'obiettivo di attivare risorse emotive e cognitive tali da incidere anche nel caregiver; si tratta infatti di aiutarlo a riconoscere che la condizione subita non è immutabile e a rispristinare un grado di resilienza adatto per essere di nuovo capace di gestire la situazione e di saper cogliere le opportunità presenti nei possibili contesti. In particolare, chi si occupa di recupero e riabilitazione della persona disabile e del suo caregiver è focalizzato sulla creazione di sostegni per fronteggiare le numerose difficoltà che i soggetti vanno incontro promuovendo un approccio collaborativo e multidisciplinare. (Goussot 2011)

L'intervento riabilitativo multidisciplinare dovrebbe essere centrato sul "come" si sta con il paziente, cioè su un'interazione capace di cogliere un bisogno e un desiderio, spesso mancanti di chiarezza e di organizzarsi per una risposta; è la qualità della relazione che è fondamentale per raggiungere alcuni obiettivi anche minimali.

(Saviola e De Tanti 2010)

L'intervento educativo e informativo porta buoni risultati sulla comprensione della malattia da parte dei pazienti e dai loro caregiver. E' consigliato quindi realizzare questo tipo di intervento con sedute periodiche alle quali dovrebbe partecipare oltre ai pazienti ed ai caregiver, il team multidisciplinare. "Affrontare interventi di educazione, supporto e problem solving sono efficaci nel migliorare la salute mentale delle persone colpite da ictus e i loro caregiver." (Perrin et al. 2010) Inoltre, il coinvolgimento dei caregivers nei programmi terapeutici e la disponibilità di una efficace organizzazione sanitaria e sociale territoriale consentono di ridurre i tempi di degenza presso le strutture ospedaliere. (www.spread.it) La prognosi del paziente colpito da ictus cerebri dipende quindi, non solo dal corretto inquadramento patogenetico dell’evento clinico, dall’idoneo trattamento e dalla precoce e protratta fisiochinesiterapia, ma anche dal coinvolgimento, tramite un approccio multidisciplinare, dei familiari del paziente con particolare attenzione alla figura del caregiver. In base a queste premesse vari autori hanno proposto di passare da un modello di cura centrato sul paziente ad un modello centrato sul binomio paziente-caregiver (Tonani et al. 2012)

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