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« Maria Ludovica da Cossombrato: misticismo e profezia alla corte di Vittorio Amedeo II »

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(1)

HAL Id: hal-01694526

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alla corte di Vittorio Amedeo II ”

Elisabetta Lurgo

To cite this version:

Elisabetta Lurgo. “ Maria Ludovica da Cossombrato: misticismo e profezia alla corte di Vittorio Amedeo II ”. Hagiologica. Studi per Réginald Grégoire, éd. A. Bartolomei Romagnoli - U. Paoli - P. Piatti, Monastero di Sant’Antonio Abate, Fabriano 2012 , 2012, ISBN 978 – 88 – 87151 – 48 - 0).

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(2)

MARIA LUDOVICA DA COSSOMBRATO.

MISTICISMO E PROFEZIA ALLA CORTE DI VITTORIO AMEDEO II

Il 27 marzo del 1715 una lettera fu recapitata a Vittorio Amedeo II di Savoia, re di Sardegna, devastato dal dolore per la morte del figlio primogenito (

1

): le monache del monastero della Visitazione a Tori- no (

2

) comunicavano al sovrano che una profezia aveva riconosciuto nel principe sopravvissuto, Carlo Emanuele, il futuro re, e attribuivano la predizione a una priora ormai deceduta e a una « conversa di singolare perfezione che allora viveva nel monistero » (

3

).

La nascita del principe Vittorio Filippo, nel maggio del 1699, era stata attesa con trepidazione e accolta come un evento prodigioso:

dal matrimonio fra Vittorio Amedeo e Anna d’Orléans, infatti, erano nate fino ad allora quattro femmine e un solo maschio, vissuto pochi giorni (

4

). Nel corso del 1698 la carmelitana Maria degli Angeli, dal

(1) Su Vittorio Amedeo II (1666-1732), duca di Savoia dal 1675, re di Sicilia dal 1713 e re di Sardegna dal 1720, cf. F. rocci, Vittorio Amedeo II. Il duca, il re, l’uomo, Torino 2006; J. symcox, Vittorio Amedeo II: l’assolutismo sabaudo, 1675-1730, Torino 2003.

(2) Sul monastero della Visitazione di Torino, fondato da Giovanna Francesca Fremiot de Chantal nel 1638, cf. tamburini, Le chiese di Torino dal Rinascimento al Barocco, Torino 2002, pp. 216-222.

(3) Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi AsTo), Materie politiche per rapporto all’interno, Storie della Real Casa, Storie particolari, cat. III, mazzo 3, fasc. 1: Lettera di Gio. Pietro Costa nella quale accenna ad una profezia di una suora della Visitazione riguar- do al principe, 27 marzo 1715. « Fui ieri al monistero della Visitazione, ove sei monache chorisse in presenza della Madre Superiora mi hanno uniformemente assicurato che, seguito il nascimento di S.A. Prencipe di Piemonte, e saputosi nel monistero il nome impostogli, udirono tutte sei dalla bocca propria della fu suor Provana, stata superiora d’esso monistero, benché allora attualmente non lo fosse, che non il nato Prencipe dovea regnare, ma un Carlo Emmanuele. Non sanno le predette monache se la sudetta suor Provana habbi ciò detto di moto proprio o pure perché gliel’havesse communicato una monaca conversa di singolare perfezione che allora viveva nel monistero ».

(4) Asto, Materie politiche per rapporto all’interno, Cerimoniale, Nascite e battesimi, m. 1, Fasc. 27, Memorie della nascita e battesimo de’ principi e principesse figlioli del re VA e della Regina Anna d’Orléans, 1715.

(3)

monastero di Santa Cristina a Torino, aveva profetizzato la nascita del principe: la monaca aveva riferito alla priora del monastero e al suo direttore spirituale ciò che le sue « cose interne », come ella le chiama- va (

5

), le avevano rivelato sull’avvento dell’erede al trono, che sarebbe nato grazie all’intercessione di san Giuseppe. Naturalmente la profezia era subito giunta alle orecchie di Vittorio Amedeo e della moglie Anna Maria di Orléans: non altrettanto accadde quando anche Maria degli Angeli, come le due monache della Visitazione, previde il decesso del principe, dal momento che ella si guardò bene dal riferirlo a Vittorio Amedeo. Soltanto quando l’erede al trono era ormai spirato Maria de- gli Angeli indirizzò un’accorata missiva a Vittorio Amedeo: la monaca si rammaricava di non aver trovato il coraggio per avvertire il sovrano dell’imminente sciagura, sebbene quest’ultima le fosse stata rivelata, scriveva, « con quella sicurezza che non lassia dubitare » (

6

).

Vittorio Amedeo II nutriva un’enorme fiducia nelle profezie di Maria degli Angeli: quest’ultima, infatti, era piuttosto conosciuta presso la corte torinese e in città per le sue estasi e visioni, che le permisero di esercita- re un ruolo di consigliera spirituale per numerose dame dell’aristocrazia torinese e una certa influenza su Giovanna di Nemours e Anna Maria d’Orléans, rispettivamente madre e moglie di Vittorio Amedeo II (

7

).

Maria degli Angeli era al centro di una fitta rete di relazioni fra le dame della corte sabauda e le monache dei monasteri torinesi, intessuta attraverso la mediazione dei direttori spirituali, fra i quali aveva assunto

(5) AsTo, Materie politiche per rapporto all’interno, Lettere diverse Real Casa, Let- tere santi, mazzo 1, fasc. 20, Lettere originali della venerabile Suor Maria degli Angeli, monaca carmelitana: Asto, Lettere originali della venerabile Suor Maria degli Angeli, lettera a padre Costanzo di San Luigi del 27 marzo 1715: « Sa pure V.R. padre mio quanto io sono miserabile e perché vuole mai che compaiano le mie cose interne, che ponno essere illusioni ».

(6) Lettere originali, lettera a Vittorio Amedeo II del 27 marzo 1715: « Dio mi ha rimproverato la grande pusillanimità ch’io ebbi di non dire alla MV quello che mi sentivo di dirle, e l’anima del defunto rimprovera in certa maniera VM che si abandona al dolore, eppure so che a fatti atti di tutta pietà e di omissione di tanto merito, io son per questo in una teribile confusione di me stessa, l’una e l’altra cosa mi è venuta con quella sicurezza che non lassia dubitare e se voglio discorrere sopra mi parano contrarie, o Dio che pena ad una tanto priva di spirito e di virtù come son io dover obedire in cose simili ».

(7) Sulla vita di Marianna Fontanella (1661-1717), in religione Maria degli Angeli, proclamata beata da Pio IX nel 1865, cf. la voce curata da F. mEdioli, Fontanella Marianna, in Dizionario biografico degli Italiani, 48, Roma 1997, pp. 730-731; carmEli-

tanE scalzEdi moncaliEri, Nel cuore della città assediata, una seminatrice di speranza, in Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale, a cura di G. mola di nomaglio - R. sandri giachino - G. mElano - P.

mEniEtti, II, Torino 2007, pp. 861-878.

(4)

3

MARIA LUDOVICA DA COSSOMBRATO

Se non andassero bene indicare cosa mettere. Grazie.

un ruolo di primo piano l’oratoriano Sebastiano Valfré, precettore delle figlie di Vittorio Amedeo II (

8

): egli intratteneva rapporti di direzione spirituale con alcune monache in fama di santità nel monastero della Vi- sitazione a Torino (

9

), fra cui c’era la mistica e visionaria Jeanne Bénigne Gojos (

10

). Le visioni ed esperienze mistiche di Jeanne Bénigne furono raccolte dalla consorella Maria Gertrude Provana (

11

): era stata proprio quest’ultima, secondo il racconto delle monache, a profetizzare insieme all’ignota conversa la morte del principe Vittorio Filippo e quindi il futuro avvento di Carlo Emanuele III sul trono sabaudo (

12

).

Maria degli Angeli e le oscure monache della Visitazione non erano tuttavia le sole a sostenere di aver previsto, grazie a una rivelazione divina, il destino regale di Carlo Emanuele: anche Serafina Brunelli, conversa nel monastero benedettino di Santa Caterina a Montone, ave- va comunicato una profezia simile a un astrologo di Vittorio Amedeo, Giovanni Giobbi Fortebracci (

13

). Quest’ultimo era entrato in contatto

(8) Sulla vita e l’opera di Sebastiano Valfré (1629-1710), beatificato nel 1834, cf.

A. dordoni, Un maestro di spirito nel Piemonte tra Sei e Settecento. Il padre Seba- stiano Valfré dell’Oratorio di Torino, Milano 1992; sui rapporti fra il Valfré e Vittorio Amedeo II, cf. C. M. dE VEcchi, Vittorio Amedeo II e il beato Sebastiano Valfré, in

« Rassegna storica del Risorgimento », 22 (1935), pp. 799-815; sui contatti del Valfré con Maria degli Angeli, cf. R. savarino, Forme, forza e limiti della dimensione religiosa in una città assediata. Figure significative, classi sociali ed eventi collettivi nella Torino del 1706, Torino 2007, pp. 841-859.

(9) Sul monastero della Visitazione di Torino, fondato da Giovanna Francesca Fremiot de Chantal nel 1638, cf. tamburini, Le chiese di Torino, pp. 216-222. Sulle religiose della Visitazione e il Valfré, cf. dordoni, Un maestro di spirito, pp. 52-53.

(10) Su Jeanne Bénigne Gojos (1615-1692), monaca conversa della Visitazione, non esistono studi critici: cf. il volumetto a cura del monastero della Visitazione di Torino, Jeanne Bénigne Gojos, Torino 2010.

(11) Il manoscritto in cui Maria Gertrude raccontava le visioni di Jeanne Bénigne Gojos è attualmente irreperibile; esso fu pubblicato in due edizioni e in traduzione italiana: Le charme du divin amour, ou Vie de la devote soeur Jeanne-Benigne Gojos reli- gieuse domestique de la Visitation, Torino 1846 [seconda edizione Besançon, P. Jacquin, 1901]; Le delizie del divino amore, o Vita della piissima sorella Giovanna Benigna Gojos religiosa conversa della Visitazione Santa Maria, Torino 1869. Maria Getrude Provana fu anche autrice di un’opera a carattere annalistico che ripercorre la storia del monastero dalla fondazione, nell’ottobre del 1638, al maggio del 1693: Archivio del Monastero della Visitazione di Torino, Abrégé de la fondation [de] ce Monastère de Turin fait par notre chère s. M. Gertrude Provana de Leini selon le vieux stile, copia manoscritta della fine del XVII secolo, pp. 1-235. Su Maria Gertrude Provana (1634-1700) si veda Cenni intorno alla veneranda madre suor Maria Elisabetta Geltrude Provana di Leyni, a cura di G. B. adriani, Torino 1857, volumetto ormai rarissimo, che rielabora la biografia scritta in francese da una monaca della Visitazione, inclusa all’interno del manoscritto Abrégé de la fondation, pp. 236-261.

(12) Vedi sopra, n. 2.

(13) Su Serafina Brunelli (1659-1729) si veda E. cifErri, Serafina Brunelli. Vita, vi- sioni e profezie della mistica di Montone, Perugia 2007; id., Serafina Brunelli (1659-1729)

(5)

con Serafina nel 1698, durante un viaggio a Montone: egli comunicò a Vittorio Amedeo le numerose visioni attraverso le quali Serafina gli profetizzava la corona regale, annunciandogli il trionfo sulle armate francesi (

14

).

Accanto a monache profetesse come Maria degli Angeli e Serafina da Montone, altre figure dai contorni più sfuggenti, in bilico sul labile confine fra mondo ecclesiastico e società laica, riuscirono a entrare in contatto con la corte sabauda, svolgendo un ruolo di consigliere spiri- tuali presso la famiglia regnante. Due di esse, Anna Maria Emmanueli da Sommariva Bosco e Antea Gianetti, rimasero estranee alla pietà ari- stocratica, dimostrando tuttavia una notevole capacità di manipolazione della cultura istituzionale e dei suoi attributi simbolici.

La vedova Antea Gianetti, originaria di Lucca, rappresentò nei primi anni del Seicento una sorta di ambasciatrice spirituale per casa Savoia (

15

). Antea si distingueva molto presto per la sua particolare devo-

e il suo diario, « Benedectina », 49 (2002), pp. 421-438; id., Il Trattato sulle stigmate di Serafina Brunelli, in « Studia Monastica », 46 (2004), pp. 87-104. Su Giovanni Vincenzo Giobbi Fortebracci, morto nel 1722, e la sua corrispondenza con Serafina Brunelli, cf.

V. dainotti, Veggenti ed astrologi intorno a Vittorio Amedeo II, in « Bollettino Storico- bibliografico Subalpino », 34 (1932), pp. 263-282. Sulle visioni della monaca riguardanti il conflitto fra i Savoia e la Francia e il destino regale di Vittorio Amedeo, cf. D. bo-

lognini - E. cifErri, L’assedio di Torino negli scritti di Serafina Brunelli, in Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706, II, pp. 887-907: esse furono ricopiate dal Fortebracci, che le inviò al duca: AsTo, Materie politiche per rapporto all’interno, Lettere di particolari, S, mazzo 58.

(14) Sotto il governo di Vittorio Amedeo II lo Stato sabaudo si trovò coinvolto in due conflitti contro la Francia, tra il 1690 e il 1713; Torino fu assediata una prima volta nel 1705, durante la Guerra di successione spagnola fra Asburgo e Borboni, mentre il secondo assedio iniziò fra maggio e giugno del 1706 e si concluse nel settembre dello stesso anno con la vittoria sabauda. Sulla situazione di Torino sotto Vittorio Amedeo II, cf. symcox, La trasformazione dello Stato e il riflesso nella capitale, in Storia di Torino, 4:

La città fra crisi e ripresa (1630-1730), a cura di G. ricupErati, Torino 2002, pp. 738-778;

sull’assedio del 1706, cf. Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale, a cura di G. mola di nomaglio - R. sandri giachino

- G. mElano - P. mEniEtti, I-II, Torino 2007; L’armata reale di Francia all’assedio di Torino 1706, in « Annales Sabaudiae », 3 (2007), numero monografico.

(15) Su Antea Gianetti (1570-1630), cf. G. Villani, Breve narratione di alcune azioni di Antea Gianetti da Bressago raccolte dal padre Gerolamo Villani sacerdote della Compagnia di Gesù scritta in Como l’anno 1617 ad uso della madri cappuccine di Torino Borgo Po, manoscritto nell’archivio del monastero della monache cappuccine di Torino;

Archivio Provinciale dei Cappuccini del Piemonte, Sez. 15, Fototeca, 1.3: Memorie delle cose più notabili occorse nel tempo della fondazione del monastero delle Madri Cappuccine di Torino; che riproduce il manoscritto originale della seconda metà del XVII secolo conservato in Archivio di Stato di Milano, Fondo di religione, Microfilm, cart. 6503/6;

Sez. 6.3, Le povere cappuccine di Torino. Memorie storiche della fondazione e vicende del loro monastero sotto il titolo della Madonna del Suffragio, manoscritto del 1910 che rielabora il precedente aggiungendo notizie su Antea Gianetti tratte dal manoscritto del

(6)

zione verso le anime del purgatorio: secondo Girolamo Villani, suo di- rettore spirituale e agiografo, quando arrivò a Torino ella fece stampare e diffondere nella città numerosi cartelli, che esortavano la popolazione a pregare per le anime purganti. A spalancare le porte della corte ad Antea fu la guarigione di Caterina, una delle figlie del duca Carlo Ema- nuele I di Savoia, attribuita a una bevanda somministratale dalla donna:

la fama di Antea si diffuse oltre i confini dello Stato sabaudo ed ella incominciò un inesausto peregrinare fra Modena, alla corte di Alfonso d’Este, Milano, Vercelli, Varallo, Reggio Emilia, Assisi, Loreto, Firenze, infine Roma, facendo affiggere ovunque cartelli esortanti alla preghiera per le anime del purgatorio. Antea Gianetti morì a Torino nel 1630 e fu sepolta nel monastero cappuccino della Beata Vergine del Suffragio:

secondo una tradizione che si conservò all’interno del monastero, infatti, Antea aveva giocato un ruolo determinante nella sua fondazione (

16

).

La vicenda di Antea Gianetti presenta numerosi motivi di interesse, primo fra tutti la sua attività di predicatrice, di cui restano da chiarire contenuti, diffusione spaziale ed effettiva influenza: essa era verosimil- mente ispirata a quella forma di comunicazione attraverso immagini ampiamente sfruttata dai predicatori (

17

), ma nel contempo evoca una commistione fra spettacolo di strada e predicazione fuori dal diretto controllo dell’autorità ecclesiastica (

18

).

Villani. È in corso di pubblicazione sulla « Rivista di storia e letteratura di religiosa » un breve contributo di D. bolognini, Madonna Antea da Brissago. Tra le anime del Purgatorio e le corti italiane. Notizia e brani di un manoscritto inedito del 1617.

(16) Sul monastero della Madonna del Suffragio, aperto a Torino nel 1627, all’esterno della cinta muraria, cf. P. risso, Sulle orme di Francesco e Chiara per “un ricamo d’amore”. Storia del monastero delle clarisse cappuccine di Torino, Torino 1992;

tamburini, Le chiese di Torino, pp. 148-150. La chiesa e il primitivo monastero furo- no demoliti già nel 1639, durante il conflitto fra Cristina di Francia e i suoi cognati, i cardinali Maurizio e Tommaso di Savoia: il nuovo monastero fu fondato nel 1640, all’interno delle mura cittadine; sul ruolo giocato da Antea nella sua fondazione, cf.

Le povere cappuccine di Torino. Memorie storiche della fondazione e vicende del loro monastero, ff. 19v-20v.

(17) Sulla predicazione in area italiana fra XV e XVII secolo, cf. C. E. norman, The social history of preaching. Italy, in L. taylor (ed.), Preachers and people in the Reformations and Early Modern Period, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 125-191; sull’uso, da parte dei predicatori, di artifici retorici e delle arti visive, nella ricerca di un forte impatto emotivo sulle masse, cf. N. bEn-aryEh dEbby, The preacher as Goldsmith: the italian preachers’ use of the visual arts, in C. muEssig (ed.), Preacher, Sermon and Audience in the Middle Ages, Leiden-Boston-Köln 2002, pp. 127-153; sulla predicazione femminile XVI e XVII secolo, cf. A. ValErio, La predicazione femminile dagli anni pre-tridentini alla prima metà del Seicento, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento, a cura di G. martina - U. dovErE, Roma 1996, pp. 189-193.

(18) I cartelli di Antea, in effetti, sembrano rinviare a « materiale per l’immaginario » come quello utilizzato per i suoi spettacoli dal pittore imolese Francesco Bartolomeo

(7)

Simile a quella di Antea, sotto alcuni aspetti, si presenta la figura di Anna Maria Emmanueli da Sommariva Bosco (

19

), che arrivò a Torino nel 1657, sotto la protezione del gesuita Luigi Tana, rettore della Com- pagnia di San Paolo (

20

): secondo la tradizione agiografica, Carlo Ema- nuele II di Savoia e la moglie, Maria Giovanna Battista di Nemours (

21

), accolsero personalmente Anna Maria vicino al castello del Valentino (

22

).

Appena giunta a Torino, la donna entrò all’Ospizio di Carità (

23

) come

Pelosio, nella seconda metà del XV secolo, un « sacro monte mobile » con le immagini della Passione: cf. G. romano, Usi religiosi e produzione figurativa del Cinquecento.

Qualche sintomo di crisi, in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, a cura di A. prospEri - A. biondi, Modena 1987, pp. 155-163 (cf. pp. 157-158).

(19) La figura di Anna Maria Emmanueli (1615-1673) è ricordata in relazione a Sebastiano Valfré da P. G. longo, La vita religiosa nel XVII secolo, in Storia di To- rino, pp. 681-710: p. 708; dordoni, Un maestro di spirito, pp. 94-95. Il solo tentativo di ripercorrere la biografia della Emmanueli indipendentemente da Sebastiano Valfré è il modesto studio di R. Gremmo, Peste, streghe, visioni e “infestazioni diaboliche” a Sommariva Bosco, in id., Streghe e magia. Episodi di opposizione religiosa popolare sulle Alpi del Seicento, Biella 1994, pp. 190-205. L’unica agiografia di Anna Maria Emma- nueli data alle stampe fu compilata da un anonimo oratoriano di Torino, identificato da Dordoni con Giovanni Ludovico Vacca (Un maestro di spirito, pp. 94-95, nota 79):

Vita della serva di Dio Anna Maria Emmanueli nata Buonamici di Sommariva Bosco in Piemonte, Torino 1772.

(20) Vita della serva di Dio, pp. 108-109. Sulla Compagnia di San Paolo, nata a Torino come Compagnia della fede cattolica nel 1563 e passata sotto la direzione dei gesuiti nel 1566, cf. Per una storia della Compagnia di San Paolo (1563-1853), a cura di W. E. crivEllin - B. signorElli, I-III, Torino 2004.

(21) Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (1644-1724), moglie di Carlo Emanuele II, assunse la reggenza per il figlio Vittorio Amedeo II quando quest’ultimo successe al padre nel 1675 e la mantenne fino al 1684: cf. I. massabò ricci - a. mEr-

lotti, In attesa del duca: reggenza e principi del sangue nella Torino di Maria Giovanna Battista, in Torino 1675-1699, a cura di G. romano, Torino 1993, 122-174.

(22) Vita della serva di Dio, pp. 112-113.

(23) L’Ospizio di Carità, costituito dal 1649 sotto l’egida della Compagnia di San Paolo, era diretto da un comitato esecutivo di cinque membri che comprendeva l’ar- civescovo, due cortigiani nominati dal duca, un rappresentante delle corti supreme e il primo sindaco; il potere deliberativo era affidato a cinque rettori scelti dal consiglio comunale, due rappresentanti della Compagnia di San Paolo e sei membri scelti dalle corporazioni. L’Ospizio ospitava i mendicanti non sposati in età fra i sette e i quattor- dici anni e quelli con più di cinquant’anni, sovvenzionando le famiglie più indigenti me- diante distribuzioni domenicali di pane; inizialmente insediato vicino alla chiesa di San Marco, in riva al Po, fu trasferito nel 1661 nell’antico monastero delle Cappuccine. Cf.

E. christillin, L’assistenza, in Storia di Torino, pp. 871-894: pp. 877-879; sull’Ospizio di Carità sotto la direzione della Compagnia di San Paolo si veda S. cavallo, Charity and Power in Early Modern Italy. Benefactors and their motives in Turin, 1541-1789, Cambridge 1985, pp. 115-120. Non è stato possibile, finora, reperire tracce dell’attività di Anna Maria nell’Ospizio, in quanto nell’archivio di quest’ultimo, conservato presso l’Archivio storico del Comune di Torino, risulta dispersa la documentazione precedente al trasferimento di sede nel 1661.

(8)

« sotto-madre », con funzioni direttive di un certo peso (

24

): ella si stabilì all’Ospizio con cinque figli e la madre, ma presto li raggiunsero anche il marito e il direttore spirituale di Anna Maria, che si insediarono all’Ospi- zio rispettivamente come economo e vice-rettore. Dopo una permanenza breve e travagliata alla direzione dell’Ospizio, Anna Maria, rimasta vedova, si trasferì con i familiari in un alloggio presso il collegio ge- suita di Torino; nel maggio del 1666, quando nacque il futuro Vittorio Amedeo II, primogenito di Carlo Emanuele, la donna fu scelta come madrina del principe (

25

). Nel 1670 Sebastiano Valfré assunse la direzione spirituale di Anna Maria: dapprima egli nutrì forti sospetti contro di lei, poi si convinse della sua santità e ne divenne un appassionato devoto (

26

).

Anna Maria Emmanueli morì nel novembre del 1673 e fu sepolta nella chiesa di San Filippo a Torino: Vittorio Amedeo II tenne una veste della donna presso di sé, presumibilmente come reliquia taumaturgica (

27

).

La breve permanenza di Anna Maria Emmanueli alla direzione dell’Ospizio di Carità la accomuna a un’altra figura femminile che me- rita una particolare attenzione, perché il suo itinerario mistico si esprime in visioni di notevole complessità e originalità, legandosi a una vicenda biografica dai risvolti sorprendenti: si tratta di della mistica Maria Lu- dovica Gianinetta, di cui si conserva ancora un nutrito carteggio con Vittorio Amedeo II (

28

).

(24) Vita della serva di Dio, p. 112.

(25) Vita della serva di Dio, pp. 131-132. Il racconto dell’anonimo agiografo è confermato dall’atto di battesimo di Vittorio Amedeo, conservato in AsTo, Materie politiche per rapporto all’interno, Cerimoniale, Nascite e battesimi, busta 1, fasc. 20, Fede del battesimo del duca Vittorio Amedeo, 10 aprile 1668: l’arcivescovo Beggiami afferma di aver battezzato il bambino il 14 maggio 1666, « patrini fuerunt de mandato eiusdem Regis celsitudinis duo pauperes, videlicet Franciscus Collus Cherii et Anna Maria Manuella loci Summe Ripe » [il corsivo è mio].

(26) I lunghi colloqui spirituali con Anna Maria Emmanueli, messi per iscritto da Sebastiano Valfré, sono conservati nell’archivio storico della Congregazione di San Filippo Neri a Torino, fondo Sebastiano Valfré, Scritti del beato Sebastiano Valfré, vol. 19: Manoscritto del beato Sebastiano Valfré che contiene molte memorie della serva di Dio Anna Maria Emanuelli di Sommariva Bosco; nello stesso fondo è conservata una Vita della Serva di Dio Anna Maria Emanuelli, copia ottocentesca della biografia mutila della Emmanueli scritta da Valfré; cf. anche, nello stesso fondo, Scritti diversi, Manoscritto frammentario sulla vita della serva di Dio Anna Maria Emanuelli, autografo di Sebastiano Valfré.

(27) Vita della serva di Dio, p. 164.

(28) Attualmente si conservano 79 lettere autografe di Maria Ludovica, scritte fra il 1701 e il 1726: la maggior parte sono indirizzate a Vittorio Amedeo II, qualcuna alla moglie Anna Maria d’Orléans; esso sono custodite in AsTo, Materie politiche per rapporto all’interno, Lettere di particolari, M, mazzo 19, Maria Ludovica Gianettina.

Nonostante il regesto, le lettere sono quasi tutte firmate per esteso Maria Ludovica Gianinetta e alcune portano la sola sigla M.L.

(9)

Le lettere e i biglietti che Maria Ludovica scrisse a Vittorio Ame- deo sono notevoli soprattutto per il tono familiare usato dalla donna, in stridente contrasto con quello rispettoso e umile tipico delle lettere di Maria degli Angeli: il sovrano è per Maria Ludovica « figlio mio in Cristo carissimo », al quale raccomanda di scriverle « con tutta confiden- za », senza mai dubitare che ella provvederà a presentare le sue richieste davanti a Dio (

29

). La donna trovava spesso occasione per avvicinare Vittorio Amedeo o lo invitava a raggiungerla, per comunicargli « qualche mio parlare che non devo meter in carta » (

30

): in un breve messaggio anche Anna Maria d’Orléans, « dilettissima in Cristo », è invitata piut- tosto perentoriamente a raggiungerla, perché « Maria Ludovica desidera grandemente la sua venuta costì, dimani matina, per haver qualche cosa da conferirli che non li farà dispiacere » (

31

). Vittorio Amedeo si affidava alla preghiera di Maria Ludovica e le chiedeva consiglio (

32

), ma a volte era la stessa Gianinetta a chiedergli di accompagnarla nella preghiera, confidando soltanto nella missione divina che le era stata affidata:

Li dico poi con tutta confidenza che pregai Dio a voler acetar una su- plica che vado a presentarli con il più vivo del cuore per esser scritta con caratteri di sangue, e questa si presenterà domattina per tempo, e procuri accompagnarmi con la sua mente a pregar Dio acciò si compiac- cia di sottoscriverla, con dolce e favorevol decreto, e non si meravigli di questo, che o il mo fine, quale non pol essere che bene per lui (

33

).

I consigli di Maria Ludovica riguardavano anche la salute della fa- miglia del sovrano: durante la gravidanza di Anna Cristina del Palatina- to, moglie del principe Carlo Emanuele, ella scrisse a Vittorio Amedeo:

Se a Vostra Maestà piacesse ordinare che durante la gravidanza della Reale Principessa si facessero continue preghiere anche pubbliche, lo

(29) Maria Ludovica Gianettina, lettera a Vittorio Amedeo II del 31 maggio 1705:

« Mi scrivi pure con tutta confidanza e non dubita del aiutto che le mie poche forze mi permettano innanzi a Dio ».

(30) Ivi, lettera a Vittorio Amedeo II del 22 agosto 1702.

(31) Ivi, biglietto a Giovanna di Nemours senza data né firma, ma autografo di Maria Ludovica: « Sono con questa a farli sapere sì come Maria Ludovica desidera grandemente la sua venuta costì dimani matina per haver qualche cosa da conferirli che non li farà dispiacere, onde procuri alla più presto che si può di condescendere alle brame di chi li vol tutta e poi tutta la sua bene, et in Giesù l’abbracio ».

(32) Cf. Maria Ludovica Gianettina, lettera a Vittorio Amedeo del 28 novembre 1704, nella quale promette al duca che pregherà per un malato « di gran conseguenza » e aggiunge che « in quanto a quel mi dice di sua casa io non stimarei a proposito far mutatione alcuna ».

(33) Ivi, lettera a Vittorio Amedeo del 19 maggio 1704.

(10)

stimerei molto opportuno. Come pure l’avere ogni attenzione a chi l’ac- costa e a quello che mangia e il fare che sia munita di qualche insigne reliquia (

34

).

Se Vittorio Amedeo non le scriveva con l’assiduità a cui era abi- tuata, la donna lo rimproverava con toni sorprendentemente bruschi:

Questa è la terza che li scrivo dopo la sua partenza e la quantità delle sue non so numerarla, non potendo contare altro su questo, salvo che in tempo così caldo si sia intromessa qualche aria freda la quale habbi fatto gelare le sue promesse nell’inchiostro (

35

).

Ma chi era esattamente Maria Ludovica Gianinetta? Non esiste bibliografia su di lei e fino a tempi recentissimi non è stato possibile identificarla (

36

): soltanto il fortuito ritrovamento dell’opera agiografica di un cappuccino del convento di Santa Maria del Monte a Torino, Giu- seppe da Vinovo (

37

), ha permesso di ricostruire la straordinaria vicenda di Maria Ludovica, sullo sfondo del ducato sabaudo dei primi decenni del XVIII secolo. L’autore del manoscritto era un personaggio di primo piano fra i cappuccini del Piemonte, poiché dal 1722 al 1725 era stato ministro provinciale dell’ordine: egli confortò Vittorio Amedeo quando quest’ultimo, che aveva abdicato nel 1728, fu confinato nel castello di Moncalieri per ordine del nuovo duca Carlo Emanuele III (

38

).

(34) Ivi, lettera a Vittorio Amedeo del 21 agosto 1722.

(35) Ivi, lettera a Vittorio Amedeo del 28 giugno 1705.

(36) Cf. D. bolognini - E. cifErri, L’assedio di Torino negli scritti di Serafina Brunelli, p. 890.

(37) G. da VinoVo, Virtù e doni sopranaturali della fu signora Maria Ludovica di Cossombrà, manoscritto della prima metà del XVIII secolo conservato nella Biblioteca Centrale di Torino, Fondo Bosio, MSB.179. Si tratta di un codice in quarto di 304 pagine numerate più 3 carte numerate da I a VI, con rilegatura coeva in cartone, data- bile alla prima metà del XVIII secolo, copia di un manoscritto compilato da Giuseppe da Vinovo dopo il 1728. L’opera è divisa in tre parti: la prima sezione, Virtù e doni sopranaturali della fu signora Maria Lodovica di Consombrato (pp. 1-80), contiene un compendio della vita di Maria Ludovica, suddiviso in 28 capitoli nell’indice, ma che in realtà risulta di 11 capitoli; nella seconda sezione, Grazie corporali concesse da Dio a molti per intercessione di Maria Lodovica in vita della medesima e dopo la morte (pp. 81-247) l’agiografo ricopia il diario spirituale della donna suddividendolo in 151 capitoli e aggiungendovi la descrizione della morte nel 1728; l’ultima sezione, infine, è occupata dalla trascrizione della relazione di un anonimo cortigiano, testimone di un lungo periodo di digiuno ed estasi vissuto da Maria Ludovica fra il 1702 e il 1703 (pp. 249-279).

(38) Su Giuseppe da Vinovo (1668-1734), cf. F. bortolozzo, Necrologio dei frati minori cappuccini della provincia del Piemonte, I, Torino 2005, p. 302: il necrologio sottolinea la stima di cui il frate godeva presso la corte sabauda e Vittorio Amedeo II, che aveva confortato durante la prigionia a Rivoli e a Moncalieri. Il convento di Santa

(11)

Giuseppe da Vinovo racconta la storia di Maria Ludovica signora di Cossombrato, piccolo borgo nei pressi di Asti, trascrivendo le fitte pagine in cui la donna, sua figlia spirituale, gli narrava le visioni con cui Dio la gratificava e le tentazioni diaboliche dalle quali era tormentata. Il frate, mentre si diffonde lungamente nel descrivere le virtù meravigliose di Maria Ludovica, fornisce soltanto scarni cenni biografici sulla don- na (

39

): questi ultimi hanno tuttavia consentito di identificare la signora Maria Ludovica di Cossombrà con Maria Ludovica Gianinetta, autrice delle singolari missive a Vittorio Amedeo II.

Giuseppe da Vinovo afferma che fin dalla più tenera età Maria Lu- dovica aveva attirato l’attenzione per l’ardente fede, le rigide penitenze e l’insaziabile fame di eucaristia (

40

): le sue esperienze mistiche erano avvenute sotto la direzione di un domenicano residente nel convento di Torino (

41

), città in cui Maria Ludovica era nata intorno al 1680 (

42

).

Il padre apparteneva forse a una famiglia di mercanti torinesi (

43

): egli possedeva una vigna a Venaria Reale (

44

), dove Maria Ludovica suscitò l’interesse del prevosto e dei compaesani quando cominciò a cadere in estasi, irrigidendosi nel corpo, ogni volta che in chiesa le era sommini-

Maria del Monte a Torino fu fondato nel 1583, per volere del duca Carlo Emanuele I:

cf. Le chiese di Torino, pp. 85-91; G. ingEgnEri, Storia dei Cappuccini della provincia di Torino, Roma 2008, p. 23 e 29-30.

(39) L’autore spiega in questo modo la scelta di tacere quasi totalmente la vicenda biografica di Maria Ludovica: « Perché non formo istoria rigorosa e circumstanziata in tutta la sua esistenza, ma solo compendio un semplice racconto del più rimarcabile ed a me noto intorno alla vita di questa serva di Dio, perciò niuno stuppisca se non distinguo l’ettà, impieghi e stati diversi, anche perché essendo sempre stata simile a se stessa in ogni tempo, mi converrebbe rispettar diverse cose e virtù pratticate dalla medesima » (Virtù e doni, p. 5).

(40) Vita e virtù, pp. 7-8.

(41) Cf. Virtù e doni, pp. 8-9: il frate domenicano le permise di comunicarsi per la prima volta quando aveva undici anni.

(42) Il luogo di nascita e il nome dei genitori si ricava da un atto conservato in AsTo, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, 1705, b. 1464, ff. 495r-498v, Arrogatione dell’Ill. signor Vincenzo Vuolfango di Ballinovich a favore della signora Maria Giovanna Ludovica Gianinetta: « Maria Giovanna Ludovica Gianinetta della città di Torino, in questo luogo residente, figlia legittima e naturale delli furono signori Martino e Maria Catterina giugalli Gianinetti »; dal manoscritto Vita e virtù, 245, apprendiamo che Maria Ludovica morì a 48 anni nell’ottobre del 1728.

(43) Sui mercanti Gianinetti, cf. S. cErutti, Mestieri e privilegi. Nascita delle cor- porazioni a Torino, secoli XVII-XVIII, Torino 1992, p. 40.

(44) AsTo, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, 1718, b.

1715, ff. 1388r-1388r: Rattificanza della signora Ludovica Maria moglie del signor Cava- gliere Domenico Francesco Tarino di Cossambrà et Vittoria Cattarina sorelle Gianinette:

le due sorelle vendono a un medico torinese una vigna « già posseduta per proprietà dal detto fu signor Martino Gianinetto loro padre ».

(12)

strata l’eucaristia (

45

). La ragazza dovette trovarsi presto sotto la tutela di ecclesiastici che le diedero un’istruzione (

46

) e probabilmente le procura- rono i primi contatti con la corte sabauda: fra questi c’erano Sebastiano Valfré (

47

), che, come abbiamo visto, non era affatto insensibile al fascino di mistiche e visionarie, e il gesuita Agostino Provana, rettore della Compagnia di San Paolo (

48

): essi fornirono a Maria Ludovica gli stru- menti culturali che le consentirono di riorganizzare la rappresentazione del proprio itinerario spirituale alla luce di una letteratura mistica i cui echi sono evidenti nella sua scrittura (

49

).

(45) Vita e virtù, pp. 10-11.

(46) Già nelle lettere indirizzate a Vittorio Amedeo nel 1701-1702, infatti, Maria Ludovica padroneggia la scrittura in modo sostanzialmente corretto, mentre la sorella Vittoria Caterina nel 1718 risulta analfabeta: cf. l’atto conservato in AsTo, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, 1718, b. 1715, ff. 1388r-1388v, che Vittoria Caterina sottoscrive con il signum crucis.

(47) Vita e virtù, p. 4.

(48) Cf. Per una storia della Compagnia di San Paolo, II, pp. 15-16; nel 1706 un padre Ignazio Gianinetti si trovava nel collegio gesuita di Torino, ma è impossibile, allo stato attuale delle ricerche, affermare che si trattasse di un parente di Maria Ludovica:

cf. L. gilardi, Gesuiti, associazioni laicali e predicazione nella chiesa dei Santi Martiri tra Seicento e Settecento, in I Santi Martiri, pp. 154. Fra i direttori spirituali di Maria Ludovica figura, inoltre, un « padre Luiggi carmelitano scalzo » (Virtù e doni, pp. 4), che potrebbe essere Luigi di Santa Teresa, provinciale della provincia di San Maurizio in Piemonte.

(49) Protagonisti di numerose visioni narrate da Maria Ludovica sono Teresa d’Avila e la carmelitana Maria Maddalena de’ Pazzi, la domenicana Caterina da Siena, Francesco e Chiara d’Assisi, il francescano Pietro d’Alcantara. L’ordine gesuita, a cui appartenevano molti fra i suoi protettori, le viene raccomandato in modo particolare:

nel quinto giorno della prima settimana di esercizi spirituali iniziati nell’ottobre del 1707, racconta Maria Ludovica, « fui subito rapita in spirito e m’apparve Giesù tutto sudando il vivo sangue in tutto il corpo (...) mi raccomandò in particolare alcune religgioni, fra le quali la Compagnia di Giesù, dicendomi: Figlia e sposa diletta del cuor mio, sappi che io ti ho dato e ti dò questa Compagnia, acciò tu preghi per lei ogni mattina nella Communione e la metti nel mio costato, poiché in questa sta molto il mio cuore, e gloria, sforzati di amare questi miei fratelli, che tali li chiamo ». Nel primo giorno degli esercizi spirituali cominciati nell’ottobre del 1706, invece, è lo stesso Ignazio di Loyola a presentarsi davanti a Maria Ludovica « con facia ridente e maestosa, e mi disse queste precise parole: Figlia mia, devi sapere che di molti doni si priva la creatura qual non ama il suo Dio (...) Bensì, figlia, quanto grande è il tuo desiderio d’amar Dio, e devi esser consolata poiché ti dico che il tuo Sposo è molto servito da te con questo desiderio, e perciò mi ha mandato a consolarti ed istruirti in questi esercizii » (ivi, p. 150). Una visione, peraltro, scaturì, secondo Maria Ludovica, dalla meditazione su un passo di un’opera del gesuita spagnolo Alfonso Rodriguez (1531- 1617), cf. ivi, p. 188: « Non sapevo in che maniera sollevarmi e perciò presi a leggere il p. Rodriguez, ad a caso incontrai dove tratta delle tentazioni che Dio permette tall’ora all’anime per sempre più purificarle. Avanti che finissi di leggere mi si è presentato vivamente nell’interno Giesù tutto risplendente e festoso con diversi instrumenti di sua Passione in braccio ».

(13)

Tanto Sebastiano Valfré quanto i gesuiti di Torino erano stati fra i promotori della fama di santità di Anna Maria Emmanueli: ma, come vedremo, non è questo il solo tratto che accomuna la tormentata esi- stenza di Maria Ludovica con l’esperienza mistica della contadina di Sommariva Bosco venerata dal Valfré.

Maria Ludovica cominciò a condurre, almeno a partire dal 1701, un’esistenza simile a quella di una penitente affiliata a un ordine men- dicante, scandita da preghiere e da rigidissime penitenze, secondo regole approvate dai confessori: in più occasioni Giuseppe da Vinovo ricopia le meditazioni scritte da Maria Ludovica per i suoi esercizi spirituali, nei quali è evidente l’influsso della spiritualità ignaziana (

50

), e le pe- nitenze che ella si imponeva dietro comando divino (

51

). A partire dal 24 settembre del 1702 la giovane donna iniziò un periodo di digiuno che si prolungò fino al 15 ottobre, durante il quale si nutrì soltanto di eucaristia, culminato nella comparsa delle stigmate sul suo corpo: alle spettacolari estasi assistettero numerosi cortigiani e un medico inviato da Vittorio Amedeo, che le registrò minuziosamente (

52

).

La comparsa delle stigmate sul corpo di Maria Ludovica è ricor- data dall’agiografo come prova della devozione della donna verso la Passione di Cristo (

53

). La meditazione sulle sofferenze del Salvatore era cominciata, secondo Giuseppe da Vinovo, quando Maria Ludovica aveva soltanto sette anni (

54

): da allora essa era divenuta tanto ardente da farla cadere « in agonie mortali, vedendosi ad un tratto impallidire e tramortire in deliqui di gran compassione », soprattutto al venerdì e

(50) Si veda soprattutto Virtù e doni, pp. 185-205, in cui Maria Ludovica descrive le visioni scaturite dagli esercizi spirituali, come ella stessa li definisce, suddivisi in quattro settimane incentrate ognuna su un differente tema di meditazione.

(51) Cf. Virtù e doni, pp. 39-43; 149-152. L’anonimo autore del resoconto delle estasi fra il 1701 e il 1702 riporta le meditazioni scritte da Maria Ludovica per la novena di Pentecoste (ivi, pp. 276-279).

(52) Il racconto dell’anonimo cortigiano è riportato in Virtù e doni, pp. 249-279:

Giuseppe da Vinovo afferma di ricopiare il testo scritto « da un personaggio stato presente quasi a tutto quanto infin vien nottato e ciò fedelmente »: dalla lettura del resoconto si ricava che l’autore doveva essere un cortigiano inviato a Venaria dal duca insieme con uno dei medici di corte. Il racconto inizia il 25 settembre del 1702 e si conclude il 17 maggio dell’anno successivo.

(53) Virtù e doni, pp. 71: « Quanto però fosse impressa la sua passione in quest’anima eletta volle Giesù renderlo palese con imprimerle nel corpo le sua sacre stigmate nel dì festivo di S. Michele che nell’anno 1702 cadette aponto in venerdì, non si sa il modo né le circostanze di quest’impressione, ma solo si rese certa, perché se le viddero nelle mani e piedi le piaghe aperte e sanguinose, come pure si sa che aveva il costato aperto, conservandosi tuttavia quella tela che raddoppiata in più doppi vi metteva sopra, vedendosi ancor insanguinata e con la figura della medesima cicatrice assai longa ».

(54) Ivi, p. 70.

(14)

nella settimana precedente la Pasqua (

55

). L’anonimo osservatore inviato da Vittorio Amedeo descrisse con abbondanza di dettagli le stigmate, che Maria Ludovica gli mostrò più volte:

Il giorno di san Michele, venerdì, la ritrovai colle mani bendate ed intesi che le piaghe, o sieno stigmate, se gli apparsero quel giorno. L’indomani s’accontentò che le vedessi quando se le inviluppò con panni bagnati d’aque, ed erano per la rottura della pelle della larghezza d’un onghia, e quelle de’ piedi alquanto dippiù di figura rottonda ed ineguale. Vedavasi però attorno dette piaghe una tenue ombra sotto la cute grande a rad- doppiare la grandezza delle piaghe circa. E la sera, quando si svilluppò, fecer portar del chiaro nel suo ricetto piccolo formato dallo stibbio della sua cameretta, e con l’occasione che fece bagnare di novo con aqua di pezzette di tela, che tiene sopra dette piaghe, le viddi novamente più dilattate e che mettevano aqua in compagnia del venerabile padre Gallina, col quale fui quella sera a vegliarla, e solamente alla piagha del costato ci fece rittirare, ingegnandosi a far tutto da se stessa, se pure non si sopportò di lasciarla così, poiché di quando quando sviene, massime quando si medica (...). In sabato, quando portai delle sue nuove, le vide novamente le piaghe delle mani e de’ piedi in compagnia del suo confessore e trovai che si erano dilattate e rotta la pelle per la grandezza dell’ombra che vedevasi sotto d’esse, e particolarmente del piede destro, la quale era alquanto acuta nella parte superiore (...). Li 2 ottobre mi fece vedere le piaghe delle mani solo aperte per la grandezza d’una bona lente, che mettevano sangue ben chiaro e lustro (

56

).

La comparsa delle stigmate fu accompagnata da lunghe estasi pubbliche nelle chiese parrocchiali di Venaria Reale e di Altessano Inferiore (

57

), durante le quali Maria Ludovica riviveva corporalmente i tormenti della Passione, irrigidendosi come se venisse inchiodata alla croce, e comunicava ai presenti ciò che Dio le rivelava (

58

): una delle estasi avvenne alla presenza di Anna Maria d’Orléans e di una sua dama d’onore (

59

). Le piaghe sul corpo di Maria Ludovica si chiusero,

(55) Ibidem.

(56) Ivi, pp. 250-252.

(57) La parrocchia di Altessano Inferiore, intitolata a San Marchese, era stata co- struita intorno al 1565 (cf. All’ombra dei Savoia, I, pp. 163-165).

(58) Virtù e doni, pp. 255-266.

(59) Ivi, pp. 266-267: « Li 22 aprile 1703 parmi che abbia avuti diverse estasi dopo la Comunione, ma non ho più memoria di cosa particolare, salvo che dalle due ore cir- ca dopo mezzo giorno sino alle ore 6 circa stette con Madama la Duchessa, ritrovandosi il Duca absente per la venuta del gran priore di Vandomo [Vendôme], andò a visitare il duca d’Aosta [Carlo Emanuele, secondogenito di Vittorio Amedeo II] per quanto ho inteso, e che lo stesso giorno guarì dalla febre che aveva. Indi intesi che si portò con Madama la Duchessa alle stanze della marchesa del Marro [Claudia Margherita Scaglia

(15)

molto opportunamente, quando l’inquisitore generale si recò a Venaria Reale per esaminare la donna: secondo l’agiografo, fu la stessa Maria Ludovica a implorare l’inquisitore perché facesse in modo che le ferite si cicatrizzassero (

60

).

Intanto nere nubi si addensavano sullo Stato sabaudo, coinvolto nel conflitto tra Asburgo e Borboni: fra maggio e settembre del 1706 Torino fu stretta d’assedio dall’esercito francese. Nelle prime ore del mattino del 7 settembre 1706 la fine dell’assedio fu annunciata a Maria Ludovica, mediante una visione con la quale Cristo la certificò che le sue ardenti preghiere erano state esaudite (

61

). Non sono state rintrac- ciate lettere di Maria Ludovica indirizzate a Vittorio Amedeo nei giorni dell’assedio: tuttavia, la giovane donna era certamente in contatto con Giobbe Fortebracci, che fu tra i testimoni delle sue estasi fra il 1702 e il 1703 (

62

). L’atrologo comunicava, a sua volta, le visioni e profezie di Maria Ludovica a Serafina di Montone, che il 7 settembre 1706 vide

« la Ludovica » annunciarle la fine del lungo assedio (

63

). Maria Ludovica

di Verrua], ove sospettai che si fosse rittirata per evitar d’esser vista, sentendosi molto aceso lo spirito ed in effetto mi disse poi la signora marchesa che ebbe una bellissima orazione alla quale A. [Anna Maria d’Orléans] mostrò segni di contento e compassione (...). La prima volta che M. A. [Madama Anna] l’ha veduta in estasi credo che sii in questo giorno, il giorno antecedente quando mi ha raccontato che la notte antecedente ha sognata gravida d’una figlia la Madama Reale e dalle maniere di dire sospetto che volesse dire di sogno suo naturale ».

(60) Ivi, pp. 71-72: « Ma accorgendosi ella in progresso di tempo che ciò si rendeva pubblico, in occasione che il reverendissimo padre inquisitore Gubernatis fu alla Vene- ria per esaminarla sopra diversi capi, ne’ quali veniva denunziata, e dopo che terminati gli esami le fu detto seguitasse a servir Dio senza fastidio, ella lo pregò a fare che con un precetto si chiudessero le piaghe sudette. Di che ne pregò pur Dio, e così da quel tempo restarono chiuse, in modo però che nel posto delle medesime tanto nelle mani quanto ne’ piedi si vedeva una pellicola bianca che distingueva quel luogo e pareva che servisse solo per coprire la piaga ».

(61) Virtù e doni, pp. 148-149: « Alli 7 settembre 1706 alle ore 4 mi sono sentita chiamare da una voce molto soave, qual mi diceva: Lodovica, figlia mia, alzati, e prega- mi se vuoi grazie per li tuoi prossimi (...). Dopo qualche tempo andai a communicarmi con fame ardente di quel cibo divino, e subito che l’ebbi ricevuto fui rapita fuori da’

sensi e viddi Giesù come in trono sedere nel mezzo del mio cuore, e mi disse che dovessi pregare per V., facendomi intender che con una mia suplica li sarebbe stata concessa la grazia, per il che mi accesi tanto nel pregarlo che pareva dovesse spez- zarmi il cuore per l’allegrezza che concepii della grazia desiderata, cioè che detto V.

ottennesse la liberazione di questa città assediata ed una vittoria de’ suoi nemici. Viddi allora che il Signore, tutto piacevole, alzando la destra mi benedisse dicendo: Va’, figlia mia diletta, io ho concesso quanto mi hai suplicato, benedici la città dove sei nata, e benedetto sarà il luogo in cui ti troverai ».

(62) Virtù e doni, pp. 270-273.

(63) L’assedio di Torino negli scritti di Serafina Brunelli, p. 905. « Seraffina di Montone monaca conversa di san Benedetto » compare in una visione raccontata da Maria Ludovica e risalente al 7 aprile 1707, nella quale le due donne conducono di

(16)

accompagnò con le sue visioni e profezie il sogno che Vittorio Amedeo inseguiva dal momento della sua ascesa al trono, la conquista di un ti- tolo regale; ella confortò il duca nel sanguinoso conflitto con la Francia, assicurandogli, con l’inesausta preghiera, il favore divino. Risalgono al 1704 due visioni nelle quali Maria Vergine e il bambino Gesù mostrano a Maria Ludovica una corona da consegnare a Vittorio Amedeo, presa- gio del suo destino regale, che si sarebbe compiuto soltanto nel 1713, quando il duca divenne re di Sicilia (

64

).

Nell’anno successivo alla liberazione di Torino Maria Ludovica raccontò due singolari visioni: in una disse esse compare un’iconografia trinitaria notevolmente diffusa nella zona subalpina. L’11 agosto del 1707, dopo aver preso l’eucaristia, Maria Ludovica vide Cristo come un bambino di circa due anni d’età:

ed abbracciandomi strettamente nel collo mi faceva grandissime manife- stazioni d’affetto, e aprendosi colle sue piccole mani la veste mi mostrò il suo cuore e nel mezzo di questo una cosa rotonda, la quale il Bambi- no prese, e tenendola fra le dita come se la rimirasse. Nel qual mentre egli la dipingeva coll’indice di sua destra ed indi vidi al vivo dipinta una Bambina, piegata profondamente nel cuore, la quale svenne tra le braccia di Gesù, e questo li dava vita col metter bocca a bocca e cuore a cuore. Attorno poi molti angeli facevano corona e festeggiavano can- tando il Te Deum laudamus accompagnato da molti instromenti musicali.

Nel mirare io questi misteri languivo di amore ed ero sommersa in un paradiso di delizie ed ero anche sollevata ad una cognitione altissima di Dio e de’ suoi attributi. Indi il Signore mi fece segno che prendessi ciò in che aveva dipinta la sudetta bambina e mi disse: Sposa diletta del mio cuore, sappi che immagine più cara di questa non vi è oggi nel mio cuore, in essa pongo tutte le mie delizie. Ed abbracciandomi strettamente mi lasciò sconsolatissima nell’interno (

65

).

La bambina dipinta da Gesù torna in una visione dell’ottobre del 1707, nella « quarta orazione » del secondo giorno degli esercizi spirituali in cui era assorta Maria Ludovica:

considerando la mondezza del cuore qual deve avere un’anima per ve- der Dio, si portò con grand’impeto il mio spirito a contemplarlo in se stesso, dove tirandomi la forza del divino amor languivo sostenuta da mano invisibile. Vidi con visione intellettuale l’essenza di Dio avanti di

peso Vittorio Amedeo davanti al trono dove siedono Cristo e la Vergine: Virtù e doni, pp. 180-182.

(64) Cf. Virtù e doni, pp. 126-129, 132-134.

(65) Virtù e doni, pp. 184-185.

(17)

cui stava un angelo, qual offeriva un calice d’oro, ed in questo si vedeva il sangue risplendente ed in esso una bambina chiara più che il sole.

Questa bambina teneva nelle mani un cuore ferito con cinque piaghe rosseggianti e vermiglie nella superficie ed in fondo alquanto oscure, come sangue amaccato. Il calice fu benedetto dalle tre divine Persone, le quali estrahendo la sudetta bambina se la mettevano in seno, indi versavano il sangue nel cuore sudetto con maniera molto sublime, onde diveniva sempre più bello. Alla fine, aprendo il petto alla bambina, glielo posero al suo posto, dopo di che la benedissero le tre divine Persone e sparì la visione (

66

).

In questa visione la presenza della bambina è associata all’iconogra- fia della Trinità orizzontale, ispirata alla divinità triandrica che appare a Sara, moglie di Abramo, per annunciarle la gravidanza (

67

). Le tre Persone erano rappresentate come tre uomini di identica statura, uniti dalla vita in giù ma più spesso in piedi o seduti uno a fianco all’altro, avvolti in un unico drappo, con in mano il libro della Scrittura; una variante prevedeva il Padre con la corona in testa, il Figlio con la croce e lo Spirito con il libro in mano (

68

). Tale iconografia è attestata in Occi- dente a partire dal XII secolo fino alla seconda metà del Quattrocento, ma nella zona subalpina essa aveva conosciuto un’eccezionale popolarità almeno fino alla seconda metà del Cinquecento (

69

).

Maria Ludovica pregava per la salvezza dello Stato dilaniato dalle guerre (

70

), perseverando negli esercizi spirituali e in un misticismo visio- nario che continuava ad attirare le attenzioni di numerosi membri della corte: uno di questi in particolare, il nobile croato Wolfgang Ballino- vich, rimase profondamente affascinato dalla giovane donna. Egli l’aveva assiduamente frequentata durante il digiuno culminato nelle stigmate del 1702 (

71

); l’anno successivo Maria Ludovica, « rapita secondo il suo solito

(66) Ivi, pp. 190-191.

(67) Gn 18,1-15.

(68) Sull’iconografia della Trinità, cf. L. réau, Iconographie de l’art chrétien, tomo II, parte I: Ancien Testament, Paris 1956, pp. 14-29.

(69) Sulla Trinità triandrica e sulla sua persistenza nella zona subalpina, cf. W.

canaVEsio, Ai margini del marchesato. Restauri a Valgrana, in La cultura a Saluzzo fra Medioevo e Rinascimento. Nuove ricerche. Atti del Convegno, Saluzzo 10-12 febbraio 2001, a cura di R. comba - M. piccat, Cuneo 2008, pp. 302-305. Tale persistenza at- tende ancora di essere spiegata, ma potrebbe essere legata alla diffusione delle confrarie dello Spirito Santo sul territorio subalpino e ai rituali di redistribuzione collettiva del cibo che esse promuovevano: cf. A. torrE, Il consumo di devozioni. Religione e società nel Piemonte di antico regime, Venezia 1995, pp. 121-123.

(70) Ivi, pp. 139-140.

(71) Cf. la relazione trascritta in Virtù e doni, nella quale « il signor Volfango » accompagna Maria Ludovica alla messa nella parrocchia di Venaria (p. 254), assiste

(18)

nella sacristia della parrocchiale della Veneria », gli aveva comunicato un messaggio da parte della Vergine:

vedendosi che nel sudetto luogo rapidamente muoveva ella la mano destra in atto di scrivere, le si presentò una carta ed una penna intinta nell’inchiostro, comandandoli il confessore che scrivesse. Obedì e scrisse queste parole: Fortunato Vincenzo – tale era anche il nome del battesi- mo del sudetto signor Volfango – Fortunato Vincenzo eletto fra mille, questo ti dico da parte di Maria Vergine madre di Dio, leggi questo e sarai consolato per tutta l’eternità, Dio ti vol salvo e santo, caro, caro di Dio e di Maria, il tuo cuore ha da risplendere. Nel proseguir cotesto scritto le fu presentato il calamaio, acciò intingesse la penna, ma ella così rapita invece di bagnarla nel calamaio faceva atto di bagnarla nell’aria, et allora poteva scrivere, il che seguì da quattro o cinque volte (

72

).

Quando Maria Ludovica rimase orfana, intorno al 1704, lo scu- diere del duca decise di adottarla come figlia ed erede di tutte le sue sostanze. L’agiografo non manca di sottolineare l’episodio come prova della grande carità di Maria Ludovica, che provocava la conversione di chiunque le stesse vicino (

73

): senza dubbio la cosa non mancò di susci- tare scalpore, sia per la posizione di Wolfgang Ballinovich sia perché Maria Ludovica era ormai adulta e il suo padre putativo era di poco più anziano. Wolfgang Ballinovich adottò Maria Ludovica nel febbraio del 1705, chiamando come testimoni della sua buona fede, davanti al giudice ordinario di Venaria, due altri cortigiani, fra i quali un aiutante di camera di Maria Giovanna Battista (

74

). Il nobile croato dichiarava

a una « bellissima orazione per V[ittorio Amedeo » pronunciata dalla donna (p. 263) e a due estasi durante le quali Maria Ludovica non poteva trattenere « li deliqui et palpitazioni, oltre li moti interni » (p. 268).

(72) Virtù e doni, pp. 54-55.

(73) Virtù e doni, p. 53: « Il secondo [caso] è più strepitoso perché più noto, e per questo se ne manifesta il nome, essendo la conversione del signor Volfango de Ballinovic manifesta. Era questi uomo fiero, impetuoso e tutto del mondo (...), eppure con una visita alla nostra Maria Ludovica, e susseguentemente con altre, si convertì, si cambiò in modo che più non si conosceva per quel di prima, non solo colla prattica di virtù propria al suo stato di cortiggiano, ma dippiù coll’esercizio di penitenze corporali, sino a correre a cavallo dietro al cervo col suo sovrano con catenella a fianchi, sino ad adottare in figlia con atto pubblico quella che riconosceva per madre, quando tutti ne sparlavano come d’ipocrita, sino a dichiararla erede di tutte le sue sostanze, anche con rincrescimento di non aver millioni per gettarli a’ suoi piedi, come si spiegò con un suo confidente ».

(74) AsTo, Arrogatione dell’Ill. signor Vincenzo Vuolfango di Ballinovich: i due testimoni dichiarano di conoscere da tempo Wolfgang de Ballinovich e Maria Ludovi- ca, « quali sappiamo essere il primo d’essi d’anni trentanove circa e la seconda d’anni venti quattro circa, come dal loro aspetto dimostrato, e questo lo sappiamo anche per causa di detta longa prattica e conoscenza che habiamo d’entrambi. Sappiamo inoltre

(19)

solennemente che la nascita di figli da un proprio eventuale matrimonio non avrebbe inficiato in alcun modo i diritti della giovane donna sull’in- tero suo patrimonio (

75

). Due mesi dopo aver adottato Maria Ludovica, Wolfgang Ballinovich morì: la donna entrò in possesso dell’eredità, ma la famiglia del defunto non si mostrò affatto disposta ad accettarne le ultime volontà. Nell’agosto dello stesso anno, infatti, Maria Ludovica nominò il fratello di Wolfgang, lo « zio Niccolò Ballinovich » che in una sua lettera ella raccomandava a Vittorio Amedeo (

76

), procuratore gene- rale per l’amministrazione dell’intero patrimonio che aveva ereditato (

77

).

La decisione le fu senza dubbio imposta dai nuovi parenti, perché Ma- ria Ludovica, protestando di voler vivere sempre sottomessa a Niccolò Ballinovich, dichiarava che non avrebbe mai messo in discussione le sue decisioni riguardo alla gestione dei beni di Wolfgang, nemmeno nel caso in cui ella ne avesse avuto diritto (

78

).

Nella veste di amministratore dell’eredità ricevuta da Maria Ludo- vica, Niccolò Ballinovich dovette curare soprattutto i propri interessi, dato che nel 1707 la donna fu ricoverata all’Ospizio di Carità di Torino:

forse i suoi contatti con la corte si erano allentati, ma certamente non mancava di protettori fra i rettori della Compagnia di San Paolo che

essere entrambi ben morigerati e timorati di Dio e persone di tutta probità et integrità e per tali da tutti quelli che li conoscono comunemente tenuti e reputati. Di più, sia- mo informati della corrispondenza et affetto che passa tra li medemi, quali e quanto convengono tra uno padre et una figlia e non possiamo salvo credere che l’adozione o sia arrogazione tra essi non sia che per partorire buoni effetti, e particolarmente resti utile alla medema signora Maria Giovanna Ludovica Gianinetta, come destituita di genitori e che passa in una famiglia più nobile della propria e si mette alla potestà di un padre d’ottimi costumi, impiegato presso S. A. R. in qualità di scudiere e che resta convenientemente provvisto per la sussistenza propria e di sua famiglia quanto detta signora Maria Giovanna Ludovica Gianinetta resta sprovvista di beni di fortuna ».

(75) Ibidem: « quantunque il medemo [Wolfgang Ballinovich] puossa contrahendo matrimonio havere figlioli legittimi e naturali, non ostante qual matrimonio e sovrave- nienza di detti figlioli, debbano star ferme le obligationi che nell’arogatione havesse assunte, perché il tutto segue da mero consenso dell’una e dell’altra parte ».

(76) AsTo, Maria Ludovica Gianettina, lettera del 28 giugno 1705.

(77) AsTo, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, 1705, b. 1468, ff. 363r-364v, Procura fatta dalla signora Maria Ludovica Ballinovich a favore del signor Nicolò Ballinovich, 14 agosto 1705.

(78) Ibidem: « ha fatto, creato, constituito et deputato (...) in suo procuratore et delle infrascritte cose negoziatore speciale e generale (...) spogliandosi et dimettendosi intieramente del maneggio et amministrazione di tutto ciò che appartiene all’heredità et interessi di detto fu signor Volfango suo padre di qualsivoglia sorte siino, consegnando detto maneggio et cura al detto signor Niccolò de Ballinovich (...) promettendo per tut- to quello e quanto verrà dal detto signor Nicolò suo zio et procuratore agito, procurato e fatto, quittato, accordato, pagato et in qualsivoglia maniera operato, haver e tener il tutto per ben fatto, gratto e valido, né di mai contradirli, opporli né contravenirli di ragione o di fatto, ancorché di ragione o di fatto potesse ».

(20)

gestiva l’Ospizio, perché poco dopo il ricovero fu nominata « madre » o direttrice della sezione femminile (

79

). Come Anna Maria Emmanueli, dunque, Maria Ludovica si trovò alla direzione dell’Ospizio gestito dalla Compagnia, dietro la quale si stendeva la longa manus dei gesuiti del collegio torinese: due anni dopo, nell’agosto del 1709, uno dei padri del collegio, Domenico Francesco Tarino conte di Cossombrato, che aveva lasciato l’abito intorno al 1695, decise di sposarla (

80

). L’agiografo afferma che la donna accettò di sottoporsi al « martirio » coniugale per obbedire agli ordini divini, obbligata dai confessori (

81

), e che nonostante questo « mai in niun tempo seppe mai cosa che cosa sii diletto sensuale né in speculativa né in pratica, ma mai capì in che consista la purità, o il vizio opposto, eppure ne fu dotata in grado eminente » (

82

). È difficile, in realtà, pensare che Maria Ludovica avrebbe potuto opporre un rifiuto alla proposta matrimoniale ed è altrettanto facile comprendere perché il matrimonio avesse scatenato contro la donna, secondo l’agiografo, calunnie che « cagionano orrore a chi non vol malignare e non si devo- no esporre pur in carta, tanto sono indegne » (

83

). Domenico Francesco Tarino, infatti, non era soltanto un ex padre gesuita (

84

): egli apparteneva

(79) Archivio Storico del Comune di Torino, Archivi aggregati, Archivio dell’Ospizio di Carità (d’ora in poi AOC), Cat. III, Ordinati, vol. 3, 16 gennaio 1707, pp. 122- 123: il rettore dell’Ospizio, Francesco Antonio Cumiana, afferma che « sì come Anna Maria Mayola madre del presente hospedale già da qualche tempo in qua a causa di sue indispositioni li è fatto intendere che non poteva più continuar nella regentia in qualità di madre e che perciò desiderava anzi pregava li signori rettori della Congrega- tione di procedergli, il che habbi comendato e più volte. Sollecitato nel scorso conseglio della presente Città che si è trovata ricoverata in questo Hospedale la signora Maria Ludovica Gianinetta Balanoic [sic], la quale havendo dato foggio della sacra pietà e precedenza in gran bene e servitio dell’Opera, detta madre sempre più desiderava che li reverendi Rettori dovessero fare nova elletione d’altra Madre e massime che vedeva molto a proposito che si dovesse stabilire in suo loco la detta Maria Ludovica Gianinetta con assicurare che l’Opera sarebbe stata ben governata a magior gloria di Dio e che quanto a lei pregava li Rettori di trattenerla. Et li signori sovra congregati tutti un’animi [sic] sentita la sudetta propositione già fatta giorni or sono e quella ben esaminata con partecipatione anche di persone religiose e stante la loro allocutione, puoiché detta Madre Bayola si è solevata di non poter più continuare in tal qualità e che stima servitio dell’Opera che venghi surrogata detta signora Maria Ludovica, hanno questa deputato e deputano madre di quest’hospedale, la quale dovrà esercitare tutto il suo zelo e pietà per bene de’ poveri ».

(80) Cf. A. manno, Il patriziato subalpino, dattiloscritto in AsTo, vol. XXVI, p. 82:

l’autore segnala il matrimonio fra Domenico Francesco Tarino (1665-1732), che aveva abbandonato l’abito nel 1692, e Maria Ludovica, « che si credeva amante del sovrano », il 23 ottobre del 1709.

(81) Virtù e doni, p. 34.

(82) Ivi, p. 31.

(83) Virtù e doni, p. 36.

(84) Peraltro, dato che fra i direttori spirituali di Maria Ludovica c’erano almeno

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