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Amici o nemici? Riflessioni sul rapporto tra associativismo e Stato. Tra libertà, dipendenza e partenariato

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Amici o nemici? Riflessioni sul rapporto tra associativismo e Stato.

Tra libertà, dipendenza e partenariato

CATTACIN, Sandro

Abstract

Al centro di questa communicazione è la tensione che esiste tra Stato e mondo associativo, con l'economia che gioca anch'essa il suo ruolo. Tenterò di mostrare le grandi tendenze di trasformazione e di cambiamento che possono essere divise in microcostellazioni nazionali, (le tendenze demografiche, economiche e politiche) e in macrocostellazioni internazionali. Nel grafico illustrativo che segue si osserva la Svizzera, con le sue dinamiche nazionali, all'interno di questo approccio di micro e macro tendenze. Mi soffermerò in particolare sulle dinamiche demografiche, politiche ed economiche e, in un secondo momento, parlerò delle dinamiche internazionali, quello che succede attorno alla Svizzera e che influenza quotidianamente la nostra vita e la vita associativa.

CATTACIN, Sandro. Amici o nemici? Riflessioni sul rapporto tra associativismo e Stato. Tra libertà, dipendenza e partenariato. In: Conferenza del volontariato sociale. Tra libertà, dipendenza e partenariato: idee a confronto sui rapporti tra volontariato e ente pubblico . Lugano : Conferenza del volontariato sociale, 2005. p. 4-9

Available at:

http://archive-ouverte.unige.ch/unige:40943

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DÉPARTEMENT DE SOCIOLOGIE

Amici nemici ?

Riflessioni sul rapporto tra associativismo, Stato e mercato in un contesto di cambiamento delle costellazioni micro e

macro strutturali

Sandro Cattacin

Pubblicato in: Cattacin, Sandro (2005). "Amici o nemici?

Riflessioni sul rapporto tra associativismo e Stato.

Tra libertà, dipendenza e partenariato", in sociale, Conferenza del volontariato (ed.)Lugano: Conferenza del volontariato sociale, p. 4-9.

Université de Genève Département de sociologie UNI MAIL, 40 bd du Pont d'Arve CH - 1211 Genève 4

www.unige.ch/ses/socio Aprile 2005

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Al centro di questa communicazione è la tensione che esiste tra Stato e mondo associativo, con l’economia che gioca anch’essa il suo ruolo.

Tenterò di mostrare le grandi tendenze di trasformazione e di cambiamento che possono essere divise in microcostellazioni nazionali, (le tendenze demografiche, economiche e politiche) e in macrocostellazioni internazionali. Nel grafico illustrativo che segue si osserva la Svizzera, con le sue dinamiche nazionali, all’interno di questo approccio di micro e macro tendenze. Mi soffermerò in particolare sulle dinamiche demografiche, politiche ed economiche e, in un secondo momento, parlerò delle dinamiche internazionali, quello che succede attorno alla Svizzera e che influenza quotidianamente la nostra vita e la vita associativa.

Figura 1 : Micro- e macrocostellazioni

Quali sono dunque le dinamiche socio-demografiche nazionali? Tre punti sono da mettere in evidenza. Prima di tutto, la trasformazione notevole del ruolo della famiglia nella nostra società che, in passato, era un elemento di base nella produzione di morale e d’affiliazione alla società. La famiglia allargata, che aveva in sé una sorta di volontariato nella sua attività di mantenimento e di sostegno dei bambini e delle persone anziane, è un modello in via d’estinzione ed è piuttosto raro trovarne ancora: è diventata un oggetto di studio per un etnologo piuttosto che per un sociologo. Ciò che è diventato normale, per la nostra società, sono dei percorsi famigliari estremamente dinamici che sono spesso legati, purtroppo, a forme di povertà. Penso, in particolare, alle famiglie monoparentali che si ritrovano in situazioni ”monche” nelle quali è difficile conciliare lavoro e

inserimento. Questa grande trasformazione del modello famigliare è stata integrata con difficoltà dallo Stato sociale nelle sue politiche a causa del fatto che tutti i suoi programmi si basano su una logica di famiglia cosiddetta normale, composta da marito, moglie e al massimo due figli, e non tengono conto della realtà nella quale il modello tradizionale è diventato piuttosto un’eccezione. Uno Stato quindi che vede la società uniforme, oggi, non trova più il suo pubblico. Le situazioni a cui si è trovato di fronte, già negli anni ‘80, le ha chiamate le nuove povertà, le nuove marginalità e si è trovato a non avere a disposizione gli strumenti per far fronte a questa nuova eterogeneità.

Il secondo elemento concerne l’invecchiamento della popolazione.

Questo fenomeno è noto; sappiamo che, in media in Svizzera, ci si sta avvicinando ad un’aspettativa di vita di circa 80 anni e si presume di arrivare, per le donne, a 92 anni tra una decina anni, un aumento enorme di quasi un anno di aspettativa di vita per anno. Il fatto che si viva più a lungo non è negativo, ma ciò va di pari passo con l’aumento delle situazioni di vecchiaia avanzata che necessitano un sostegno dalle famiglie che non riescono più a garantire la presenza assidua che è richiesta perché il figlio o la figlia della persona di 90 anni ne ha essa stessa 60. Come conseguenza delle sue trasformazioni demografiche e dei nuovi modelli famigliari che implicano, tra l’altro, una mobilità territoriale molto maggiore rispetto al passato, osserviamo dunque nella società due fenomeni che viviamo intensamente in questo paese: la solitudine e l’indifferenza nei confronti di persone anziane, fenomeni che cercano una risposta.

La terza grande trasformazione è senza dubbio legata ad una reazione dello Stato sociale a queste nuove dinamiche che differenziano la nostra società. Lo Stato sociale spinge sempre di più le persone ad essere responsabili di loro stessi e della loro vita, a prendersi sempre di più in mano. Il discorso della responsabilizzazione diventa inevitabile. A questa dinamica, si aggiungono i nuovi percorsi migratori, molto importanti anche in Svizzera, che vanno nella direzione di creare sempre più una parte della migrazione estremamente precarizzata. Parlo dei famosi clandestini, ma non solo: nel mercato del lavoro, esiste una sorta di lubrificante che permette il buon funzionamento del meccanismo e che è composto da migranti che entrano nelle imprese quando queste hanno bisogno di persone disponibili e ne escono o ne sono espulsi quando esse sono in crisi o la produttività aumenta. L’immigrato non è dunque un disoccupato “inutile”, ma colui che entra ed esce dalla disoccupazione e dal mercato del lavoro e che si rivela dunque molto importante per far funzionare un’economia estremamente dinamica. Per il mondo associativo, questi elementi coincidono con una

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sfida straordinaria nei confronti dei problemi sociali che ci troviamo di fronte perché manca un una controparte, manca lo Stato e manca la famiglia per gestire queste grandi trasformazioni. Penso che mai come oggi la vita associativa e il mondo associativo siano importanti per risolvere i problemi ai quali ci troviamo confrontati nella nostra società, ma l’associativismo di cui si ha bisogno è meno politico, nel senso tradizionale del termine. Le associazioni, le organizzazioni, oggi, tendono a formarsi al di fuori delle tradizionali interpretazioni di quello che è un volontariato di sinistra o un volontariato cattolico: si formano attorno a dei problemi ed in un certo senso sono molto più laici, più plurali nella loro reazione. Si tratta di una politicizzazione che si crea attraverso dei microproblemi della società che ci troviamo a vivere e che ci choccano obbligandoci a reagire.

Questa micropoliticizzazione, che assume un aspetto molto importante per la collaborazione, è più pragmatica, non c’è più la necessità di dover identificare quale è l’affiliazione politica di questo volontariato perché nasce sul problema reale, vissuto. Da citare, in questo contesto, sono anche le società parallele: queste dinamiche legate al pluralismo della società che chiede, e necessita, per certi spazi, interventi di associazioni, interventi di organizzazioni che non sarebbero altrimenti possibili. Un caso emblematico è quello dei clandestini: (ma si potrebbe parlare anche di tossicodipendenze): lo Stato ha delle difficoltà ad intervenire a sostegno di questa categoria perché la presenza dei clandestini è illegittima; si creano quindi delle società parallele di sostegno e auto sostegno che sono estremamente importanti e che rispondono concretamente a queste dinamiche.

Per quanto riguarda la dinamica economica, si devono citare, nel corso della storia, due emancipazioni molto importanti dell’economia nei confronti della società e dello Stato. La prima, del XIX° secolo, si è manifestata con l’economia del “laissez faire”, che ha prodotto la drammatica povertà dell’Europa alla fine dell’ottocento; in quel periodo, per la prima volta, l’economia prende in mano il suo destino. E’ contro questo tipo di economia che si è creato lo Stato sociale, con le sue azioni di compensazione, organizzazione e inquadramento dell’azione. La seconda emancipazione dell’economia, questo momento in cui l’economia si distanzia dalla società civile, dalla morale nella quale è inserita e dallo Stato, e comincia a riflettere in modo completamente autonomo la stiamo vivendo ora. Il sistema economico globale, l’internazionalizzazione fanno sì che l’economia non si lasci più ricattare dallo Stato perché è lei che ricatta lo Stato ponendo i suoi aut-aut: se non posso più produrre qua, vado in un altro paese. Non siamo in un contesto dove ci sono il buono e il cattivo che

si contrappongono; grazie a questa seconda emancipazione l’economia è produttiva e l’unico problema che si pone è che lo Stato non può più controllarla perché essa non funziona più a livello nazionale, ma a livello globale. A seguito di questa situazione, la società civile subisce una pressione che la spinge a diventare una sorta di controllore di questa dinamica. Negli Stati Uniti si parla di consumerism, di movimenti di consumatori che stanno attenti a questa dinamica e che ne controllano l’evoluzione. La società civile, in questa situazione, a seguito di queste dinamiche economiche, assume un nuovo ruolo e diventa, lei, nei confronti dell’economia, quello che lo Stato era nel passato: colei che deve responsabilizzarsi nel consumo, in ciò che utilizza, nell’accettare o meno delle pratiche economiche. Si osserva quindi un ritorno dello spazio pubblico nel quale si discute della morale dell’economia e, segno questo magari positivo, l’economia reagisce, in maniera più marcata, agli interventi fatti da gruppi, come per esempio Greenpeace, rispetto ad interventi statali dei quali potrebbe più facilmente liberarsi. E’ quindi un nuovo modo di mettere in relazione la società e l’economia che si sta costruendo. Le azioni in rete sono particolarmente importanti sia in un contesto internazionale che nazionale e attraverso queste si può intervenire. E’ chiaro che resta fondamentale una coscienza del consumatore e un atteggiamento morale e civile del comportamento.

L’evoluzione del ruolo dello Stato sociale nello sviluppo storico è un elemento fondamentale per capire la relazione con la società civile. Come si può osservare nella tavola 1, quello che è importante è che questa evoluzione parte da una situazione di liberalismo (nel corso del XIX°

secolo) in cui tutte le risposte ai problemi sociali vengono dall’autorganizzazione, dalle mutue o dal movimento sindacale per esempio.

La logica vigente è quella della sussidiarietà. L’intervento è legittimato solo quando la domanda e il bisogno sono pressanti. E’ solo intorno agli anni ’80 che lo Stato sociale diventa molto forte in Svizzera, in ritardo quindi rispetto ad altri paesi. In questo contesto, ciò che è importante è che si instaura una concorrenza tra mondo associativo con le sue risposte e Stato: questa fase è drammatica per il mondo associativo che viene ridicolizzato da una tecnocrazia che vuole professionalizzare tutte le relazioni. Il confronto è forte ed il peso del volontariato diminuisce enormemente nell’Europa del dopoguerra. In questa logica, in Svizzera, si deve sottolineare questa tendenza forte, negli anni ‘70, che porta alla professionalizzazione del lavoro sociale; la relazione tra i due è gerarchica, paternalista: i lavoratori sociali sono considerati come dei “poverini” che fanno un lavoro, che non serve un gran che, per rafforzare la loro identità. Questa fase di concorrenza

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con lo Stato, di concorrenza con un partner estremamente forte, è una grande sfida per la società civile.

Tavola 1 : La trasformazione dello Stato sociale

Ruolo dello Stato Ruolo della società civile Modello di cooperazione Garante dell’ordine nel

secolo XIX

Auto-organizzazione come risposta ai problemi sociali

Sussidiarietà Pianificatore del benessere

nel secolo XX

Produttrice di servizi complementari

Gerarchia - paternalismo statale

Garante dell’equilibrio societale - secolo XX-XXI

Chiave d’entrata nella società pluralizzata

Azioni di rivitalizzazione della società civile, libera- zione delle forze di mercato

Quello che si vive oggi, invece, è uno Stato indebolito, che ha difficoltà a continuare a proporre il modello dello Stato sociale forte a causa delle evoluzioni delle dinamiche economiche e demografiche. Lo Stato diventa quindi piuttosto una struttura che vuole e che cerca il partenariato e che, d’un tratto, cambia atteggiamento, parla, sperando in una cooperazione con la società civile e con le sue organizzazioni. Oltre a ricercare questa relazione con la società, lo Stato punta anche sulla liberalizzazione del mercato e sono dunque due, e molto importanti, le tendenze che stiamo vivendo e che spingono verso il privato e verso la società.

Perché il mondo associativo è così importante? Il pluralismo della società non permette più allo Stato di intervenire usando i suoi strumenti classici categorici e uniformizzanti e quindi cerca e chiede delle chiavi di lettura per entrare nella società civile, che diventa quindi l’intermediario, ciò che è vicino ai problemi, che è fondamentale per poter reagire. Osserviamo dunque una trasformazione estremamente importante che apre un nuovo campo di negoziazione nel quale lo Stato non è più l’attore forte; ci troviamo oggi in una situazione in cui lo Stato non ha praticamente alternative alla collaborazione con organizzazioni che sono più vicine alla realtà, con le associazioni della società civile. E’ chiaramente in atto una lotta per il riconoscimento: queste associazioni vogliono essere riconosciute;

le dinamiche descritte in riferimento al cantone Vaud e quello che sta succedendo in Ticino sono un esempio molto forte di questo; il peso nella negoziazione aumenta e l’associazionismo e il volontariato possono dare molto e ne sono coscienti. In effetti, si può anche dire che non hanno neanche più tanto bisogno dello Stato; è lo Stato che ha bisogno di queste organizzazioni, in primo luogo per essere credibile visto che i problemi ci

sono e per il fatto che lo Stato ha il dovere di agire. Si osserva dunque una trasformazione del mondo associativo che, da attore poco rispettato, diventa un soggetto reale, politico, sempre inteso nel senso di essere vicino ai problemi quotidiani. Questa trasformazione è una tendenza generale che rafforza il volontariato dovunque e anche in Ticino. Anche la sfera politica, oggi, ha ovviamente bisogno di integrare queste reti di intervento, vedere dove sono le difficoltà e dove sono i punti di forza. Anche lo Stato si inserisce quindi in una rete, come uno dei vari attori, magari un attore particolare che ha certi compiti specifici, legati al funzionamento della società, come per esempio percepire le imposte e redistribuirle finanziando.

Si tratta dunque di una trasformazione molto importante quella che ha subito il ruolo dello Stato.

Ci occuperemo ora, rapidamente, delle macro costellazioni, cioè delle dinamiche internazionali. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, di cui abbiamo parlato, è comune a tutti i paesi europei e con esso sono comuni anche le povertà e le crisi che viviamo quotidianamente.

Ciò che è interessante è che viviamo nella nostra realtà dei fenomeni che non accadono necessariamente dove ci troviamo: la crisi che abbiamo vissuto il 26 dicembre 2004 ci ha toccato nel nostro quotidiano, il mondo globale è in casa nostra e lo viviamo così. In questo esempio, c’è un importante cambiamento: non si può più parlare del cosmopolitismo di Kant, dell’intellettuale che vede lontano e capisce la sua società, ora ci troviamo di fronte ad un cosmopolitismo legato alla sofferenza che siamo obbligati a sviluppare attraverso le dinamiche mondiali che viviamo.

Un altro elemento rilevante per l’Europa, e anche per le ripercussioni che stiamo vivendo in Svizzera, è dato dalle migrazioni irregolari. Si tratta di una migrazione che non può ovviamente essere regolarizzata da un giorno all’altro; conosciamo la dinamica della clandestinità e il fatto di non poter regolarizzare tutti i clandestini ci obbliga a trovare altre risposte più umane, più vicine alle risoluzioni dei problemi concreti che si pongono da un giorno all’altro e che devono essere affrontati. Su questo, è interessante notare che Stati sociali forti, come la Svezia per esempio, non riescono a reagire alla migrazione clandestina perché, in quel contesto, la differenza tra l’essere fuori o dentro è enorme: se si è dentro si hanno tanti diritti e tanta sicurezza e se si è fuori non si ha niente di tutto questo. Stati sociali invece come l’Italia o la Spagna, e anche la Svizzera per certi aspetti, sono capaci di negoziare delle integrazioni parziali: i bambini dei clandestini possono, per esempio, frequentare la scuola o i clandestini possono usufruire dei servizi sanitari. Lo Stato agisce quindi concedendo dei diritti parziali e queste cittadinanze differenziate che nascono nella società chiedono anche delle

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risposte non solamente statali, ma anche mediate dalla vita associativa. Il campo d’azione che si apre su questo terreno è centrale e estremamente delicato perché, naturalmente, a nessuno piace vivere in una società composta da cittadini che hanno più o meno diritti, ma a questo non c’è alternativa perché il non diritto sarebbe ancora peggio. Anche in questo contesto della vita associativa, la dinamica della mondializzazione si afferma: la dimensione locale è importante e quella nazionale nettamente meno; ci si trova di fronte ad una specie di relazione locale-internazionale, i problemi sono collegati e la gente sa, per esempio, che se i clandestini si concentrano in un luogo, è perchè una crisi si è manifestata in un’altra parte del mondo.

Anche nei confronti di dinamiche economiche, la logica del consumerism vige: il mondo associativo reagisce con la creazione di reti internazionali perché se, per esempio, si vuole intervenire contro la Shell non si può agire riflettendo solamente su cosa fare in casa propria, ma si devono sviluppare dei network internazionali. La società civile si sta internazionalizzando ed un esempio sono le sempre più numerose organizzazioni legate all’altermondialismo. L’attività di questi gruppi, che a prima vista appare politica, è però caratterizzata da vari elementi del volontariato, c’è molto impegno per un mondo migliore e molti interventi a livello locale e internazionale e sono tanti i nuovi movimenti sociali che nascono attorno alla tematica della globalizzazione.

Per terminare, due parole sulla dinamica politica. Una conseguenza importante della globalizzazione è la diminuzione del peso dello Stato nazione; è il locale, insieme all’internazionale, che diventa considerevole. In effetti, a livello internazionale, ciò che si osserva sono delle regolazioni leggere legate al contatto; si sviluppano delle soft regulations frutto della discussione a livello internazionale di network misti che si ritrovano e che cercano di definire delle politiche che possano essere applicati nel mondo intero. In precedenza, erano gli Stati che si occupavano, da soli, di queste questioni come la migrazione internazionale, per esempio, mentre oggi la società civile è integrata e partecipa dunque al processo decisionale che porta alla regolazione. Per fare un esempio, cito un progetto, la Third Sector European Policy, nel quale lavoro, dove analizziamo queste orizzontalizzazioni del mondo associativo e vediamo che la creazione di una regolazione supra nazionale, come l’Unione Europea, stimola le organizzazioni a costituirsi a questo stesso livello; si osserva dunque una pressione verso la dimensione internazionale che scaturisce da queste dinamiche.

Come conclusione, vorrei sottolineare che il mondo associativo e la vita associativa hanno aumentato in posizione, ruolo, credibilità e autonomia e dunque anche in capacità di negoziazione. Le associazioni che si impongono oggi, il volontariato che viviamo è però diverso da quello che conoscevamo in passato e ci troviamo di fronte ad un volontariato più spontaneo e molto più organizzato su dei progetti. Incontriamo dunque di meno l’associazione tradizionale che è legata a una chiesa o ad un sindacato che crea e che è la base del volontariato tradizionale, ma osserviamo dei progetti, e sono i problemi che creano spontaneamente gruppi che possono intervenire per periodi variabili da 3 mesi a 10 anni, e questi progetti non hanno più al centro l’ideologia o l’affiliazione ad un determinato gruppo, ma ciascuno fa volontariato seguendo un’etica individualizzata. Capire questo volontariato e strutturarlo non è compito facile, perché si vorrebbe un partner più stabile e lo Stato può avere molte difficoltà ad individuare e integrare questo volontariato che assomiglia sempre di più a quello della popolazione americana che, il giorno dopo del trasloco in un’altra città, cerca a chi poter dare una mano, spontaneamente, senza altre complicazioni.

Nella maggior parte delle situazioni, probabilmente, questa integrazione non è nemmeno necessaria e lo Stato può essere contento dell’operato delle associazioni anche perché non potrebbe né finanziarle, né intervenire in altri modi. Anche il volontariato, spesso, non vuole essere istituzionalizzato e vuol vivere la risposta liberale ad un problema della società. L’esistenza di queste associazioni è comunque fondamentale perché è lì che si crea la società e più la società è individualizzata e pluralizzata, più questi imprenditori del sociale diventano rilevanti per saldare la nostra società.

Qual è il ruolo che resta allo Stato? Lo Stato dirigista, caratterizzato da politiche forti, o gerarchico, che impone il suo volere alla società, non ha più credibilità e non ha più neanche i mezzi per esistere; quello che si impone è uno Stato che comincia ad osservare, che è attento alle dinamiche della società e che interviene per coordinare, per creare le reti e, in un certo senso, per diffondere delle attività su tutto il territorio; si tratta dunque di uno lo Stato che facilita, che incita ad un’azione. E’ anche uno Stato che entra in una logica di orizzontalità, dove può anche abbandonare il suo ruolo di primo fra pari e diventare uno dei partner, magari neanche il più credibile, nell’impegno per la regolazione dei problemi sociali, un partner che ha delle caratteristiche specifiche e che deve giocarle con modestia rispettando e rafforzando il lavoro che viene fatto sul territorio.

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Approfondimenti

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