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Accarigi Elisabetta

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Academic year: 2022

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Texte intégral

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IL DOLORE DEL NEONATO

Accarigi Elisabetta* – I.P., Baiocchi E., Boretti S., Fallani E.

U.O. T.I.N. - Azienda Ospedaliera “Careggi” – Firenze

Trattare un tema importante e complesso come quello del dolore è sempre difficile, ma diventa ancora più complicato quando l’ambito di interesse è quello neonatale.

Il problema del dolore nel neonato è stato sottovalutato per molti anni (anche la letteratura su questo argomento era molto ridotta) ed è da poco tempo che è stato oggetto di sensibilizzazione da parte del personale sanitario.

Il fatto che le risposte agli stimoli dolorosi nel neonato fossero minime, di breve durata o addirittura assenti, avevano erroneamente fatto pensare ad una tolleranza da parte del neonato allo stimolo algologico.

L’Associazione Internazionale per lo studio del dolore ha definito il dolore come “una spiacevole esperienza sensoriale ed emotiva, associata al danno tissutale reale o potenziale e descrivibile in termini di tale danno”.

E’ un’esperienza soggettiva ed individuale, non sempre direttamente proporzionale all’entità del danno tissutale e neanche direttamente collegata alla presenza del danno stesso.

Infatti nei neonati pretermine il tatto (che si sviluppa come primo sistema sensoriale nel feto) è molto vissuto e può essere mal tollerata persino una carezza.

Questa esperienza del dolore dipende da una complessa interazione di fattori ambientali, psicologici, sociali, culturali e anamnestici in grado di rendere la sensazione dolorosa o più intensa o al contrario mitigandola.

Il dolore va quindi distinto dalla nocicezione, intesa come la risposta alla stimolazione dei nocicettori: infatti anche se la nocicezione può determinare dolore vi può essere dolore senza nocicezione o viceversa.

CENNI DI FISIOLOGIA

La maturità, sia anatomica che funzionale, del sistema nocicettivo durante la vita fetale è dimostrato da:

• densità delle terminazioni nervose nocicettive presenti sulla cute dei neonati;

• riconoscimento di specifiche proteine contenute nelle vescicole di particolari tipi di assoni;

• presenza di riflessi e di campi recettivi dei neuroni primari afferenti;

• sviluppo di sinaspi tra le fibre afferenti primarie e gli interneuroni delle corna dorsali del midollo spinale.

Fin dalla 6^ settimana di gestazione le cellule delle corna posteriori del midollo spinale formano sinapsi con i neuroni sensitivi che si stanno sviluppando e che raggiungeranno la cute degli arti circa alla 11^ settimana, il resto del tronco circa alla 15^ e le rimanenti superfici cutanee e mucose alla 20^.

Al completamento dello sviluppo del neonato, quindi, sono presenti terminazioni nervose nocicettive distribuite sulla cute, sui muscoli e nella parete degli organi interni, con una densità pari all’adulto.

Una ulteriore organizzazione della struttura laminare delle cellule delle corna posteriori e le loro sinapsi , insieme alla comparsa di specifiche vescicole per i neurotrasmettitori, inizia alla 13^

settimana e si completa entro la 30^.

Il processo di mielinizzazione per alcune fibre avviene nel corso della vita intrauterina mentre per altre soltanto dopo la nascita.

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La mancanza di mielinizzazione è stato spesso considerato indice di mancata funzione del sistema nervoso del neonato, e quindi usato come scusa per concludere che i neonati, soprattutto i pretermine, non sono capaci di percepire il dolore.

Tra le fibre che trasmettono le sensazioni dolorose nel genere umano di ogni età, vi sono anche le amieliniche.

L’incompleta maturazione del sistema mielinico quindi sta semplicemente ad indicare che la velocità di conduzione degli stimoli dolorosi nelle fibre nervose dei neonati è rallentata rispetto a quella degli adulti: ciò viene però compensato dal fatto che nei neonati questi impulsi devono percorrere distanze più brevi data la minor lunghezza delle fibre.

Queste fibre sono per la trasmissione di una sensazione di dolore sordo, diffuso, mal localizzabile e di maggiore intensità.

Studiando il metabolismo cerebrale, si è osservato, inoltre che il feto è in grado di secernere oppioidi endogeni ed altri ormoni (catecolamine, ormoni steroidei, glucagone, ormone della crescita)in risposta a stress che permettono di diminuire l’intensità dello stimolo algologico.

Questo apparato, già attivo dalla 15^- 17^ settimana servirebbe a proteggere, in parte, il neonato a termine durante lo stress del parto sia eutocico che distocico e nel caso di ipossia o infezione.

I dati fin qui esposti dimostrano che le strutture anatomiche della nocicezione non sono semplicemente immature ma sono differenti nel feto rispetto all’adulto: la trasmissione di uno stimolo doloroso avviene ugualmente ma ad una velocità ridotta e la risposta sarà di lunga durata, esagerata o poco localizzata.

Il processo e la capacità di memorizzazione è già sviluppato nel neonato ma diventa difficile valutare quanto tale capacità incida nello sviluppo del bambino relativamente alle esperienze dolorose.

Da alcuni studi si valuta che i bambini di peso alla nascita estremamente basso hanno una risposta meno significativa rispetto agli altri agli stimoli nocicettivi e questo ci fa pensare ad una dinamica alterata nell’espressività del dolore in funzione del tempo trascorso in TIN .

L’intensità e la ripetitività dei vissuti dolorosi sono fonte di stress, addirittura possono aggravare la patologia in atto, minacciare la stabilità del neonato stesso e lo sviluppo del SNC fino ad alterare la futura percezione del dolore o il comportamento e le risposte agli stimoli dolorosi.

Invece si possono notare gli effetti diretti e indiretti del dolore precoce nello sviluppo del comportamento e neuronale.

Sono stati osservati aumenti di deficit neurologici, disordini comportamentali, problemi psicosociali, deficit cognitivi e dell’apprendimento, dell’attenzione,della memoria e anche difficoltà a reagire a situazioni nuove.

Quindi, durante il periodo di permanenza in TIN, lo sviluppo cerebrale può essere minacciato da stimoli inattesi che incidono negativamente sul normale sviluppo.

E’ naturale, quindi, che una attenzione a limitare precocemente il dolore e lo stress può prevenire possibili sequele nella crescita.

Dobbiamo porre attenzione sulle procedure routinarie che appropriatamente gestite possono essere attuate dal personale infermieristico con il risultato di ridurre la dolorosità delle stesse.

Ottimizzare questi interventi può anche voler dire rendere più efficaci le cure messe in atto per salvare la vita.

Ridurre gli stimoli dolorosi e controllare il dolore è, per la figura professionale che lavora a contatto con la sofferenza del prematuro in patologia neonatale, in atto di profondo rispetto e umanitario dovuto.

La vulnerabilità del piccolo paziente deve essere sostenuta dalla nostra capacità affettiva, professionale e di osservazione.

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Semeiologia del dolore

I tipi di dolore sono molteplici e si distinguono in:

- dolore acuto

- dolore persistente o ripetitivo - dolore post-operatorio - dolore in casi particolari

DOLORE ACUTO

Nel dolore ACUTO sono state evidenziate risposte comportamentali quali: il pianto, l’espressione del viso, i movimenti corporei e lo stato comportamentale e reazioni fisiologiche quali: alterazioni cardiovascolari, respiratorie, ormonali e metaboliche.

ESPRESSIONI COMPORTAMENTALI

IL pianto:

Il pianto è uno dei modi più importanti con cui il neonato comunica con chi è in relazione con lui. Il pianto è caratterizzato da frequenza, durata ed intensità diverse e sembra che le caratteristiche specifiche del pianto di dolore siano:

- una breve latenza dallo stimolo

- una durata maggiore dopo il primo ciclo di pianto - un periodo totale di pianto più lungo

- una più elevata frequenza di base

- una maggior intensità nei livelli superiori - una melodia decrescente o piatta

- vibrazioni e disfonia

Tali caratteristiche attribuiscono al pianto di dolore una qualità di particolare urgenza per ottenere immediatamente attenzione.

Bisogna comunque tenere conto della diversa sensibilità e temperamento dei neonati per cui in risposta ad uno stimolo doloroso, si può anche non avere come espressione di dolore, il pianto.

Inoltre ci sono situazioni in cui il pianto non può comunque essere analizzato come in caso di intubazione tracheale che rende ovviamente impossibile la fonazione ed altri in cui non è attendibile come nel caso di gravi danni neurologici in cui è impossibile attendersi delle vocalizzazioni normali e quindi notarne differenze.

Tuttavia il pianto non è una misura attendibile di intensità del dolore ma può piuttosto indicare un più generale livello di sofferenza.

Espressioni del viso:

Per analizzare meglio l’espressione facciale del neonato è utile far riferimento al Neonatal Facial Coding System di Grunan e Craig che ci offre una dettagliata descrizione delle reazioni del neonato all’esperienza dolorosa.

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Elementi del “Neonatal Facial Coding System” (NFCS) per l’analisi dell’espressione facciale del neonato

Azione Descrizione

Fronte corrugata Aggrottamento con pieghe e solchi verticali sulla fronte e tra le sopracciglia per l’abbassamento e la trazione delle sopracciglia.

Occhi serrati Identificati dalle palpebre aggrottate o strizzate. Vi è un aggrottamento pronunciato dei cuscinetti grassi attorno agli occhi del bambino.

Naso-labiale Manifestato principalmente dallo stiramento all’insù e dalla grinza del solco naso-labiale (una linea o piega che inizia in prossimità delle narici e scende in basso ed esternamente oltre glia angoli delle labbra).

Labbra aperte Qualsiasi separazione delle labbra.

Bocca allungata Caratterizzata da una tensione agli angoli delle labbra associata ad una pronunciata

(verticalmente) trazione verso il basso della mandibola. Spesso si ha uno stiramento quando la bocca è già molto aperta e vi è una trazione ulteriore della mandibola.

Bocca allungata Appare come una netta trazione orizzontale agli angoli della bocca.

(orizzontalmente)

Labbra increspate Le labbra si atteggiano come per pronunciare il suono “oo”.

Lingua tesa Caratterizzata da una lingua sollevata, a coppa con bordi sottili e tesi.

Di solito si ha inizialmente la lingua tesa evidente e la bocca aperta. In seguito la bocca può chiudersi lievemente lasciando ancora visibili i bordi della lingua, che può essere ancora elemento dello score.

Tremolio del mento Un evidente, rapido movimento di “su e giù” della mandibola.

Protrusione della lingua Lingua visibile tra le labbra, estesa oltre la bocca.

Come possiamo vedere, nonostante l’immaturità del neonato, ci sono somiglianze tra l’espressione facciale fra quest’ultimo e un bambino più grande o un adulto come per esempio il corrugare la fronte, increspare le labbra e oscillare il mento.

La differenza più evidente invece è che mentre l’adulto in risposta al dolore tiene gli occhi aperti, il neonato li tiene chiusi in modo molto serrato. Sembra che questo possa dipendere dal fatto che il neonato non è comunque in grado di trarre dall’ambiente informazioni che lo aiuti ad elaborare l’esperienza dolorosa.

Per concludere, sono due gli aspetti che si presentano costantemente nella mimica facciale di un neonato con dolore e cioè: la bocca aperta stirata verticalmente con abbassamento della mandibola e la lingua estesa e sollevata.

Altri studi hanno confermato che non solo i movimenti del viso ma anche altri movimenti del corpo e in specifico delle gambe e delle braccia possono essere specifici di variabile intensità in reazione allo stimolo antalgico.

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Nel neonato che presenta dolore, possiamo osservare un passaggio delle braccia e delle gambe da rilassate e calme a tese, diritte, rigide e con rapidi movimenti di estensione/flessione.

Inoltre sono presenti atteggiamenti corporei quali: immobilità, stato di agitazione, movimenti del capo, inarcamento del dorso, tremori, assunzione di atteggiamenti antalgici.

Stato comportamentale:

L’intensità della risposta del neonato al dolore è influenzata, oltre che dallo stato comportamentale, dall’interazione complessiva del neonato con l’ambiente esterno.Di rilevante importanza è l’alterazione che lo stimolo doloroso produce sui ritmi del sonno del bambino. Normalmente il neonato passa in fase REM circa il 50% del sonno. Stimoli dolorosi provocano alterazione dei normali ritmi di sonno/veglia e la perdita selettiva del sonno REM. Alcuni studi dimostrano che gli effetti a lungo termine dei disturbi del ciclo sonno/veglia causati da ripetuti stimoli dolorosi, influiscono sullo sviluppo comportamentale dei neonati prematuri. I risultati di questi studi sono preoccupanti, dato che la preservazione del sonno REM è essenziale per la capacità di affrontare lo stress e per il benessere psicologico.

“Non solo gli stimoli dolorosi alterano i ritmi del sonno, ma i ritmi del sonno alterano la risposta agli stimoli dolorosi.”

Per la valutazione del comportamento di stress del neonato, possiamo riferirci alla tabella di Al del 1982: Assessment of Preterm Infant Behavior (APBI) che è qui riportata con le modificazioni degli operatori della divisione Neonatologica del Policlinico Gemelli di Roma nel 1993.

Assessment of Preterm Infant Behavior (APIB):

Valutazione del comportamento del bambino pretermine (ALS,1982)

Comportamenti di stress e difesa (APIB, 1982)

1) Segnali di stress del sistema autonomo e viscerale:

a) clonie

b) pause respiratorie, respiro irregolare

c) modificazioni del colorito: marezzato, con reticolo venoso evidente, cianotico, grigio d) vomito, soffocamento

e) rigurgiti f) singhiozzi

g) sforzo, tensione, come per movimenti intestinali h) boccheggiamento, respiro affannoso (gasping) i) tremori e sussulti

j) tosse k) starnuti l) sbadigli m) sospiri

2) Segnali di stress del sistema motorio:

a) -flaccidità motoria o“fuori tono”

-flaccidità del tronco -flaccidità delle estremità

-flaccidità facciale(espressione “ a bocca aperta”) b) - ipertonicità motoria

- con ipertensioni

delle gambe: sedersi per aria; gambe irrigidite delle braccia: ad aeroplano; a mo’ di saluto del tronco: arcuato, ad opistotono

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movimenti delle dita smorfie facciali

estensione della lingua - con iperflessioni

del tronco ed estremità: posizione fetale, stringere il pugno c) agitazione, attività diffusa: dimenarsi

d) frequenti contorsioni

3) Segnali di stress in relazione allo stato:

a) sonno frequente o stati di veglia con gemiti, contorsioni facciali e sorrisi “da scarica”

b) agitazione degli occhi,sguardo vagante, instabile c) pianto o agitazione da sforzo; pianto silenzioso d) sguardo fisso

e) evitamento attivo frequente

f) stato di allerta spaventato o inquieto; iperallerta

g) occhio vitreo, vigilanza tesa: stato di vigilanza assopita, dalle palpebre pesanti h) rapide alterazioni dello stato; frequenti risvegli

i) irritabilità e scuotimenti diffusi e prolungati j) pianto

k) frenesia e inconsolabilità l) insonnia e irrequietezza

REAZIONI FISIOLOGICHE

Oltre alle risposte comportamentali, come abbiamo detto, vi sono delle reazioni fisiologiche al dolore che sono rappresentate da modificazioni cardiovascolari, respiratorie, ormonali e metaboliche.

Modificazioni cardiovascolari:

Durante una stimolazione dolorosa, si ha un innalzamento della F.C. rispetto ai valori di base.

Questo aumento dura per alcuni minuti per poi rientrare nei valori normali.

Va in ogni modo tenuto in considerazione lo stato del neonato prima dello stimolo doloroso sia per l’intensità dell’innalzamento della F.C. che per il tempo necessario al recupero. Modificazioni della F.C. si rilevano anche durante manovre considerate non dolorose, come ad esempio il cambio del pannolino, soprattutto in neonati di bassa età gestazionale.

Ci sono inoltre studi che rilevano in neonati sottoposti ad un prelievo dal tallone, un aumento medio della frequenza cardiaca di 49 batt/m., mentre in neonati sottoposti a circoncisione, stimolo doloroso indubbiamente più intenso, non vi è stato un aumento più elevato di frequenza cardiaca.

Specifichiamo inoltre, che un aumento della frequenza cardiaca avviene anche in corso di infezione, febbre e come effetto dell’assunzione di alcuni farmaci (caffeina, teofillina, salbutamolo, inotropi) il che lo rende un indice di nocicezione relativamente poco attendibile e sicuramente meno valida rispetto alla pressione arteriosa.

Benché, infatti, anche la P.A. risenta dello stato di agitazione o dell’assunzione di farmaci, è altresì vero che è meno influenzata da questi fattori rispetto alla F.C.

In uno studio sulla puntura lombare, è stato riscontrato che, mentre nel neonato prematuro (<32 sett.

E.G.) l’aumento della P.A. avviene più nella fase di manipolazione che in corso della procedura in sé, nel neonato più grande il picco della P.A. avviene durante la procedura stessa.

Modificazioni respiratorie:

Durante lo stimolo doloroso, si verifica tachipnea nel neonato a termine o apnea nel pretermine.

Studi hanno rilevato che durante l’esperienza dolorosa, si ha una riduzione della pressione parziale

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di ossigeno e della saturazione, ed un aumento della pressione parziale della CO2. Tali valori tendono a rientrare nei range normali in tempi piuttosto lunghi. Inoltre tali modificazioni possono contribuire ad aumentare il rischio di displasia broncopolmonare ed emorragie endocraniche.

In neonati sottoposti a ventilazione meccanica, si possono presentare ampie cadute della saturazione di ossigeno a causa del “contrasto” con il ventilatore, con conseguente aumento della pressione intra-toracica che può causare pneumotorace.

Modificazioni ormonali e metaboliche

Come risposta allo stimolo doloroso si ha una produzione di catecolamine immediata ma meno duratura nel neonato pretermine rispetto a un neonato a termine.

Il cortisolo e l’aldosterone con i relativi precursori aumentano in caso di stress.

In neonati ventilati meccanicamente è stato evidenziato come in corso di aspirazione endotracheale o fisioterapia respiratoria si ha un aumento di adrenalina e noradrenalina plasmatica che è meno evidente nei neonati sedati.

Lo stimolo doloroso provoca inoltre un immediato aumento degli ormoni iperglicemizzanti quali le catecolamine, il glucagone ed il GH. Nonostante l’aumento di produzione di insulina, l’organismo non riesce a controllare questo innalzamento con rischio di squilibrio metabolico. L’iperglicemia prolungata porta ad un aumento dei livelli plasmatici di lattato, piruvato, corpi chetonici ed acidi grassi non esterificati.

Inoltre, l’aumento della glicemia prolungata porta ad un aumento dell’osmolarità plasmatica che è un fattore di rischio per il circolo cerebrale.

Per rilevare l’intensità della reazione dolorosa gli operatori possono far riferimento alle scale di valutazione del dolore quali la scala NIPS e la più completa PIPP in modo da aumentare la consapevolezza di questo problema e poter attivare interventi che riducono le reazioni allo stimolo doloroso e migliorare così la qualità dell’assistenza ai piccoli pazienti.

PIPP

Metodo Indicatore 0 1 2 3 Punteggio

Cartella Età

gestazionale 36 sett. 32->35+6gg 28->31+6gg 28 sett.

Osservazione del neonato per 15 sec.

Osservazione dei p.v.

F.C.

Sat. O2

Comportamen to

Attivo/Sveglio

Occhi aperti

Movimenti facciali

Calmo/Sveglio

Occhi aperti

Nessun movimento facciale

Attivo/dorme

Occhi chiusi

Movimenti facciali

Calmo/Dorme

Occhi chiusi

Nessun movimento facciale

Osservazione del neonato per 30 sec.

Frequenza cardiaca

Max

Incremento da

0 a 4 b/m Incremento da

5 a 14 b/m Incremento da

15 a 24 b/m Incremento di 25 b/m o più

Sat O2

Min

Diminuzione

da 0 a 2,4% Diminuzione

da 2,5 a 4,9% Diminuzione

da 5,0 a 7,4% Diminuzione oltre 7,5%

Fronte

corrugata Mai

0-9% del tempo

Minimo

10-39% del tempo

Modesto

49-69% del tempo

Massimo 70% e oltre del tempo

Strizzamento degli occhi Mai

0-9% del tempo

Minimo

10-39% del tempo

Modesto

49-69% del tempo

Massimo 70% e oltre del tempo

Corrugament

o della ruga naso-labiale

Nessuno Minimo 10-39% del tempo

Modesto

49-69% del tempo

Massimo 70% e oltre del tempo

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DEFINIZIONI OPERATIVE DEL NIPS

ESPRESSIONE FACCIALE

0- muscoli rilassati faccia rilassata, espressione neutrale

1- smorfie muscoli facciali contratti, fronte, mento corrugati (espressione facciale negativa)

PIANTO

0- assenza di pianto calmo, assenza di pianto 1- piagnucolio leggero lamento intermittente

2- pianto forte urlo acuto, crescente, continuo (può essere rilevato un pianto silente se il

bambino è intubato, evidenziato dai movimenti della bocca e della faccia)

TIPO DI RESPIRO

0- rilassato il respiro secondo il modo abituale del neonato

1- variazione del respiro sospensioni del respiro, respiro irregolare, più veloce del solito, strozzato, apnee

BRACCIA

0- rilassate/calme nessuna rigidità muscolare, movimenti occasionali e casuali delle braccia

1- flesse/estese braccia tese, dritte, rigida e/o rapida estensione/flessione

GAMBE

0- rilassate/calme nessuna rigidità muscolare, movimenti occasionali e casuali delle gambe

1- Flesse/estese gambe tese, dritte, rigide e/o rapida estensione/flessione

STATO DI VEGLIA

0- addormentato/sveglio calmo, pacifico, vigile o addormentato 1- disturbato vigile, agitato e abbattuto

DOLORE PERSISTENTE E RIPETITIVO

Come si è detto precedentemente, dopo la reazione al dolore acuto, si ha un rientro dei valori alla normalità e il neonato si calma.

Non sempre però questo stato di quiete apparente è segno di miglioramento. E’ quindi importante saper distinguere fra la fase di recupero del benessere ed il dolore persistente.

In quest’ultimo scompaiono, infatti, le reazioni comportamentali quali il pianto, l’espressione facciale e i movimenti corporei in quanto il neonato non può mantenere a lungo una risposta di

“lotta o fuga” ma persistono le modificazioni cardiovascolari, respiratorie, ormonali e metaboliche.

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Durante la fase di recupero, si nota nel neonato una scarsa reattività a qualsiasi tipo di stimolazione sia assistenziale sia nocicettivo; questa fase richiede un attento monitoraggio dei parametri vitali ed il minimal touch.

Il dolore persistente è caratterizzato da una non risoluzione delle alterazioni fisiologiche ed addirittura, da un peggioramento del quadro clinico.

Si rende quindi necessario individuare le cause di tale dolore ed intervenire.

DOLORE POST OPERATORIO

Questo tipo di dolore ha le stesse reazioni comportamentali e fisiologiche dei dolori precedentemente trattati.

Nonostante però abbia la stessa semeiologia, ci sono tipi di scale per la valutazione diverse quali: la scala di Hannallah, la Oxford Surgical Stress Scale e la Cheops.

DOLORE IN CASI PARTICOLARI

Esistono casi in cui il neonato non può manifestare reazioni al dolore nonostante lo avverta.

Bisogna, infatti, ricordarsi che i neonati sottoposti a terapia con pancuronio, che è un miorilassante, non sono in grado di avere reazioni comportamentali ma provano ugualmente dolore. E’ quindi importante attivare la stesse manovre di prevenzione allo stimolo doloroso come negli altri neonati.

Per ultimo ma non per questo meno importante è il caso del neonato terminale nel quale le espressioni comportamentali e fisiologiche sono molto sfumate o quasi assenti. In quest’ultimo caso evitare dolore al neonato deve diventare obiettivo fondamentale dell’assistenza nel rispetto di una degna qualità di vita verso un essere umano che rimane tale fino alla fine. (1) (2) (4)

Linee guida sul contenimento del dolore L’ultimo tabù

“La gente cambia e sorride: la sofferenza resta”

T.S. Eliot

La nostra riflessione prende il suo inizio da queste parole inconfutabili: anche quando si cerca di nasconderlo e mimetizzarlo il dolore resta.

Come mai adesso che siamo a conoscenza dei meccanismi di trasmissione dello stimolo nocicettivo, che sono cadute tutte le credenze-schermo che non consideravano possibile il dolore nel neonato e che siamo in possesso di numerosi strumenti validi ed attendibili per la sua valutazione e la sua cura, lasciare che il bambino soffra è prassi ordinaria e banale.

La dottoressa Annie Gauvain-Piquard ci dice che “l’ignoranza non basta a spiegarci la crudeltà collettiva incosciente che si è esercitata (e che si esercita ndr) nei nostri ospedali alle spese di bambini che nessuno si curava di difendere”. Per questo, ancora prima di parlare di strategie, metodi, linee guida e quanto altro, abbiamo ritenuto necessario fare una pausa per indagare questo aspetto e per ribadire che niente è importante quanto credere e sentire che anche il bambino sente veramente dolore. Questa riflessione, ovviamente, non può prescindere dalla constatazione che nel mondo adulto, che pure si può avvalere di altri mezzi per comunicare questo importantissimo aspetto della malattia, le cose non vadano meglio. In uno studio condotto presso Memorial Sloan- Kettering Cancer Center è stato dimostrato che “un numero significativo di pazienti avesse dolore e che dopo una visita in clinica era normale che i medici non scrivessero nulla dei sintomi di dolore.

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E’ stato necessario rendere visibile il dolore definendolo come quinto segno vitale inserendolo tra pressione e temperatura (…). Questa è stata la base che ha portato alla elaborazione negli U.S.A. di standard specifici che vengono applicati dagli enti di accreditamento. Adesso per valutare ed accreditare gli ospedali essi giudicano in quale misura questi hanno considerato il dolore del paziente e lo hanno curato adeguatamente”. Aggiungiamo che sarebbe ben triste che l’argomento dolore venisse considerato degno di attenzione solo in funzione di accreditamenti e non di motivazione etiche, civili ed umane.

Un’indagine europea ha consentito di rilevare che a seconda della regione e dei tipi di strutture fino al 100% dei malati che chiedono l’eutanasia vi sono spinti da dolori spaventosi ed intollerabili.

Scrive Zavoli in proposito “a quel malato va tolta la disperazione, non la vita; va restituita una sopportabile misura dell’esistenza, non strappata l’ultima possibilità di viverla; va riconsegnato il filo seppur debole, ma ancora umano, della speranza, in luogo di quello della condanna.”

In un recente articolo del New England Journal of Medicine si sottolinea come “la maggioranza dei bambini con malattia terminale, seguiti nelle più prestigiose cliniche nord-americane, muoia tra sofferenze inaccettabili”. Sandro Spinsanti nella rivista medica Janus 2001 aggiunge “l’aspetto più paradossale è che il dolore, di per sé, tende a farsi vedere e sentire; chi ha dolore urla in modo vistoso per dichiarare la propria presenza di creatura sofferente ed attirare l’attenzione su di sé e sul proprio male. Eppure noi abbiamo l’incredibile capacità di non riuscire a vedere anche la realtà più evidente”.

L’O.M.S. ha stabilito delle linee guida basate sull’uso di semplici farmaci che vanno inizialmente dall’uso di antinfiammatori quali l’aspirina e gli altri antireumatici, ai farmaci oppioidi. Sempre l’O.M.S. utilizza il consumo annuale di analgesici oppiodi in ogni paese come indice sensibile per una valutazione dell’efficacia dei programmi di controllo del dolore. Dal 1984 al 1997 il consumo di morfina per uso terapeutico in Italia è raddoppiato, ciò nonostante consumiamo all’incirca lo stesso quantitativo pro-capite di Andorra, dell’Estonia e del Sud Africa, la Namibia ne consuma un poco di più, la Polonia e l’Ungheria il doppio. L’80% dei medici italiani (di famiglia, ospedalieri etc.) secondo un dato del 1999 non possiede un ricettario speciale per la prescrizione di oppioidi.

Antonio Panti presidente dell’ordine dei medici di Firenze, in un articolo su Janus 2001 pubblica il numero dei medici della Toscana che hanno richiesto i ricettari per l’uso di stupefacenti terapeutici:

a Firenze su 6835 iscritti all’ordine solo 380. Le altre province non vanno meglio.

Il 24 gennaio 2001 il Parlamento Italiano ha approvato le “norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore”. Ci auguriamo che tolta un po’ di burocrazia e disorganizzazione le cose vadano meglio, ma siamo convinti che si tratti più di un problema culturale e di formazione che non legislativo, anche se indubbiamente sono necessarie buone leggi per creare le condizioni in cui lavorare bene. E’ sconsolante e triste tuttavia ascoltare le parole di Umberto Veronesi, promotore della legge, dopo più di un anno dalla sua approvazione “Abbiamo creduto e lavorato molto per sviluppare una visione moderna del dolore e devo purtroppo constatare che questo lavoro è stato abbandonato a sé stesso” e ancora “Il trattamento del dolore è tuttora trascurato, fatto sorprendente se si pensa alle attuali possibilità di controllo farmacologico del dolore”.

La dott. Annie Gauvain-Piquard definisce noi operatori sanitari gli attori della negazione. La troviamo una definizione appropriata osservando il nostro agire quotidiano e molti studi le danno ragione quando documentano una discordanza tra l’intensità del dolore riferita dal malato e quella stimata dai curanti. Fattori che sembrano influenzare l’accettazione del parere del malato sono:

l’età, i segni vitali ed il comportamento doloroso (rigidamente catalogato) e così: “I neonati, i bambini piccoli e le persone con disturbi intellettivi sono particolarmente a rischio di non essere interpellati, valutati, capiti nel loro dolore” dice Michele Gallucci (medico specialista in oncologia ed anestesia) citando inoltre un proverbio arabo

“l’esperienza di chi prende colpi è diversa da quella di chi li conta”.

Potremmo aggiungere anche che raramente ci preoccupiamo di contarli.

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Cosa è che ci rende così pigri, così ciechi e sordi al dolore altrui, quando siamo invece così solleciti, fino all’eccesso, nell’uso di analgesici per poter lenire il più piccolo e banale dei dolori quando questo rischia di insidiare la nostra vita, e le nostre giornate così attive e produttive?

Sartre diceva “Sento il dolore degli altri, dunque sono”.

Una spiegazione a tutta questa negazione ce la da Claudio Blengini “…quasi che a parlarne si possa distogliere il medico dalla sua missione più importante che è la cura… La medicina supertecnologica ha perso di vista l’uomo e la sua sofferenza. Nei secoli passati, quando le possibilità di cura erano ridotte, il prendersi cura, più che il curare era uno degli elementi chiave della professione sanitaria. Il trionfalismo della scienza medica, negli ultimi decenni, ha quasi scotomizzato la morte e la sofferenza, archetipi proprio dei limiti che la scienza, in quanto umana, porta con sé…. E’ mancata e manca tuttora una formazione specifica degli operatori sul problema che dia a questo sintomo un’adeguata dignità terapeutica. Tra i cittadini poi è scarsa la cultura su questo problema”.

Riferendosi poi al bambino dice: ”Eppure si è visto come la memoria del dolore tragga le sue radici dalle esperienze infantili. Ci sono abbondanti dimostrazioni di come sia possibile rendere meno traumatica l’esperienza dolore nei bambini… Ma per far ciò occorre un po’ di tempo e di attenzione alla persone che sta dietro ogni malattia. Persona che non sa ancora, o non sa più, esprimersi e difendersi. Ed ha bisogno di qualcuno che sappia gestire questa tutela.”

Uno dei maggiori innovatori nella terapia del dolore Patrik Wall conclude così il suo libro “Perché proviamo dolore”: “Sospetto che la disattenzione verso il dolore derivi dall’essere uno degli ultimi tabù. Non se ne parla volentieri, perché la gente preferisce parlare di realtà su cui può esercitare un controllo (…) Quando vedo qualcuno che soffre, confesso che provo ancora terrore e preferirei svignarmela (…) Non credo che qualcuno potrà mai abituarsi al dolore. E’ troppo profondo.”

Ci piace ricordare che il prendersi cura di questo aspetto della malattia non è un di più, non è meno fondamentale di somministrare un antibiotico prescritto o eseguire correttamente delle manovre rianimatorie, eppure viene spesso vissuto come superfluo, marginale, e chi lo porta alla ribalta venga tacciato di sentimentalismo. In tal senso, se la nostra coscienza non bastasse, ci richiama sia il D.M. 739 del 1994, il nostro codice deontologico e la legge 251/2000.

Un atto dovuto quindi, una responsabilità oltre che professionale civile, sociale e culturale ed un reato di omissione il volgersi dall’altra parte e risolvere tutto con una scrollata di spalle.

Annie Gauvain-Piquard usa parole dure e cristalline per descrivere la condizione psicologica in cui vengono relegati i pochi operatori che si permettono di rompere il “tabù dolore”:

“All’origine di tante dimissioni e crisi professionali ci sono stati, e ci sono ancora, questi scontri feroci e nascosti. Perché chi ha percepito, da solo, l’intensità del dramma umano che si svolge nel silenzio senza incontrare alcuna eco, si trova a sua volta negato nelle sue più intime convinzioni e percezioni. Ecco allora che qualcosa vacilla: avrà sognato? Non sarà stato poi così grave? E non gli rimane che soffocare dentro di sé il disagio, il dubbio intravisto e lo strascico inevitabile di sensi di colpa. Il dolore appena intravisto, viene ad essere respinto nell’ombra, nelle ideologie e negli psicologismi: violenza nella violenza. (…)

E’ una strana guerra, violentissima, che si svolge nell’ombra. Ma qual è la posta in gioco? Perché mai deve essere tanto difficile vedere che un bambino soffre e pensare di poterlo e doverlo aiutare?

Il dolore del bambino ci pone di fronte all’essenza stessa di quello che è il dolore e di quello che è la medicina, nella sua imperfezione, specchio della società“ (Parigi 1992 la violenza del dolore nel bambino).

Che mezzi abbiamo allora per affrontare l’evento dolore? Sicuramente informarci, prepararci, studiare, aver voglia di guardare e soprattutto ascoltare chi abbiamo di fronte, ma anche noi stessi.

E’ possibile, ci chiederemo, riuscire a virare le sorti di questa lotta che ci vede spesso sconfitti o inermi? Una bella e costruttiva chiave di lettura viene data da Enrico Albini e Sandro Brini: “Il dolore, nelle sue componenti più diverse, appare come un enigma che spinge alla ricerca e all’interrogazione di sé stessi: può, alla fine, condurre a una più profonda conoscenza della propria interiorità, poiché molto spesso nella sofferenza la nostra mente si affina, aprendosi a nuovi

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orizzonti e a nuove profondità. (…) A rimanere accanto ai propri sentimenti, a riavvicinarsi a sé, ad avere interessi per sé stessi, a sviluppare un ascolto attento ai pensieri, alle immagini interne, al personale progetto esistenziale. Da questo punto di vista il dolore, come l’amore, è apertura a una visione differente della nostra esistenza. La ricerca, la speranza e la capacità di attribuire un senso agli eventi dolorosi è l’unica strategia a nostra disposizione per fronteggiare l’angoscia e contenere le fantasie di morte.”

Dichiarazione di consenso per la prevenzione e la gestione del dolore nel neonato

Il Gruppo Internazionale del Dolore Neonatale Basato sull’Evidenza ha redatto le linee guida per la gestione del dolore del neonato. Pubblicate nel 2001 sono la risultanza di studi eseguiti sulle procedure più utilizzare nelle terapie intensive neonatali (T.I.N.), infatti molte sono le procedure assistenziali, diagnostiche e terapeutiche in grado di provocare dolore nel neonato.

E’ da sottolineare la pertinenza infermieristica degli interventi nelle singole procedure che dimostra il ruolo che l’infermiere ha nella gestione della sensazione algogena.

Puntura del tallone

• Se possibile proferire il prelievo venoso perché meno doloroso, più efficace e preciso. La venipuntura può non essere eseguibile nei nati di peso estremamente basso;

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Considerare il contatto pelle – pelle con la madre;

• Uso di lancette autoscatto (piede ben caldo) L’uso di Emla è controindicato perché vasocostringe.

Inserzione di ago cannula

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema EMLA sul sito di inserzione (quando non urgente);

• Considerare l’uso di un farmaco oppioide, se l’accesso intravenoso è disponibile;

• Considerare un approccio simile per la venipuntura.

Inserzione di un catetere arterioso

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema Emla sul sito di inserzione;

• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina;

• Considerare un approccio simile per una puntura arteriosa.

Inserzione di un catetere venoso centrale

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema Emla sul sito d’inserzione, se non urgente;

• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina;

• Considerare un’infusione lenta di un farmaco oppioide (morfina o fentanyl);

• Considerare l’uso di un’anestesia generale per la procedura.

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Inserzione di un catetere ombelicale (venoso/arterioso)

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Evitare di porre punti di sutura o una pinza emostatica sulla pelle intorno all’ombellico.

Puntura periferica arteriosa o venosa

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema Emla sul sito d’inserzione;

• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina; evitare un’eventuale iniezione intravascolare;

• Considerare l’uso di farmaci oppiodi, se è disponibile un accesso venoso.

Inserimento di un catetere centrale per via periferica

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema Emla sul sito d’inserzione, quando non urgente;

• Considerare l’uso di oppiodi, se è disponibile un accesso venoso.

Puntura lombare

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema Emla sul punto dove avverrà la puntura;

• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina.

Iniezione intramuscolare o sottocutanea

• Evitare questa procedura e somministrare i farmaci per via venosa, ogni volta sia possibile.

Se necessario:

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Applicare la crema Emla sul sito di iniezione.

Intubazione endotracheale

Ci sono molte varianti nell’approccio di questa tecnica e l’efficacia di una sulle altre non è supportata da evidenze scientifiche.

• Usare in maniera combinata atropina solfato e ketamina;

• Usare in maniera combinata atropina solfato, tiopentone sodico e succinilcolina;

• Usare una combinazione di atropina solfato, morfina o fentanyl, e un miorilassante non depolarizzante (pancuronio, vercuronio, rorcuronio);

• Considerare l’uso topico di lidocaina spray, se possibile;

• Sono frequentemente usate altre combinazioni di farmaci.

L’intubazione tracheale, senza l’uso d’analgesia o sedazione, deve essere eseguita solo per la rianimazione in sala risveglio e per tutte le altre situazioni in cui un accesso venoso non è reperibile.

(14)

Aspirazione endotracheale

Questa procedura è molto stressante e può essere associata, dato le risposte fisiologiche che evoca, ad una manovra delle più dolorose:

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Considerare l’uso in infusione continua di farmaci oppioidi (morfina) o lenti boli intermittenti di farmaci oppioidi (fentanyl, meperidina, alfentanyl).

Posizionamento sondino naso-gastrico

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Avere modi gentili nell’esecuzione della tecnica ed usare un’appropriata lubrificazione del tubo.

Introduzione di un drenaggio toracico

• Prevenire il bisogno di una ventilazione o di un’intubazione, nei neonati in respiro spontaneo;

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina;

• Considerare un’infusione lenta di farmaci oppiodi (morfina o fentanyl);

• Altri metodi possono includere l’uso d’agenti anestetici di rapida azione.

Circoncisione

• Usare una pinza emostatica appropriata;

• Applicare sul sito d’incisione la crema Emla;

• Eseguire il blocco del nervo dorsale del pene, o il blocco causale, o l’infiltrazione locale con lidocaina;

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Considerare l’uso di paracetamolo per il dolore postoperatorio.

Analgesia per le procedura di routine in T.I.N.

• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura (0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);

• Usare il contenimento e le facilitazioni;

• Se il neonato è ventilato, infondere, in continuo, basse dosi di morfina o fentanyl.

Non esistono evidenze scientifiche che dimostrano che il neonato non possa essere sedato senza pericolo, per molte settimane o mesi.

• Considerare una terapia a base di paracetamolo

• Ridurre gli stress acustici, termici e ambientali in genere.

………… e in Italia?

In Italia le linee guida per la terapia del dolore nel neonato sono state redatte nel 2002 dal Gruppo di Studio sul Dolore del neonato della Società Italiana di Neonatologia (S.I.N.).

La lentezza dei progressi dell’Italia rispetto agli altri Paesi è dovuta alle varie componenti culturali e normative che sono ora in rapida evoluzione.

(15)

Durante gli incontri nazionali del gruppo di studio è stata presa la decisione di estendere le linee guida sulle condizioni algogene che si presentano più frequentemente nelle T.I.N.:

- analgesia nell’intubazione endotracheale del neonato (intubazione d’urgenza, Intubazione elettiva);

- analgesia durante la ventilazione meccanica;

- analgesia nel neonato sottoposto ad intervento chirurgico.

Il Gruppo di Studio sul Dolore del neonato della S.I.N., nel documento delle linee guida definisce quelle internazionali “molto generiche”.

Non concordiamo con questo giudizio poiché:

1. tale documento prende in considerazione numerose procedure tutt’altro che “minori” e infrequenti;

2. in esso si specificano e sottolineano strategie e facilitazione che noi consideriamo fondamentali, mentre nel documento italiano viene dato molto spazio alla descrizione del presidio farmacologico.

Analizziamo qui di seguito nello specifico le procedure ed i dispositivi che possono essere gestiti dal personale infermieristico in autonomia professionale.

Essi possono essere quindi schematicamente suddivisi in:

A) procedure atte a ridurre lo stimolo doloroso (saccarosio/glucosio, succhiotto, anestetico locale, care);

B) dispositivi tecnologici non invasivi (dispositivo automatico di incisione, misuratore transcutaneo della bilirubina, liquido adesivo chirurgico, microprovette per la raccolta di sangue capillare).

Verranno qui di seguito analizzati soltanto alcuni di questi strumenti.

A-1 Saccarosio / glucosio A-2 Succhiotto

Nel 1991 Blass e Hoffmeyer hanno proposto l’uso del saccarosio come analgesico per il neonato.

Studi su ratti neonati avevano infatti dimostrato che l’assunzione orale di zucchero o latte riduceva le risposte da stress e che tale effetto veniva annullato dalla preventiva somministrazione di naloxone: l’analgesia da zucchero si realizzerebbe pertanto attraverso la mediazione degli oppiodi endogeni. La somministrazione di zucchero (2 ml al 12%) a neonati sani durante la circoncisione riduce l’incidenza e la durata del pianto.

Presso l’ospedale di Poissy (Francia) sono stati studiati 150 neonati nati da 24 ore con un indice di Apgar uguale od inferiore a 7. La procedura consisteva nella venopuntura.

Questi neonati sono stati trattati in modo differente prima dell’esecuzione di una stessa procedura dolorosa e sono stati suddivisi in sei gruppi:

1^ nessun trattamento

2^ neonati trattati con 2 ml di H2O per os

3^ neonati trattati con 2 ml di glucosio 30% 2’ prima della procedura 4^ neonati trattati con 2 ml di saccarosio 30% 2’ prima della procedura 5^ neonati trattati con solo succhiotto

6^ succhiotto + 2 ml di saccarosio 30% 2’ prima della procedura

Il dolore è stato misurato con la scala di DAN osservando quindi espressione facciale, movimenti del corpo e lamento generale del neonato.

Lo studio ha dimostrato che il metodo migliore di riduzione del dolore è dato dall’associazione della soluzione di saccarosio al succhiotto (Field T., Goldon E.).

Non è ancora chiaro perché si ha questo effetto. Probabilmente lo zucchero innesca il rilascio degli oppioidi endogeni presenti naturalmente nell’organismo e la sensazione tratta succhiando è così forte che distrae il neonato dalla procedura dolorosa (eccedenza di dominanza sensitiva su tutte le altre sensazioni).

(16)

Lo studio conclude invitando ad utilizzare tali metodi in caso di stimolo algogeno di lieve entità poiché semplici, non invasivi, sicuri e poco costosi. (6)

A-3 Anestetici locali

Un anestetico locale può essere molto utile in età neonatale per ridurre l’impatto doloroso di molte manovre invasive: incannulamento di vene ed arterie, posizionamento di cateteri centrali, rachicentesi, toracentesi e paracentesi.

L’analgesia di superficie si ottiene grazie ad un’emulsione di anestetici (lidocaina e prilocaina al 5%) che viene assorbita per via transdermica e raggiunge così concentrazioni sufficienti per l’analgesia.

In commercio sono disponibili più preparazioni (disco e crema).

Entrambe vengono applicate su cute integra con medicazione occlusiva; nel disco essa è preconfezionata.

L’inizio, la profondità e la durata dell’analgesia dipendono dallo spessore epidermico e cutaneo della zona di applicazione, dalla perfusione ematica sottostante e dal tempo di contatto fra cute e miscela.

L’effetto analgesico locale è dovuto al rilascio dei due componenti della miscela negli strati epidermici. Successivamente il farmaco si assimila a livello dei nocicettori e delle terminazioni nervose.

Per ottimizzare l’effetto analgesico il prodotto dovrebbe essere applicato almeno 30-60’ prima della procedura (l’effetto persiste per circa 2 ore dopo la sua rimozione). (7)

Unico limite legato all’uso della miscela è il possibile aumento della metaemoglobinemia nel neonato. Non sembra comunque che tale aumento superi il range della normalità. (8) (9) (10)

B-1 Dispositivi di incisione automatici

E’ documentato che la venopuntura è la procedura meno dolorosa e più efficace per ottenere un campione di sangue nei neonati a termine. (11)

Questo tipo di procedura può non essere sempre applicabile nei nati di peso estremamente basso per lo scarso patrimonio venoso e per i valori pressori che non sempre consentono di ottenere campioni di sangue non coagulato.

Ne consegue che è necessario ricorrere frequentemente alla puntura del tallone anche se è dimostrato che è causa di stress e non è esente da rischi infettivi.

E’ utile dunque individuare tecniche nuove che siano in grado di ridurre il dolore di questa manovra.

Nella maggior parte dei paesi sviluppati si utilizzano dispositivi ad autoscatto. Nei paesi in via di sviluppo si utilizzano aghi G 21 – 24 poiché facilmente disponibili e meno costosi. L’ago induce più dolore e più rischi infettivi poiché non vi è controllo sulla profondità di penetrazione nel tessuto.

Nel 1997 presso l’ospedale Re Edward Memorial Hospital di Mumbai (India) è stato eseguito uno studio su 40 neonati di età gestazionale compresa fra 28 e 36 settimane con peso alla nascita compreso fra 880 g e 2000 g in respirazione spontanea. In tutti i neonati sono stati monitorizzati frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, saturazione dell’ossigeno, pressione arteriosa ed espressione facciale. La puntura del tallone è stata effettuata con aghi G 21 – 24, lancette e dispositivi di incisione automatici. I risultati dello studio hanno dimostrato che ogni tecnica di puntura del tallone, tranne quella con dispositivi autoscatto, provoca un aumento della frequenza cardiaca media, un aumento significativo della pressione arteriosa diastolica con la puntura del tallone indotta da ago, ed una diminuzione della saturazione dell’ossigeno con l’utilizzo delle lancette.

Gli autori concludono il lavoro affermando che i dispositivi automatici sono la tecnica meno dolorosa per la puntura del tallone. (12)

(17)

In conclusione si può sostenere che i dispositivi di incisione a scatto sono un presidio efficace nella riduzione del dolore da puntura del tallone: il volume totale di sangue raccolto è significativamente maggiore rispetto a quello ottenuto con altri dispositivi; il tempo richiesto per la raccolta del campione di sangue e la spremitura del tallone sono ridotti e la sua efficacia aumenta se associato ad altri interventi infermieristici per il contenimento del dolore. (13)

E’ abolito inoltre il rischio di punture accidentali da parte degli operatori. Il presidio è quindi conforme alla Legge n.626/94 che regola la salute e la sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro.

Tabella 1

DISPOSITIVO AUTOMATICO

AGO

ESECUZIONE . facile

. automatica

. facile . manuale

INCISIONE . piccola

. superficiale

. piccola . profonda

FORZA ESERCITATA Molla operatore

DOLORE Ridotto aumentato

SANGUINAMENTO Rapido lento

N° INCISIONI PER

REALIZZARE IL PRELIEVO 1 spesso > 1

TEMPO PER RACCOLTA CAMPIONE

Ridotto aumentato RISCHIO DI

COAGULAZIONE DEL

CAMPIONE Ridotto aumentato

EMOSTASI Lenta rapida

ESITI CICATRIZIALI Assenti presenti

RISCHIO DI PUNTURE

ACCIDENTALI Assente presente

B-2 Misurazione transcutanea della bilirubinemia

Il monitoraggio della bilirubinemia si esegue mediante prelievo capillare di sangue dal tallone ogni 12 – 24 ore.

Il prelievo di sangue dal tallone è particolarmente doloroso, non esente da rischi infettivi e, occasionalmente, causa di periostite calcaneare. Inoltre la misurazione mediante bilirubinometri non è sempre molto precisa.

Recentemente, per la misurazione transcutanea della bilirubina, è stata brevettata una apparecchiatura che utilizza il principio della spettrofotometria, vale a dire la misurazione dell’assorbimento di luce di una data lunghezza d’onda all’attraversamento dei tessuti. Tale luce viene quindi captata dal fotorilevatore che la analizza.

Tale apparecchiatura può essere utilizzata anche in corso di fototerapia previa applicazione di un piccolo adesivo opaco agente da schermo, in modo da preservare così quella zona di cute dall’esposizione ai raggi ultravioletti.

Consiste nell’applicare lo strumento sulla fronte o sullo sterno e nel leggerne il risultato.

La misurazione transcutanea non è influenzata né dal colore della cute, né dall’età gestazionale e postnatale. Richiede pochi secondi, non è invasiva ed è indolore. (14)

(18)

B-3 Liquido adesivo chirurgico – Asportatore di adesivo

Tale presidio è utile per fissare cerotti e medicazioni alla cute del neonato per periodi protratti e per ridurre l’utilizzo di suture. E’ molto impiegato perché agisce come protettore cutaneo riducendo così arrossamenti e irritazioni causati dall’adesivo di cerotti e bendaggi.

Evita estubazioni spontanee e/o accidentali, dislocamento di cateteri venosi, di aghi epicranici e di sonde oro-gastriche ed imprevisti cambi di medicazioni.

Questo perché tale presidio è in grado di fissare cerotti su capelli e lanugo, su cute oleosa ed in presenza di secrezioni (nasali, salivazione, diaforesi). E’ possibile applicarlo anche ai neonati collocati in termoculla ad elevata umidità.

B-4 Microprovette per la raccolta di sangue capillare

Semplice sistema per prelievo di campione di sangue capillare per eseguire:

- emocromo e gruppo sanguigno con microprovetta contenente EDTA K;

- elettroliti, bilirubina, enzimi, transaminasi, glicemia, creatinina, urea, proteine, amilasi con microprovetta contenente litioeparina.

Si può prelevare un volume totale fino a 300 µl grazie alla forma particolare del sistema.

Il volume di sangue prelevato è significativamente ridotto rispetto al metodo tradizionale; il tempo necessario per l’esecuzione della manovra è minimo e la procedura può essere eseguita da un singolo operatore.

CONCLUSIONI

La prevenzione e la riduzione del dolore nel neonato devono essere obiettivi primari da parte degli operatori sanitari. (15)

Viene fatto esplicito riferimento alla funzione palliativa dell’assistenza infermieristica nel D.M.

739/94; la legge 42/99 enuncia che l’infermiere in piena autonomia si attiva per “alleviare i sintomi” ed infine la legge 251/2000 sottolinea che l’infermiere svolge con autonomia professionale

“attività dirette alla prevenzione, alla cura ed alla salvaguardia della salute individuale e collettiva (…)”.

Sono stati dimostrati deficit neurologici, cognitivi, mnemonici e disordini comportamentali nei neonati pretermine sottoposti a ripetute ed intense manovre dolorose.

E’ doveroso quindi adattare l’assistenza infermieristica all’obiettivo di ridurre le esperienze dolorose del neonato, come presupposto per garantirne non solo la sopravvivenza, ma anche il suo benessere. E’ stato visto come ciò può portare ad un miglioramento del quadro clinico.

Accanto ai presidi farmacologici vi sono alcuni strumenti tecnologici di pertinenza infermieristica che possono svolgere, a questo proposito, un ruolo importante. La loro applicazione va

“personalizzata” in base alle esigenze ed alle caratteristiche personali del neonato stesso.

(19)

BIBLIOGRAFIA

(1) Moroni M., Il dolore nel nato pretermine, Università degli studi di Firenze Facoltà di Medicina e Chirurgia, Corso di perfezionamento “Assistenza Infermieristica in

anestesia, analgesia e terapia del dolore”, Firenze, Anno Accademico 2000/2001;

(2) Rivista Italiana di Nursing Pediatrico-Neonatologico, Neonatologica Infermieristica, Edizione Medico-Scientifiche, volume 5, Pavia, 1993;

(3) Rivista Italiana di Nursing Pediatrico-Neonatologico, Neonatologica Infermieristica, Edizione Medico-Scientifiche, volume 10, Pavia, 1998;

(4) Ivani G., Terapia del dolore nel bambino, SEE, Firenze, 2000;

(5) Legge 10 agosto 2000, n. 251;

(6) G.Cocchi “Embriogenesi ed anatomia dei centri del dolore e delle vie di conduzione”,

Isituto Clinico di Pediatria Preventiva e Neonatologia , Università degli Studi di Bologna

(7) Fitzgerald M. Developmentof pain mechanism. British medical Bulletin 1991

(8) Anand K.J.S. “Developmental character and long term consequences of pain in infants and children “1997.

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