• Aucun résultat trouvé

Qui, manca qualche cosa

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Partager "Qui, manca qualche cosa"

Copied!
12
0
0

Texte intégral

(1)

HAL Id: hal-01496765

https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01496765

Submitted on 26 Aug 2017

HAL is a multi-disciplinary open access archive for the deposit and dissemination of sci-entific research documents, whether they are pub-lished or not. The documents may come from teaching and research institutions in France or abroad, or from public or private research centers.

L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est destinée au dépôt et à la diffusion de documents scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, émanant des établissements d’enseignement et de recherche français ou étrangers, des laboratoires publics ou privés.

Maurizio Balsamo

To cite this version:

Maurizio Balsamo. Qui, manca qualche cosa. rivista notes per la psicoanalis, http://www.notesperlapsicoanalisi.eu/?p=667, 2016, pp.21-31. �hal-01496765�

(2)

Qui, manca qualche cosa

Maurizio Balsamo

In Amleto e i suoi problemi Eliot scriveva che il carattere problematico dell’Amleto di Shakespeare fosse dovuto alla mancanza di «correlativo oggettivo», ossia di «una serie di oggetti, una situazione, una successione di eventi che saranno la formula di quella particolare emozione; tali che quando i fatti esterni, che devono terminare in esperienza sensibile, siano dati, venga immediatamente evocata l’emozione [...] Amleto (uomo) è dominato da un’emozione che è inesprimibile perché è in eccesso rispetto ai fatti quali appaiono»1. L’interpretazione di Eliot, relativa a un eccesso

che non trova dicibilità e soprattutto una forma coerente nel testo, a un’e- mozione senza «correlativo oggettivo», appariva legata alla serie di testi teatrali, alla materia prima di altri autori che hanno preceduto l’opera di Shakespeare e che hanno trovato difficile collocazione in un tentativo che cercava evidentemente di riprenderli senza però riuscire a costruire un testo compiuto. E tuttavia la questione dell’eccedenza, che Eliot non casualmente reinvia a un lavoro per «patologi», segnala che il testo nar- rativo appare segnato da una faglia temporale, da una stratificazione di testi/eventi/discorsi che si sono succeduti, e di cui la stesura presente tenta, faticosamente, di rendere conto; oppure segnala che il pathos, atem- porale, transindividuale, transtorico, non trova incarnazione adeguata e dunque appercezione possibile in una figura capace di tradurre il ‘da sempre’ o ‘l’universale’ nel qui ed ora.

La questione potrebbe dunque divenire la seguente: in che modo l’al- terità del reale, del tempo, dell’orrore di cui Eliot medesimo parla, si iscri- ve o fallisce la sua iscrizione in un discorso, in un racconto, in un testo narrativo? Manca il correlativo oggettivo, scrive Eliot, così come manca

(3)

la lettera ‘e’ ne La scomparsa di Perec, la capacità di essere ascoltati in Se

questo è un uomo, in Primo Levi, o la traccia di un ricordo consapevole in Austerlitz di Sebald. Manca la capacità di narrare dopo la guerra, come

in Esperienza e Povertà di Benjamin, mancano le notizie, o ci sono solo notizie false, come osservava Marc Bloch, mancano i ricordi o i frammen- ti della propria storia, scrive Freud in Costruzioni in analisi. Qualcosa è scomparso dall’ordine del dicibile, del trasmissibile, del registrabile, e si mostra attraverso una cicatrice, un grumo che fa ostacolo al testo, alla sua comprensione, alla sua fluidità: un anacronismo, un déjà-vu che segnala il tentativo di fare fronte allo choc dell’evento, ma che segnala ad ogni mo- do l’eccesso (l’Überdeutlich freudiano), un indicibile che o non può essere compreso o appare solo in una serie oscura, complessa, di rimandi.

In Amleto o Ecuba, Carl Schmitt2 osserva che la parola drammatica, la

parola del testo di Shakespeare, nella fattispecie l’Amleto, si trova di fron- te a un’impasse, quella di (non) poter dire la realtà dell’evento storico (fra le altre cose, il ruolo della regina di Scozia Maria Stuarda, al centro di polemiche e dibattiti sul proprio ruolo nella morte del marito. Il dato storico infatti si riferisce al fatto, ben conosciuto dal pubblico inglese, che il marito della regina di Scozia, Maria Stuarda, fu assassinato dal con- te di Bothwell nel febbraio del 1566 e che nel maggio di quello stesso anno Maria Stuarda, con una certa e strana fretta, sposa l’assassino del marito). Evento che dunque figura, nell’ipotesi di Schmitt, come origine del testo medesimo. Il testo si trova di fronte a un eccesso (quello degli eventi storici contemporanei) che non può essere raccontato. Fra il testo e il reale c’è solo una possibilità d’incontro, l’irruzione, (dell’evento nel testo), la cicatrice (il segno dell’incontro). La qualità tragica dell’evento diviene così incognita nella dimensione teatrale (non segreta, ma nondi- meno non visibile) mentre è visibile nella sua dimensione pubblica (del pubblico che conosce gli antefatti e ne registra l’eco nel dispiegamento rappresentativo). In questo senso però, per Schmitt, non si tratta tanto di rappresentazione, ma di Spiel, di gioco, della registrazione involontaria della realtà incontrata, che non può dirsi direttamente e deve collocarsi, per così dire, in una sorta di nicchia attorno alla quale si dispiega una sorta di complessa trattativa fra il dire e il non poter dire, fra l’allusione e l’irruzione. La struttura testuale registra il fatto, modificandosi; ma essa stessa retroagisce sul fatto che non trova la sua comprensione adeguata, una volta inserito all’interno della struttura testuale, se non nel momento in cui può essere riconosciuto nella sua qualità cicatriziale. In questa pro- spettiva tuttavia non si tratta solo del gioco della censura, anche se è vero

(4)

che il testo può solo alludere, conservare sotto mentite spoglie (ma non troppo, pena la perdita della qualità tragica dell’autoreferenzialità) la sua allusione storica. Quello che appare difatti maggiormente in gioco è l’i- stituirsi di una necessaria dissimulazione perché possa darsi una struttura testuale. In altri termini: solo partendo dalla possibilità (o dalla necessità, che spesso risulta essere il lievito appropriato per dispiegare il pensiero) di una trascrizione, di un linguaggio di quell’esperienza, di un racconto di quel reale − in breve di un rinvio traduttivo − possiamo correre il rischio di un incontro con l’altro, in qualunque forma esso si presenti. Si tratta, beninteso, di reperire o di immaginare (ma le due funzioni non sono an- tinomiche) la qualità cicatriziale di quest’origine che irrompe nel testo, piegandolo alla sua necessità. Come scrive Schmitt, la realtà storica in- cide sul testo letterario dell’Amleto attraverso «fuggevoli allusioni, veri e propri rispecchiamenti e autentiche irruzioni»3. E il punto più alto del

rapporto fra reale storico e Spiel, il gioco del dramma, appare nel teatro nel teatro che ha luogo nel III atto dell’Amleto:

non solo [esso] non è uno sguardo dietro le quinte, ma, al contrario, è lo spettacolo stesso, per una volta davanti alle quinte. Ciò presuppone la presenza di un fortissimo nucleo di realtà e attualità. In caso contrario, infatti, il raddoppiamento renderebbe il gioco del dramma ancora più te- atrale, sempre più inverosimile e artificioso: un dramma sempre più falso [...] soltanto un fortissimo nucleo di attualità sopporta la doppia messa in scena di un teatro dentro il teatro4.

Il raddoppiamento, il rimando dello spazio teatrale a sé stesso riesce dunque a fondarsi solo mediante il grumo di reale che dà forza, soste- gno a quella narrazione che si troverebbe allora privata della sua verità storica. Questo non implica necessariamente la tesi che (solo) il passato illumini un testo. È altrettanto vero che un presente indicibile troverà raffigurazione e trascrizione in un evento del passato che appare allora consegnato al futuro del soggetto, tradotto ma − ed è il punto rilevante − non risolto per questo al suo solo presente.

Avrò avuto forse cinque anni. Una sera, ero già a letto – scrive Benjamin in Infanzia berlinese − comparve mio padre. Venne per darmi la buona notte. Fu forse in parte contro la sua intenzione che mi diede la notizia della morte di un cugino. Era un uomo un po’ in là con gli anni, privo di in- teresse per me, con il quale non avevo quasi contatti. Mio padre tuttavia mi diede la notizia con tutti i particolari. Mi spiegò, su mia richiesta, cosa fosse un colpo apoplettico, e non la smetteva più di parlare. Di tutto quel

(5)

gran discorrere io non ritenni molto. Assai chiaramente, invece, di quella sera mi rimasero impressi la mia camera e il mio letto, come quando si fa attenzione a un luogo, in cui si ha il presentimento che un giorno si dovrà tornare a prendere qualcosa di dimenticato. Solo dopo molti anni capii che cosa. In quella stanza mio padre mi aveva taciuto una parte della sto- ria. Quel cugino infatti era morto di sifilide5.

Potremmo dire che il passato che irrompe nella scena analitica è esat- tamente questo, non tanto o non soltanto ciò che è stato, la serie più o meno ampia degli eventi di cui serbiamo memoria, i racconti che ci sono stati fatti, le scene che ci hanno colpito nella loro qualità di exemplum, atte a costruire, a partire da esse, schemi e teorie infantili ma, ben più sostan- zialmente, ciò che non accadde, ciò che è rimasto in giacenza, incompiu- to, residuo del dire e del senso che non ha trovato, allora, dicibilità, rap- presentazione, comprensione, condivisione. In quel tempo, qualcosa si è depositato, come oggetto, significazione, discorso enigmatico, o reso tale dal ritorno del soggetto su quel sovrappiù contenuto come traccia di un occultamento, percepito comunque dall’infans attraverso la ‘stranezza’ di un discorso che segnala dei resti a cui tornare. Qualcosa, un annuncio di morte o un annuncio del sesso come morte, un segreto comunque ver- gognoso, fa irruzione attraverso il non detto, coperto, come scrive Benja- min, da «tutti i particolari della storia».

Questo eccesso di particolari non può non far pensare al celebre baro-

metro di Flaubert analizzato da Barthes6, relativo cioè alla quantità di in-

dizi apparentemente insignificanti depositati nel testo narrativo che han- no come unico scopo quello di istituire il realismo e la verità del racconto, determinando per l’appunto un «effetto di reale». E tuttavia, il tentativo di convinzione, la prova della verità del detto, posta dal finto discorso ricco in particolari, lascia dietro di sé dei residui, «la sensazione di un dover tornare in quel luogo per prendere qualcosa di dimenticato». Non a caso Benjamin, in quel frammento, analizza il doppio senso del déjà-vu: come rapimento verso il passato, a cui il presente farebbe solo da eco e, soprattutto, come futuro dimenticato presso di noi. È questo futuro in giacen- za che fondamentalmente riappare nel presente anacronico del transfert. Se il ‘ritorno’ in quella camera permette la reviviscenza delle rappresen- tazioni sepolte, se essa permette la risorgenza delle percezioni registrate e impensate, ma non per questo inattive, è grazie a ciò che una frase, un comportamento, uno sguardo, un movimento, un evento, un accadere, depositano nell’ascolto dell’infans, e che si riattivano nel presente che isti- tuisce − col ritorno, grazie al ritorno − un’assonanza, creando, eventual- mente, un déjà-vu. Allo stesso tempo, però, il ritorno è carico di presagi:

(6)

nel passato si deposita l’eccesso del presente, il traumatico che accade e che trova in quella dislocazione, in quel rimando, anche un modo per sfug- gire ad esso, definendo il primo e più usuale modo di pensare al déjà-vu.

Tuttavia, nel passato giace anche un futuro che avevamo dimenticato e che attende che andiamo a raccoglierlo, una direzione inesplorata, un tempo e una soluzione che non abbiamo percorso e che resta in giacenza, in attesa di un ricevente, di una figura capace di accoglierli, tradurli, pen- sarli. Il presente si fa carico allora, attraverso un rimando di traumi o di eventi che però dialogano a distanza attraverso connessioni e assonanze, di leggere ciò che accade, di tessere un legame con il tempo trascorso, di raccogliere dal passato un’anticipazione destinale, oppure, una promes- sa. In questa oscillazione si gioca il diverso esito di un trauma.

Quell’assonanza rinvia a molte cose: all’annuncio della morte e all’an- ticipazione della morte del padre di cui il ricordo è in qualche modo la conferma, alla questione di un sessuale proibito e dalle conseguenze ne- faste (nello spostamento dal basso verso l’alto che si realizza nel colpo apoplettico), alla commistione che il tempo presente di Benjamin realizza- va fra sifilide e ebraismo, sia nel senso medico che nel senso ideologico antisemita, del tempo cioè dei pamphlet e dei discorsi in cui si poneva un rapporto fra ebraismo e sifilide, dell’ebreo portatore del morbo, origine delle epidemie e delle degenerazioni, introduzione del sangue malato nel popolo tedesco. Cura e malattia qui finiscono curiosamente per coincide- re: ebrei sono gli untori, ebrei sono i medici che si occupano di sifilide. Basti pensare che erano ebrei Wasserman (il cui test identifica ancora oggi il contatto con la malattia), Paul Ehrlich, batteriologo, che introdusse il Salvarsan per trattare il morbo, Neisser che iniettò un siero di sifilide a giovani prostitute nella speranza – poi risultata catastrofica e origine essa stessa di nuove accuse sull’ebreo untore − di immunizzarle. Del rapporto fra sifilide ed ebraismo parleranno con insistenza tutti i testi antisemiti a riprova della contaminazione e della malattia trasmessa da esso7. Ora, se

il futuro giace in una frase, ed è in attesa di una traccia del presente per essere risvegliato, quale migliore richiamo di una accusa che identifica i due termini, cultura e morbo, riattivando, in eco, quella consegna segreta affidata dal padre all’infans? Ecco allora che il presente si riverbera sul passato ed estrae da esso ciò che può allora iscriversi per similitudine, analogia, affinità, nel presente stesso, determinandone la sua natura di tempo composito. Il presente finisce per narrare molte più cose di quanto si possa pensare a un’osservazione ingenua, rinvia a un segreto fami- liare indicibile eppure alluso, a una consegna di un messaggio incerto sull’ebreo; rinvia al sesso, a ciò che occorre evitare o che forse non si può

(7)

evitare; a dei discorsi antisemiti che caratterizzano il nesso fra l’ebreo e la sifilide, al suo destino storico di capro espiatorio, al rapporto fra la came- ra dei bambini e il segreto sulla sessualità; alla morte del proprio genitore che si fa strada nell’annuncio della morte del cugino, nella comprensione che in ogni segno mnestico albergano, insieme, il passato che ghermisce e il futuro in giacenza e altro ancora... Potrebbe, da questo punto di vi- sta, essere il solo presente il tempo della psicoanalisi? Potrebbe − la cura analitica − fare a meno della dimensione storica? O dobbiamo pensare che il tempo sia presente nella cura solo quando pensiamo al trauma, come se solo il traumatico potesse rendere conto della natura composita dell’apparato psichico, come se solo di fronte al trauma si potesse dire: qui c’è un eccesso, un indicibile, un rimando complesso a una storia che si fa segno, indice, memoria, destino, lettura di un futuro oscuro e a cui si può solo alludere? E, ancora, che legame istituire fra il rimosso di una storia, di un racconto, e l’emersione di quel rimosso nella storia recente dell’adulto Benjamin alle prese con discorsi che rinviano a quella colpa, o a un’accusa, a un nesso identitario, in una sorta di collasso di tempi fra presente e passato che definiscono per l’esattezza lo choc dell’evento traumatico? Ecco perché Benjamin inizia il suo testo parlando di choc e di passato-futuro del già visto. «Lo choc – scrive − è una parola, un fruscio o una vibrazione, ai quali è stato conferito il potere di rapirci nel gelido avello del passato… strano che nessuno si sia soffermato sull’altra faccia di questo rapimento… il futuro che essa dimenticò in noi».

La colpa della sifilide è già vista perché rinvia al racconto d’infanzia; allo stesso tempo, quella colpa rimasta silenziosa determina l’appercezio- ne del presente; quel segreto impone di ritornare ad esso e quel ritorno però non si iscrive solo nel gesto di ricevere un già là, esso esprime la possibilità di tradurre diversamente un lascito e questa possibilità riceve a sua volta linfa dal presente traumatico che parla di qualcosa che allude, di nuovo, a un indicibile, a una colpa originaria dell’ebreo, quello di es- sere il morbo della cultura.

Il presente insomma non è mai puro: in esso si deposita il passato rimasto mai detto, organizza la ripetizione del passato per riattraversa- re questo non detto, prepara la via di una differente soluzione, oppure esprime in modo allucinatorio la colpa originaria che ora difatti appare nel reale di un’accusa pubblica. Il presente è un montaggio di tempi. Attra- verso questa immagine Benjamin oppone così, alla temporalità storica lineare, il ritorno del rimosso della storia che appare allora nel tempo fulmineo di un’immagine nel tempo presente. L’immagine, quella della

(8)

dei tempi, di una costellazione di immagini che passano in essa, l’attra- versano, la parlano, la infettano: personifica la coalescenza del passato, del presente e del futuro, per dare spazio, per l’appunto, alla voce dei morti, del cugino del padre, del padre di Benjamin e di tutti i morti che la storia dei vincitori o delle rappresentazioni che l’io costruisce, hanno lasciato dietro di loro. In questa infezione che occorre tacere si manifesta l’infezione del tempo, dei tempi, ad opera di ciò che non si cancella; lo choc esprime la possibilità che gli spettri rimasti in giacenza riprenda- no vita per terminare il loro compito. Come sopravvivenza del tempo nel presente, assume pertanto caratteristiche eterocroniche (relative cioè all’eterogeneità dei tempi) e anacroniche (relative alla dimensione di rin- vio al tempo passato, nella loro dimensione dunque anamnestica).

Di questa stratificazione, Sebald, in Austerlitz, scrive:

Se davvero Newton riteneva che il tempo fosse un fiume come il Tamigi, dov’è allora la sorgente del tempo e in quale mare esso sfocia alla fine? Perché in un certo luogo il tempo è eternamente immobile e in un altro scorre veloce e incalzante? Non si potrebbe sostenere, disse Austerlitz, che il tempo stesso, per i secoli e i millenni, è rimasto asincronico? [...] L’essere fuori dal tempo, − disse Austerlitz − che sino a pochi anni fa valeva per le zone arretrate e dimenticate nel proprio paese più o meno come in pas- sato era valso per i continenti transoceanici non ancora scoperti, è tuttora valido persino in una metropoli fondata sul tempo come Londra. [Ho spe- rato] che tutti i punti temporali potessero essere simultaneamente gli uni accanto agli altri, cioè che nulla di quanto racconta la storia sia vero, che quanto è avvenuto non sia ancora avvenuto, ma stia appunto accadendo nell’istante in cui noi ci pensiamo, il che naturalmente dischiude peral- tro la desolante prospettiva di una miseria imperitura e di una sofferenza senza fine8.

Che il tempo porti con sé la traccia delle distruzioni che esso trasporta e, accanto ad esse, si ponga la straordinaria situazione di qualcosa che si realizza ora, mentre ne parliamo, esprime, per Sebald come per un analista, esattamente la natura allucinatoria dello psichico, che trovia- mo espressa nel funzionamento associativo. Grazie ad esso, si realizza lo sfilacciamento del tempo unico e la possibilità di dare spazio, ascolto, testimonianza alle altre traiettorie psichiche rimaste inesplorate, al non realizzato nella vita di ciascuno di noi.

Probabilmente è per questo motivo che André Green scrive, in Illusioni

e disillusioni del lavoro psicoanalitico, che la vera differenza fra psicoterapia

(9)

me-no del divame-no, ma nella capacità, della psicoanalisi, di generare una po- tenzialità di ramificazione delle reti discorsive e rappresentazionali del soggetto che si espandono dunque in una esplorazione della relazione intersoggettiva, in un ritorno su di sé e all’intrapsichico. Se, in effetti, il processo analitico si istituisce non tanto nell’operazione di memorizza- zione, di ritrovamento di una memoria perduta, quanto nella conquista

della temporalità, della possibilità di accedere a un tempo altro, di disin-

carnarsi dal tempo della ripetizione e di aprire al futuro, costruendo in tal modo la categoria del passato, appare evidente la necessità – come sottolineava Laplanche − del riconoscimento di un duplice transfert all’opera nel processo psicoanalitico: un transfert nel pieno (inteso come la dimensione di ripetizione/ripresa delle vicende, simbolizzate e non, della storia del paziente) e un transfert nel vuoto (inteso come la ripresa di quell’infantile della coppia capace di far germinare nuove possibilità di rappresentazione e di affettivizzazione)9. Non tanto nel senso di una

giustapposizione o di un doppio tempo del processo, o di una parteci- pazione equanime delle doppie esigenze: non cambiare nulla/cambiare tutto, quanto invece nell’assunzione che è solo disponendosi alla ripetizione che può sorgere lo spazio per una modificazione della stessa. Potremmo anche dire che non può esservi regressione fertile del paziente se non c’è la disponibilità dell’analista a regredire e a intraprendere a sua volta la via regrediente. Questo aspetto implica per l’appunto la disponibilità dell’analista ad accogliere i molti tempi presenti nella vicenda analitica, riflettendo sulla diversità dei modelli teorico-clinici, che si articolano sul- la possibilità della regressione e della ramificazione temporale che ogni atto in seduta necessariamente possiede, o invece prevalentemente sul qui ed ora. E tuttavia, come sto cercando di proporre, la costruzione di una dimensione teorico-clinica psicoanalitica tutta giocata su presente, non vedrà il déjà-vu che nella sua prima accezione, quella forse più ele- mentare, come difesa del tempo presente, uno stilema narrativo di ciò che accade, ora, qui, fra noi, cancellando la questione dei futuri depositati nel tempo passato e congelati dal trauma.

In questi termini, se il ‘mai stato’ deve trovare posto e dicibilità, oppu- re ossessiona il tempo presente, come gli infiniti sintomi nei personaggi malati di memoria nei romanzi di Sebald, possiamo parlare solo di pre- sente o non dovremmo invece riconoscere la differenza fra esso e il tem- po dell’attualizzazione? Non confondiamo forse, continuamente, anche nell’esperienza analitica le due dimensioni?

(10)

rinvia a qualcosa d’altro, in un altro tempo e un altro spazio. Ogni elemen- to della situazione analitica è altamente marcato da questa attualizzazione e, a questo titolo, sembra molto presente [...] mi riferisco al passato [...] ma non parliamo di un passato strettamente storico né del tempo presente della relazione: un altro luogo ed un altro tempo possono riguardare an- che il futuro o provenire da un fantasma10.

Ciò che si determina nel rapporto fra un paziente e un analista, osser- va ancora Green,

è un processo storico in cui si tratta la maniera in cui la storia si costitu- isce in una persona: come questa lavora, come questa diviene efficace. Piuttosto che di parlare di ritrovare la memoria, sembrerebbe che nella relazione psicoanalitica si sia a volte testimone di qualche cosa di storico, come quando, essendo stato testimone di certi eventi, si ha il sentimento che qualcosa di storico si produce nel presente. Per la psiche, lo storico può essere definito come una combinazione fra:

- ciò che è accaduto; - ciò che non è accaduto;

- ciò che sarebbe potuto accadere;

- ciò che è accaduto a qualcun altro ma non al paziente; - ciò che non sarebbe potuto accadere.

Per riassumere, si tratta di una combinazione di cui non si sarebbe nem- meno sognato per rappresentare ciò che è realmente accaduto [...] Il mio riferimento al sogno “ciò che non si sarebbe nemmeno sognato”, faceva allusione a ciò che chiamo il negativo [...] Il sogno appare qui come il ne- gativo dell’evento [...] nel senso che la situazione o l’evento non può es- sere compreso immediatamente o direttamente, ma solo all’inverso, nella situazione trasformata alla quale il sogno ci permette di assistere11.

Lo storico così inteso non appare caratterizzato solo dalla realtà degli eventi accaduti, ma da un piano che si interseca col negativo dello stes- so, relativo sia al non accaduto che al campo potenziale e fantasmatico, con una dimensione intersoggettiva o testimoniale (ciò che è accaduto ad altri e di cui siamo magari i depositari), con l’impossibile della storia e con l’assenza di una dimensione trascrittiva della storia stessa. Come potremmo cogliere il negativo dell’esperienza umana e il negativo delle operazioni psichiche, se ci limitassimo a una concezione ingenua della psicoanalisi per cui non interessarsi alla storia significa che non ci inte- ressiamo più a ciò che accadde, o se ritenessimo, come nella narratologia psicoanalitica, che ciò che accadde è solo un racconto del presente? Po- tremmo mai comprendere questo frammento autobiografico di Sebald?

(11)

Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una zona che si estende lungo il margine settentrionale delle Alpi, zona largamente risparmiata dalle im- mediate conseguenze delle cosiddette operazioni militari. Alla fine del- la guerra avevo appena un anno ed è quindi difficile che, di quell’epoca segnata dalla distruzione, io possa avere serbato impressioni fondate su eventi reali. Eppure ancora oggi, quando guardo fotografie o documentari del periodo bellico, ho come la sensazione di esserne il figlio, come se di là, da quegli orrori che non ho vissuto, cadesse su di me un’ombra alla quale non potrò mai sfuggire del tutto12.

Qui il passato appare come ombra che tocca, infettandolo, il presente; allo stesso tempo però indica, in questa ripresa, la commistione fra ciò che continua ad accadere e ciò che accadde. Non mi sembra pertanto necessa- rio essere costretti a scegliere tra un soggettivismo estremo (identificabile come attività poetica-narrativa dell’analista) e il ricorso a un irrappresen- tabile che tuttavia fonda il nostro divenire, fra il sogno e il segno dell’ori- gine, di un resto al di là di ogni nostro discorso, capace di trascinarlo via dalla banalità del suo esistere, dandogli una consistenza trans-storica. In altri termini, si potrebbe così esprimere il paradosso analitico: quello di essere la produzione di un nuovo testo che cerca di indicare, nella sua stessa consistenza, il grumo di reale che lo muove, l’oggetto attorno a cui la narrazione si snoda, la spirale si distende.

In questo senso, come scrive Sebald ne Gli anelli di Saturno13, «oggi

mentre vado concludendo queste mie note, è il 13 aprile del 1995. È gio- vedì santo [...] Lo stesso giorno, esattamente trecentonovantasette anni fa, Enrico IV promulgò l’editto di Nantes; duecentocinquantré anni fa fu eseguito per la prima volta, a Dublino, l’oratorio di Hendel Il Messiah [...] e sessantaquattro anni fa ebbe luogo il massacro di Amritsar, allorché il generale Dyer, per dare l’esempio, fece aprire il fuoco su una folla insorta di quindicimila persone».

(12)

Note

1 T.S. Eliot, Opere 1904-1939, Bompiani, Milano, 2001. 2 C. Schmitt (1956), Amleto o Ecuba, Il Mulino, Bologna, 1983. 3 Ivi, p. 64.

4 Ivi, p. 86.

5 W. Benjamin, Infanzia berlinese, Einaudi, Torino, 1973, pp. 37-38. 6 L’effet de réel, in “Communications”, 1968.

7 Cfr. J. Geller, Le péché contre le sang: la syphilis et la construction de l’identité juive, in “Revue germanique internationale”, 5, 1996.

8 G. Sebald (2001), Austerlitz, Adelphi, 2002, pp. 113-114.

9 Cfr. J. Laplanche (1987), Nuovi fondamenti per la psicoanalisi, Borla, Roma, 1989.

10 A. Green, L’expérience et la pensée dans la pratique psychanalytique, in Jouer avec Winnicott, PUF, Paris, 2005, p. 70.

11 Ivi, pp. 68-69.

12 W.G. Sebald (1999), Storia naturale della distruzione, Adelphi, Milano, 2004, pp. 74-75. 13 W.G. Sebald (1995), Gli anelli di Saturno, Adelphi, Milano, 2014, p. 305.

Références

Documents relatifs

Goffrato verde Embossed green Gaufré vert Lacado verde Goffrato Cedro. Embossed lime green Gaufré vert Cédrat Gofrado verde Cedro

7 Il n’est pas question ici de proposer une définition de la composition ou de se ranger du côté de telle ou telle école; le processus qui mène d’un groupe syntaxique récurrent

4) Ieri sono stato in campagna a casa di amici che non vedevo da molto tempo ed ho trascorso una giornat …… meraviglios ……… e indimenticabil…... A. preferisco sono

In questo caso spesso la conoscenza del segreto viene distribuita tra un numero considerevole di persone, molte delle quali non esercenti la professione sanitaria

Un aumento della BR coniugata è conseguenza di una riduzione del flusso biliare ( colestasi ) e ciò si può verificare per lesione della cellula epatica o

La villa de Laguna de Negrillos, con su alfoz, fortificaciones y morfología urbana, ejemplifica de manera muy expresiva la evolución -muy generalizada en el norte peninsular- de

En España encontramos un precedente a esta práctica en el blog Kuentalibros[https://goo.gl/DMM8bp] uno de los proyectos colaborativos más destacados durante los

Son varios los lugares de hábitat que cono- cemos dentro de esta cronología que están dotados de espacios funerarios en los que se documentan diversas tipologías de inhuma-