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Siamo dunque arrivati a stabilire che Romanzo Criminale è una manipolazione della Storia, da cui sono selezionati i soli elementi che permetteranno all’autore di raccontare la realtà, interpretandola e drammatizzandola. Il verbo drammatizzare non è impiegato a caso: il grande successo mediatico che Romanzo Criminale continua a riscontrare in tutto il mondo dimostra infatti che la prosa decataldiana, per le voci e gli scenari che evoca, dialoga naturalmente con il cinema. La violenza regna sovrana in molteplici forme: dalla rissa, all’assunzione di droga, al rapimento, alle torture più crudeli, all’omicidio doloso, poi al sesso sfrenato e allo stupro. Lo scrittore e il regista si soffermano con dovizia di particolari nella rappresentazione degli atti più scabrosi al fine di soddisfare le aspettative del lettore-spettatore contemporaneo, per il quale sangue, intrigo e azione sono fonte di adrenalina e di svago. In questo, De Cataldo e Camilleri13 condividono la stessa reverenza per il pubblico di destinazione delle loro opere letterarie, poi adattate per il teatro o il cinema.

“Non scriveremmo mai una cosa che, da lettori, ci annoierebbe.” afferma Giancarlo De Cataldo in un’intervista di Nino G. D’Attis, “ciò ci impone di scrivere dei temi che noi per primi sentiamo come i più avvincenti. Ne deriva, giocoforza, una costante attenzione all'Italia com'è oggi, alle sue mutazioni, e, paradossalmente ma non tanto, una ricorrente ossessione per la 'memoria storica' nel senso che dicevo prima: non come nudo elenco di fatti, ma come Mito che quei fatti consegnano a

13 “Il teatro senza spettatore non è niente, così come il libro senza lettore non è nulla” Camilleri in: Intervista di Gambaro, F., Grande festa a Tindari, pubblicato su Diario della settimana l’8 marzo 2000, consultabile al seguente link:

http://www.vigata.org/rassegna_stampa/2000/Archivio/Int09_Cam_mar2000_Diario.htm (consultato il 14 febbraio 2019)

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una visione unificatrice. In definitiva, non scriviamo per noi stessi, ma per essere letti possibilmente dal maggior numero possibile di lettori.”14

Dalle parole di De Cataldo traiamo la conclusione che la letteratura odierna (di cui Romanzo Criminale diventa, in questa sede, il simbolo distintivo) si afferma al tempo stesso in quanto letteratura di testimonianza e letteratura di intrattenimento. Secondo gli studiosi, questo fatto è attribuibile all’uso della “Rete che ha modificato [tra le altre cose] il quadro della ricezione letteraria e il sistema di attese dei lettori” (Dardano 2014: 363). Quindi, oggi, la rappresentazione della violenza non solo non è più tabù, ma anzi, risulta estetizzata in opere letterario-cinematografiche che indulgono volutamente all’eccesso e stimolano, in maniera più o meno immaginativa, la reazione del pubblico. Con le dovute differenze, la lettura e la visione diventano una vera e propria esperienza sensoriale ed emozionale tramite cui veniamo risucchiati dalla trama attraverso le scene che vediamo e sentiamo o ci figuriamo di vedere e sentire.

Ovviamente, la plasticità delle immagini perderebbe di efficacia se non fosse associata a una pari asprezza sonora e, in maniera ancora più rilevante, verbale. In altre parole, il realismo passa anche attraverso una lingua che non è mai avulsa dal contesto. Limitandoci a considerare il lato letterario del ragionamento fatto finora (i cui legami con il teatro e il cinema risulterebbero palesi anche a un occhio profano), di nuovo, Romanzo Criminale è un esempio rilevante, poiché rientra in quella categoria di opere letterarie che cercano di riprodurre il parlato quotidiano. Una scelta, questa, dettata da un fine che è assimilabile al duplice obiettivo dell’opera generale: la volontà mimetica di rappresentare verosimilmente la realtà colliderebbe con la piattezza e ripetitività dell’italiano standard che si colora invece di tratti diatopici, capaci di ritrarne l’estrema espressività.

Come vedremo più nel dettaglio nel capitolo dedicato alla lingua di De Cataldo, sulla base di un approccio dialettico con il reale, l’autore dà vita a una lingua che non si adagia sulla norma ed è contaminata da un “romanesco bastardo” marcato in diacronia15. E dove può manifestarsi con maggior vigore la carica espressiva di un italiano regionale se non nei dialoghi e nell’uso generalizzato del discorso indiretto libero? Nel libro di De Cataldo, non a caso, la demarcazione tra

14 Gambaro, F., Grande festa a Tindari, pubblicato su Diario della settimana l’8 marzo 2000, consultabile al seguente link: http://www.vigata.org/rassegna_stampa/2000/Archivio/Int09_Cam_mar2000_Diario.htm (consultato il 14 febbraio 2019)

15 “Può dirmi qualcosa a proposito del suo lavoro sulla lingua, sulle espressioni gergali dei personaggi?

Si parla, in questo libro, un romanesco bastardo figlio della mutazione antropologica indotta dal boom degli anni Sessanta, dalla TV, dal segmento fenomenico (espressione verbale) di quella che Pasolini chiamava l'omologazione culturale delle classi.” Giancarlo De Cataldo in: Intervista di D'Attis, N. G., Intervista a Giancarlo De Cataldo, pubblicato su BlackMailmag il 10 gennaio 2003, consultabile al seguente link:

http://www.blackmailmag.com/Intervista_a_Giancarlo_De_Cataldo.htm (consultato il 14 febbraio 2019)

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componente dialogica e componente narrativa non è definita. Se i dialoghi danno voce al romanesco, questo influenza il corretto eloquio della voce narrante che risulta corrotto da evidenti strascichi di oralità. La lingua spuria si esplica così in una narrazione che, per l’abbondanza delle varietà, degli stili e dei registri in continua alternanza, è ideale per ricreare con l’inchiostro i paradossi di una storia che romanza quella reale e riproduce le molteplici sfaccettature dell’espressività italiana. In Romanzo Criminale, infatti, è anche grazie alla lingua che il materiale narrativo, che si barcamena tra la corruzione più abietta e la cieca violenza, si colora inaspettatamente delle più svariate tinte emotive, che vanno dall’ira, al rancore, alla vendetta, poi al rimorso, alla malinconia e imprevedibilmente, persino all’affetto, all’amore, all’allegria e all’(auto)ironia seppur spesso macabra e amara.

In altre parole, Romanzo Criminale è la sintesi di ciò che avviene nel panorama letterario (e cinematografico) postmoderno. Lo spirito odierno di aderenza al reale è stemperato dalla tendenza paradossale e contraddittoria a raccontare un avvenimento tragico e cruento attraverso l’espediente narrativo dell’ironia. Per tutto il romanzo i contenuti osceni sono associati a un turpiloquio romanesco truce, articolato, sbraitato, ma a volte anche simpatico, che non è fine a se stesso e produce un doppio effetto perlocutorio nel lettore consapevole e accorto: entusiasmarsi e sogghignare dinanzi a situazioni raccapriccianti, o ridere, suo malgrado, di circostanze in cui la violenza provoca dolore, suscitano in lui un senso di sgomento. Da un lato, percepisce come il confine tra ciò che può essere considerato arte e ciò che può provocare sdegno sia stato ridefinito, proprio perché l’arte immerge le mani nella carne viva della realtà; e dall’altro intuisce la mostruosa verosimiglianza di una storia che, stando a quanto detto dallo stesso De Cataldo16, è falsa ma plausibile.

16 “L'errore di fondo sta nel considerare Romanzo Criminale come una storia della Banda della Magliana […]”: “[…]

un romanzo poliziesco anche se è ispirato alla realtà, è sempre finzione, trasformazione. È sempre metafora della realtà.”.

Giancarlo De Cataldo ha ribadito in numerose interviste (incluse quelle da cui ho tratto le citazioni qui sopra, rintracciabili, rispettivamente, a questi due link https://goo.gl/BfVuRh, https://goo.gl/oLPesA) che la storia della Banda della Magliana da lui raccontata è solo una sua interpretazione azzardata dei fatti, volta a riattivare la memoria storica e il senso critico del pubblico che teme il confronto con un passato di enigmi irrisolti ancora ricordati con angoscia.

Tuttavia, numerosi sono gli articoli e gli studi che alludono ad un legame tra Romanzo Criminale e la verità storica: un legame più stretto di quanto l’autore del libro non voglia e non possa ammettere. Questa tesi è alimentata dal fatto che De Cataldo è un giudice e quindi, in quanto tale, avrebbe avuto accesso a documenti che ad altri sarebbero stati preclusi.

Il mezzo indiretto della narrativa avrebbe consentito di rivelare al mondo la verità mancante su rapporti occulti tra Stato e Antistato, facendo appello al senso critico dei lettori, invitati ad immaginare possibilità alternative oltre a quelle divulgate dai giornalisti o trasmesse alla televisione. Il fatto che la manipolazione e il nome letterario di certi personaggi di punta del romanzo (come il Libanese, il Dandi, il Vecchio, Zeta e Pigreco) non impediscano di risalire all’identità di individui veramente esistiti, aiuta ad alimentare questi dubbi.

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È in virtù di questa biunivocità che ci accorgiamo che la trivialità verbale tanto ricercata da De Cataldo non può essere solo apprezzata o meno, poiché ricopre un ruolo fondamentale nella storia in cui è diluita. Nostro interesse non sarà quello di alimentare il dibattito ancora oggi aperto sul rapporto tra realtà e finzione in Romanzo Criminale, ma di chiarire quale sia il ruolo della lingua fortemente marcata in senso diatopico, in un’opera che desidera accrescere la verosimiglianza di ciò che racconta. La verosimiglianza tanto ricercata da De Cataldo ha a sua volta un doppio fine. Da un lato, intende stimolare la sensibilità storica dei lettori, perché sappiano che l’attuale sfiducia verso la classe dirigente italiana deriva, storicamente, da un vuoto etico che ha accomunato (e forse continua ad accomunare) la malavita e gli apparati statali. Dall’altro, ha l’ambizione di liberare tutta la potenza espressiva della comicità all’italiana che si contraddistingue per il suo sorridente pessimismo: la capacità di provocare il riso anche in situazioni amareggianti.

Sulla base di quanto illustrato finora, apparirà sicuramente chiara l’importanza che il sottofondo storico riveste nella definizione della trama di Romanzo Criminale, i cui intrecci possono essere compresi solo da coloro che conoscono gli avvenimenti principali degli anni di piombo. Questi, infatti, non sono mai citati in maniera esplicita, ma percepibili solo al negativo, poiché diluiti nelle gesta romanzate della Banda della Magliana. Ecco perché a un inquadramento letterario deve fare seguito il seguente capitolo sull’inquadramento storico.