Tuttavia, questa stessa teoria, che così decisamente esclude la tutela di condanna nei confronti di determinati diritti e, precisamente dei diritti reali, - con ciò negando che la sentenza inibitoria, in quanto non suscettibile di esecuzione forzata, sia da qualificarsi come condanna piuttosto che come mero accertamento- sembra lasciare aperto un margine, ancorché angusto, laddove afferma che l’inammissibilità di un processo di condanna nei confronti di diritti a contenuto negativo sia in massima parte determinata per il fatto che “nel diverso da quello dell’accertamento dell’illiceità, si finisce per incorrere in almeno due conseguenze aberranti. Prima di tutto, si dovrebbe affermare che un comportamento illecito non è inibito in concreto se il giudice non pronuncia l’ordine di cessarlo e di non ripeterlo. In secondo luogo, poiché in ipotesi la sentenza di mero accertamento dell’illecito non potrebbe avere valore di inibitoria, si dovrebbe concludere che il convenuto, rimasto sconfitto nel processo, non ha l’obbligo di cessare di compiere atti illeciti dello stesso tipo di quelli accertati.” E ancora: “non può dunque dubitarsi che l’inibitoria definitiva, intesa come ordine giudiziale di astenersi da un comportamento antigiuridico, abbia il medesimo contenuto normativo dell’accertamento dell’illiceità di quel comportamento”, e infine, p. 45: ”le due pronunce (inibitoria e accertamento) non possono essere distinte né sotto il profilo del contenuto, né sotto quello della forma e quindi degli effetti giuridici”. Al riguardo, occorre considerare che, sebbene la sentenza inibitoria non possa per sua natura dar vita all’esecuzione forzata, esistono, tuttavia, mezzi che la rendono indirettamente coercibile e tali mezzi sono stati legislativamente previsti fin da tempi remoti, proprio nella materia del diritto industriale (si leggano, infatti, gli artt. 66 R.D. 21 giugno 1942, n. 929, e l’art. 86 R.D. 29 giugno 1939, n. 1127). Contra, F RIGNANI A., Op. cit., p. 578, “non si può identificare l’azione inibitoria (o in cessazione) con quella di accertamento. A ciò osta il fatto che il legislatore le menziona una accanto all’altra nella medesima fattispecie, dal che se ne dovrà dedurre la cumulabilità e non l’assimilabilità” e ancora: “da un punto di vista sistematico, le due azioni hanno presupposti, natura e finalità troppo diverse per poter essere sussunte l’una nell’altra”.
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