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Perché emerge la resistenza a cambiare i tratti dell'identità organizzativa?

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Academic year: 2022

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Paper # 3/2005, September 2005*

PERCHÉ EMERGE LA RESISTENZA A CAMBIARE I TRATTI DELL’IDENTITÀ ORGANIZZATIVA?

Laura Illia is researcher at the Institute for Corporate Communication (ICA). After having concluded the Executive MSCom, Master of Science in Communciations Management, she is currently following the PhD course Programme in Business Studies and Communication as well as working on her Phd under the supervision of Francesco Lurati. In 2003 she graduated at the Executive MSCom, Master of Science in Communciations Management. In 2000 she got her degree in Communciation Science at the University of Lugano. Her master thesis won in 2001 the "Angelika Meyer Terlizzi Award" awarded by the Swiss Italian chapter of the Swiss Public Relations Society (SPRG) and in 2002 the "Jos Willems Award" awarded by European Public Relations Education and Research Association (EUPRERA) for the best european research work in PR. (Laura.Illia@lu.unisi.ch)

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English version of the working paper can be asked to the author at the following address : Illial@lu.unisi.ch

A revisited version of the paper (English version) is the Working Paper ICA #4/ June 2006

*Questa ricerca è stata effettuata nell’ambito della tesi di dottorato di Laura Illia sotto la supervisione del Prof. Francesco Lurati. La suddetta tesi di dottorato è ancora in fase di stesura e non sarà conclusa prima della primavera 2006. Per questi motivi l’analisi empirica del modello teorico è da considerare in progress.

//

*This research was conducted within the PhD research of Laura Illia under the supervision of Prof. Francesco Lurati. The Phd research work is still a draft and will not be ended before Spring 2006. For these reasons the empirical testing of the model has to be considered as a really in progress work.

Ringraziamenti /Acknowdlegments:

L’autrice vuole ringraziare la direzione amministrativa dell’università per aver permesso di effettuare la ricerca e per il supporto dato all’intero lavoro. Si ringraziano anche agli intervistati e i partecipanti all’inchiesta per la loro disponibilità. Speciali ringraziamenti infine ai reviewers anonimi delle conferenze European Academy of Management 2005 e Academy of Management 2005 per i loro utili commenti al modello teorico.

// The author wishes to thank the administrative direction of the university for allowing to do the research and for all the support received. We thank also interviewees and respondents to the survey for their availability to participate to the research. Special thanks to the blinded reviewers of the European Academy of management 2005 and the Academy of Management 2005 for their useful comments to the theoretical model.

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Parole:Resistenza al cambiamento, identità organizzativa, stima interna ed esterna, identità esternamente attesa, identità multipla; essenzialità dei tratti identitari

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Keywords: resistance to change, organizational identity, essentiality of identity traits, outer and inner self esteem of members, multiple identity; essentiality of identity traits.

Abstract: Questo lavoro di ricerca documenta i risultati empirici qualitativi e quantitativi di un caso di studio sul cambiamento identitario de facto di un’organizzazione. In base ad un approccio che integra la prospettiva cognitiva a quella cognitiva psicologica, viene definito un modello

teorico che discute perché in situazione di cambiamento i membri dell’organizzazione percepiscono una minaccia dei tratti identitari desiderando una loro conservazione futura. L’essenzialità dei tratti e la loro influenza sulla stima dei membri rappresentano i due antecedenti che intercorrono a spiegare tale inerzia. I risultati della ricerca illustrano l’esistenza di una relazione inversa tra questi due antecedenti trattati solo separatamente dall’attuale dibattito sulla resistenza al cambiamento identitario delle organizzazioni. Viene inoltre sottolineata l’importanza di includere nell’attuale dibattito il concetto di influenza dei tratti identitari sulla stima interna. I risultati mostrano come questo concetto sia altamente complementare a quello di stima esterna. Infine, il presente lavoro di ricerca vaglia due importanti moderatori dell’impatto dei due antecedenti:

l’incompatibilità tra i tratti identitari e la loro corrispondenza con le aspettative esterne. Di conseguenza si discute come l’interrelazione identità - immagine e l’esistenza di un’identità multipla siano degli importanti elementi da considerare per una gestione del cambiamento che diminuisca la percezione di minaccia e il desiderio di mantenimento dei tratti identitari.

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INTRODUZIONE

L’identità delle organizzazioni rappresenta quanto vi è di più distintivo, centrale e duraturo in un’organizzazione (Albert & Whetten 1985). In questi ultimi due decenni si sono sviluppate due scuole di pensiero che studiano come essa sia fonte d’inerzia organizzativa. Alcuni autori

considerano che l’identità organizzativa sia uno schema mentale collettivo che, limitando l’interpretazione dell’ambiente, crea inerzia organizzativa (Dutton & Jackson 1987; Fiol & Huff 1992; Gioia & Thomas 1996). Altri autori, diversamente, la considerano soggetta a meccanismi di difesa e resistenza che sono causati da una minaccia percepita e un desiderio di mantenimento dei tratti identitari da parte dei membri dell’organizzazione. In questa seconda scuola di pensiero alcune ricerche hanno mostrato che quando cambia l’identità dell’organizzazione emergono delle barriere cognitive (Reger et al. 1994; van Rekom 2002 Fox-Wolfgramm et al. 1998), mentre altre ricerche sostengono che emergono delle barriere cognitivo - psicologiche (Brown & Starkey 2000;

Reger et al. 1994; Elsbach & Kramer 1996).

La presente ricerca s’inserisce in questo secondo filone di studio con il fine ultimo di spiegare perché i tratti organizzativi sono soggetti alla resistenza al cambiamento. A questo proposito viene sviluppato un modello teorico esplicativo (Whetten 2002) che integra e completa i due punti di vista cognitivo e cognitivo psicologico sviluppati fino ad oggi. Questo modello è testato

empiricamente all’interno di un’organizzazione in fase di cambiamento seguendo una metodologia che integra una fase di analisi qualitativa ad una quantitativa. Qualitativamente in modo induttivo vengono definiti i tratti identitari dell’organizzazione che vengono poi confermati

quantitativamente e deduttivamente con un’analisi che definisce in primo luogo il grado in cui i tratti sono soggetti a resistenza al cambiamento.

Per raggiungere questo scopo viene adottata la prospettiva sull’identità organizzativa di “attore sociale” (Whetten & Makey 2002). Secondo questa visione, l’identità organizzativa equivale ad una serie di affermazioni istituzionalizzate a disposizione dei membri dell’organizzazione su quanto vi è di più centrale, distintivo e durevole di un’organizzazione (Whetten & Makey 2002). Queste

affermazioni soddisfano le seguenti necessità dei membri dell’organizzazione: la definizione dei loro diritti e responsabilità, e la giustificazione dell’azione collettiva dell’organizzazione ( Whetten

& Makey 2002). In particolare, i tratti identitari di un’organizzazione, essendo durevoli, soddisfano il bisogno di mantenere un equilibrio tra il passato e il futuro dell’organizzazione, evitando una percezione di minaccia e di rottura con il passato (Gioia 1998; Fox-Wolfgramm et al. 1998; van Rekom 2002; Reger et al. 1994; Elsbach & Kramer 1996). L’assunzione di base della prospettiva di “attore sociale” è che la durevolezza dell’identità organizzativa non presuppone un’immutabilità della stessa, e dunque resistenza, se in un cambiamento strategico vengono integrati alla base i

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diversi punti di vista sull’identità organizzativa (Fox-Wolfgramm et al. 1998; van Rekom 2002), quindi un’integrazione che permette una continuità tra passato e futuro (Fox-Wolfgramm et al.

1998; van Rekom 2002). Adottando la prospettiva di “attore sociale” nello studio della resistenza al cambiamento dell’identità organizzativa il presente studio non nega l’importanza, sottolineata da altri studi che appartengono invece alla prospettiva di “aggregatore sociale”, di effettuare una comunicazione interna volta a sostenere la nuova direzione strategica (Chreim 2002 e Corley &

Gioia 2004). La re-identificazione con la visione futura resa possibile in base ad una sua

comunicazione effettiva è considerata come un’assunzione di base che non viene approfondita dal presente studio, il quale invece indaga sugli elementi critici da tenere in considerazione con un approccio di tipo organico che ingloba il passato organizzativo nella visione futura.

In conformità con questi presupposti di studio abbiamo strutturato il working paper in tre parti.

Nella prima parte sono presentati i fondamenti teorici sui quali si basa la presente ricerca.

Vengono presentati i presupposti epistemologici della prospettiva sull’identità organizzativa di

“attore sociale” discutendone il suo inserimento nel dibattito sul cambiamento dell’identità organizzativa. In seguito, è presentato il dibattito che discute sia come la minaccia percepita e il desiderio di mantenimento causino resistenza al cambiamento, sia come le barriere cognitive e cognitivo - psicologiche siano antecedenti alla minaccia percepita e al desiderio di mantenimento dei tratti identitari.

Al principio della seconda parte sono presentate le ipotesi di ricerca e il modello teorico che spiega la resistenza a cambiare i tratti identitari dell’organizzazione. Vengono riconsiderate le discussioni presenti oggigiorno sul grado in cui l’essenzialità dei tratti identitari e la loro influenza sulla stima dei membri dell’organizzazione siano rilevanti per l’inerzia dei tratti identitari. Oltre a integrare questi due punti di vista in un modello, viene ridiscusso il concetto di influenza dei tratti identitari sulla stima, considerando che esiste un’influenza sia sulla stima interna che su quella esterna.

Infine, vengono presentati altri elementi che devono essere tenuti in considerazione per spiegare la resistenza al cambiamento identitario delle organizzazioni: la corrispondenza dei tratti identitari con le aspettative esterne e l’esistenza dell’identità multipla.

Il test di ipotesi viene discusso nella terza parte del presente working paper. Dopo aver presentato la popolazione della ricerca vengono illustrate le tecniche d’intervista e i risultati dell’analisi

qualitativa. Di seguito vengono presentate le misure e i risultati dell’analisi quantitativa.

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FONDAMENTI TEORICI

I concetti teorici della presente ricerca basano, come già anticipato nell’introduzione, sulla prospettiva di attore sociale dell’identità organizzativa e su teorie cognitive e cognitivo -

psicologiche. Qui di seguito presentiamo innanzitutto la prospettiva epistemologica adottata e la sua contrapposizione con un’altra prospettiva. In seguito, illustriamo come la teoria cognitiva Personal Construct theory e la teoria cognitivo - psicologica Self affirmation theory permettono sia la giustificazione che la spiegazione del fenomeno della resistenza al cambiamento identitario.

LA PROSPETTIVA DI “ATTORE SOCIALE”: PRESUPPOSTI EPISTEMOLOGICI E POSIZIONE NEL DIBATTITO SUL CAMBIAMENTO IDENTITARIO

Il dibattito attorno al cambiamento dell’identità organizzativa ha luogo principalmente attorno alla prospettiva dell’identità di “attore sociale”, adottata dal presente studio, e a quella di “aggregatore sociale”. Fondamentalmente queste due prospettive sono simili unicamente perché considerano che il cambiamento dell’identità organizzativa supporti i cambiamenti strategici, e si differenziano per molti motivi riassunti nella tabella 1. Nei prossimi paragrafi discutiamo queste differenze.

Tabella 1: Prospettive sul cambiamento dell’identità organizzativa Prospettiva “attore sociale” e cambiamento

dell’identità organizzativa Prospettiva “aggregatore sociale” e cambiamento dell’identità organizzativa

Prospettiva funzionalista di tipo adattativa Prospettiva interpretativa o postmoderna L’identità cambia quando cambiano le affermazioni

istituzionalizzate ≠ L’identità cambia quando cambiano le interpretazioni delle affermazioni istituzionalizzate

Per evitare resistenza è necessario assicurare un equilibrio tra passato e futuro organizzativo

≠ Per evitare resistenza non è necessario assicurare un equilibrio tra passato e futuro organizzativo

Non emerge resistenza quando nella nuova direzione

vengono integrati i diversi punti di vista ≠ Non emerge resistenza quando la nuova direzione viene comunicata

L’identità organizzativa cambia difficilmente, ma le

affermazioni istituzionalizzate non sono immutabili ≠ L’identità organizzativa cambia continuamente nelle interpretazioni

Il cambiamento dell’identità supporta la strategia

organizzativa = Il cambiamento dell’identità supporta la strategia

organizzativa

La prospettiva di “attore sociale”

La prospettiva di “attore sociale” considera le organizzazioni come costruzioni sociali (Whetten &

Makey 2002) e non come somma delle singole interpretazioni. Secondo questa prospettiva le organizzazioni sono degli attori che cambiano identità nel momento in cui cambiano le

affermazioni riconosciute collettivamente al loro interno (Whetten & Makey 2002), affermazioni che impiegano molto tempo per cambiare (Rinnova in Bouchickhi et al. 1998; Gioia 1998). Questa prospettiva corrisponde alla visione funzionalista dell’identità aziendale. Quest’affermazione trova giustificazione dal fatto che la prospettiva funzionalista presume che i costrutti siano

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ragionevolmente stabili nel tempo dato che sono difficilmente mutabili (Gioia 1998). Benché sia considerata da molti una prospettiva radicale, questa prospettiva permette di discutere il

cambiamento dell’identità aziendale con un orientamento adattativo (Rindova in Bouchikhi et all 1998). È possibile difatti notare come molti autori che fanno parte di questa prospettiva, per esempio Fox-Wolfgramm et al. (1998), Reger et al. (1994), Brown & Stakey (2000) discutono che il mantenimento di un legame tra passato e futuro delle affermazioni istituzionalizzate, ossia dei tratti identitari, supporta la strategia dell’organizzazione. Fox-Wolfgramm et al. discutono la necessità di trovare una congruenza tra identità passata e futura al fine di avere un cambiamento strategico permanente e non solo temporaneo. Loro sottolineano che per sostenere un

cambiamento strategico sia necessario portare dei cambiamenti identitari verso i quali non vi sia resistenza da parte dei membri dell’organizzazione. Citando le loro stesse parole: “it is in the articulation for change that past, present and envisioned future come together […] successful strategic change is preceded by a change in identity […] between periods of upheaval and convergence, there is a period of indeterminacy in which the organization can go either way- move toward a new archetype or return to the previous archetype. Congruence […] will influence whether the change is permanent or not” (Fox-Wolfgramm, Boal & Hunt 1998: 118-119).

Anche Reger et al. considerano che, benché sia molto difficile, il cambiamento identitario è

cruciale per il cambiamento strategico:“if beliefs of organizational identity ignored, identity can act as a barrier to the implementation of planned organizational change that threatens it. However, if these implicit and taken for granted assumptions are surfaced and affiliated with change efforts, organizational identity can be a powerful source of leverage” (Reger et all 1994: 579). Infine, anche Brown & Stakey (2000), considerano che il cambiamento identitario sostiene lo sviluppo della strategia organizzativa: “Management’s role is to promote mature and adaptive wise though and action in pursuit of the collective organizational good […] if skilfully managed, the outcome is a self reflexive and wise organization, secure in its ability to understand and accept its limits and to negotiate identity change as part of its ongoing strategic development” (Brown & Stakey 2000:

114).

Da questi presupposti si sono sviluppati studi che pongono l’accento sull’importanza di effettuare un’analisi approfondita dell’identità organizzativa in tutti i suoi livelli. L’evidenza di tale

affermazione si trova negli studi di van Rekom (2002) e Fox-Wolfgramm, Boal & Hunt (1998), i quali considerano che l’accettazione di un cambiamento dipende dal grado in cui la nuova

direzione strategica integra non solo l’identità organizzativa così come idealizzata strategicamente dal management, ma anche quella percepita da tutti i dipendenti dell’organizzazione. Diminuendo a priori una differenza tra proiezione strategica e la realtà aziendale, si ottiene una direzione strategica che ingloba il passato organizzativo e che evita la resistenza al cambiamento identitario e organizzativo.

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La prospettiva di “aggregatore sociale”

La prospettiva di attore sociale si contrappone alla visione dell’identità di “aggregatore sociale”.

Quest’ultima e dà luogo alla seconda prospettiva epistemologica sul cambiamento dell’identità aziendale. Le organizzazioni sono considerate socialmente costruite nel tempo dall’interpretazione dei membri dell’organizzazione in più forme (Gioia et al. 2000). L’identità delle organizzazioni non cambia fino a quando non cambiano le interpretazioni di tali affermazioni. Si considera difatti che l’identità organizzativa sia continuamente costruita e ricostruita ed interpretata in modo flessibile (Fiol in Bouchiki et el. 1998; Gioia in Bouchikihi et al. 1998). I tratti organizzativi restano gli stessi, quello che cambia è la loro interpretazione. Questa prospettiva si fonda essenzialmente su due approcci: interpretativo o postmoderno. Quest’affermazione trova giustificazione nel fatto che la visione interpretativa considera fluida l’interpretazione dell’identità organizzativa (Fiol in

Bouckichi et all 1998) e che la visione postmoderna la considera un’illusione che appare stabile ma fluida, dato che viene continuamente demolita e ricostruita (Gioia in Bouckichi et all 1998). A portare avanti una visione interpretativa della prospettiva di aggregatore sociale sul cambiamento dell’identità vi sono per esempio Scott et al. (1998), Chreim (2002), e Fiol (2002). Tutti questi autori infatti considerano il cambiamento nella reinterpretazione dei valori identitari. Per esempio Scott et al. considerano che l’identità sia fatta di strutture immutabili e di interpretazioni di tali strutture che si cristallizzano nell’identificazione dei membri dell’organizzazione. Queste

interpretazioni sono invece mutevoli: “Identifications are more readily subject to change than are more enduring identities (as structures). Identification, as a system – level constructs. Occur in socially recognized behaviors, usually involving others that signify some degree of attachment to various social collectives or other targets” (Scott, Corman & Cheney 1998: 305). A portare avanti la visione postmoderna vi sono Gioia et al. (2000) e Hatch in Boukichi et al. (1998). Per esempio Gioia et al. considerano che l’identità organizzativa non ha una struttura reale, bensì una struttura in continua demolizione: “the presumption that organizational identity exists and is deeply held by its members is better construed as an illusion […] Although we maintain a belief in “core”

elements of identity, that belief does not imply that the core is some intangible entity. Because identity is not a “thing” but rather a concept constructed and reconstructed by organization members, it is theoretically important to avoid its reification.” (Gioia et al. 2000: 73-76).

All’interno di questa prospettiva interpretativa e postmoderna sono sviluppati studi che pongono l’accento su come la resistenza al cambiamento sia gestibile con una strategia che deve essere comunicata in modo efficiente. L’evidenza di tale affermazione si trova negli studi di Chreim (2002) e Corley e Gioia (2004), i quali considerano che l’accettazione di un cambiamento dipenda dal grado in cui la nuova direzione strategica viene comunicata ai dipendenti dell’organizzazione.

Comunicando in dettaglio la nuova visione, si ottiene una re-interpretazione della direzione strategica che, benché abbia una rottura con il passato organizzativo, evita la resistenza al cambiamento identitario e organizzativo.

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Alla luce di quanto illustrato precedentemente sul dibattito, risulta chiaro che il nostro studio si inserisce in una prospettiva che considera cruciale assicurare un legame tra passato e futuro organizzativo. In linea con questa prospettiva il presente studio vuole capire perché emerge resistenza quando i tratti identitari riconosciuti collettivamente vengono messi in discussione dai cambiamenti organizzativi in corso. È importante sottolineare che la presa di posizione in tale prospettiva non ha alcuna intenzione di negare l’importanza di definire una chiara comunicazione del cambiamento, così come sottolineato dall’altra prospettiva. Questo elemento viene considerato un’assunzione di fondo della ricerca che non viene approfondita.

In linea con la prospettiva adottata, di seguito viene presentato il dibattito attuale sia su come la percezione di minaccia e desiderio di mantenimento dei tratti identitari causano resistenza, sia sui loro antecedenti. Sono sottolineati i fondamenti di questi antecedenti nelle teorie cognitivo e cognitivo - psicologiche.

RESISTENZA CAUSATA DALLA MINACCIA PERCEPITA E DAL DESIDERIO DI MANTENIMENTO DEI TRATTI IDENTITARI DELLE ORGANIZZAZIONI

Molti autori sostengono che il cambiamento dell’identità organizzativa ha luogo quando i membri dell’organizzazione hanno una motivazione a correggere una differenza tra l’identità percepita e quella desiderata. Questo gap rappresenta una discrepanza cognitiva tra stato corrente e ideale ed in questo senso è soggetto ad una possibile correzione da parte dei membri. Come Reger et al.

sottolineano “the inconsistency between the two identities causes an identity gap, defined as the cognitive distance between the perception of the current and the ideal identity. This self

discrepancy can provide motivation to alter current organizational identity” (Reger et al. 1994:

574). Inoltre, il cambiamento dell’identità organizzativa ha luogo quando i membri

dell’organizzazione vogliono correggere una differenza tra l’identità percepita e l’immagine esterna interpretata - l’immagine che loro considerano l’organizzazione abbia al suo esterno. Questo secondo gap rappresenta una discrepanza cognitiva tra stato corrente e atteso (Reger et al.

1994). I membri dell’organizzazione sono motivati a cambiare l’identità quando questa

discrepanza rappresenta una connotazione negativa per l’immagine esterna dell’organizzazione (Dutton e Dukerich 1991).

Benché vi siano queste motivazioni a cambiare, i membri dell’organizzazione resistono a

modificare i tratti dell’identità dell’organizzazione quando il cambiamento è percepito come una minaccia e quando emerge un desiderio di mantenere i tratti identitari. In questo caso, difatti, emergono dei meccanismi di difesa quali la re-interpretazione (Elsbach & Kramer 1996), la negazione e la razionalizzazione (Brown & Stakey 2000) dell’identità organizzativa passata, come pure l’idealizzazione dello stato attuale delle cose (Brown & Stakey 2000). Gli studi attuali

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considerano che questi meccanismi, evidenti segni di resistenza al cambiamento, s’instaurano perché il cambiamento identitario dell’organizzazione ha delle ripercussioni a livello del singolo membro. Per capire quest’interrelazione bisogna fare riferimento alla Social Identity Theory (SIT).

Secondo questa teoria, in situazioni di normalità, gli individui sperimentano la propria identità in base all’identità collettiva (Ashforth e Mael 1996). In particolare questo legame avviene per i livelli dell’identità del membro che sono legati al contesto d’interazione sociale. Per spiegare bene

questo concetto bisogna fare riferimento ai livelli dell’identità enunciati da Brewer (2003). Come egli sottolinea, l’identità dell’individuo è composta da tre livelli: il livello individuale personale dell’identità che riguarda le caratteristiche uniche dell’individuo; il livello relazionale dell’identità che riguarda le caratteristiche di ruolo; il livello dell’identità sociale che riguarda l’identità del contesto di appartenenza. L’identità dell’organizzazione definisce l’esperienza che la persona fa della propria identità soprattutto negli ultimi due livelli. Questo significa che le caratteristiche identitarie di ruolo (identità a livello relazionale) e di membro (identità a livello sociale) sono fortemente legate a quelle dell’organizzazione.

Seguendo questo principio, alcuni autori sottolineano che in situazioni di cambiamento la minaccia dell’identità collettiva viene tradotta dal membro come una minaccia ai propri tratti identitari (Dutton et al 1994; Elsbach & Kramer 1996). Conseguente alla minaccia percepita il membro dell’organizzazione non solo ha dei comportamenti antisociali (Aquino e Duglas 2003), ma percepisce anche uno stress psicologico (Reger et al. 1994) e un’ansietà nel cambiamento identitario (Brown e Starkey 2000) che provengono da un desiderio di riaffermare e conservare l’identità organizzativa passata e da una minaccia percepita della stessa (Elsbach & Kramer 1996).

Questo significa che la potenzialità dell’inerzia di un tratto identitario è creata dalla minaccia percepita nel cambiamento dell’identità organizzativa che emerge insieme ad un desiderio di mantenimento del tratto identitario.

Queste dinamiche di inerzia che hanno luogo nell’interrelazione tra livello collettivo e individuale non riguardano solo il cambiamento identitario dell’organizzazione. Altri studi permettono difatti di sostenere che in generale è possibile affermare che, in situazioni di cambiamento, il membro dell’organizzazione utilizza il contesto organizzativo al fine di limitare la sua ansietà (Jaques 1955;

Menzies 1970). Secondo Staw et al. (1981), con i cambiamenti organizzativi vi è la tendenza a sviluppare un senso di minaccia che porta a stress psicologico e ansia. Questi ultimi creano riduzione di flessibilità, sia a livello organizzativo che individuale, e portano a sviluppare un senso di conservazione delle risorse passate.

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ANTECEDENTI DELLA MINACCIA PERCEPITA E DEL DESIDERIO DI MANTENIMENTO DEI TRATTI IDENTITARI DELLE ORGANIZZAZIONI

L’illustrazione dei meccanismi di difesa presentati nel paragrafo precedente sono funzionali per capire come mai la presente ricerca pone l’attenzione sulla minaccia percepita e sul desiderio di mantenimento dei tratti identitari. Per capire a fondo perché si crea resistenza è importante capire quali sono gli antecedenti che spiegano il loro emergere. Vi sono due filoni che discutono questi antecedenti: nel primo filone si fa riferimento alla Social Identity Theory e alla Self Affirmation Theory, mentre nel secondo si fa riferimento all’Organizational Identity Theory e Personal Construct Theory.

Gli autori che fanno riferimento alla Social Identity Theory e Self Affirmation Theory considerano che i tratti maggiormente soggetti a resistenza sono considerati positivi da parte dei membri dell’organizzazione (Dutton et al 1994; Elsbach & Kramer 1996). I tratti dell’organizzazione sono positivi quando danno una connotazione buona all’immagine dell’organizzazione e del membro (Elsbach & Kramer 1996) e quando sono attrattivi (Dutton et al 1994) - i membri vi s’identificano e li desiderano. Se non conservati, i membri dell’organizzazione percepiscono una minaccia sia per l’immagine dell’organizzazione che per la loro. Difatti, questi tratti hanno una particolare

caratteristica: definiscono la stima dei membri dell’organizzazione (Elsbach & Kramer 1996;

Dutton et al. 1994). Come Elsbach e Kramer sottolineano “ […] because member’s own social identities and self esteem are intimately connected to the identity and reputation of their

organizations, they care about how their organizations are described and also how they compare with other organizations” (Elsbach and Kramer 1996: 468).

Gli autori invece che fanno riferimento all’Organizational Identity Theory e alla Personal Construct Theory considerano che i tratti identitari soggetti alla resistenza sono quelli essenziali, ossia radicati nelle assunzioni di base, sia a livello collettivo che a livello individuale dei membri dell’organizzazione (Reger et al. 1994). In quanto tali, questi tratti sono maggiormente soggetti alla resistenza dato che permettono ad altri tratti di esistere: “The most essential elements are those features which, if absent, members believe most strongly that the organization would no longer be the same. These appear to be those features which they perceive to have most causal impact on the other features of the organization.” (van Rekom 2002: 17). Questi tratti, altrimenti definiti con il termine di tratti centrali, se non assicurati causano una percezione di minaccia sia della comprensione profonda dell’essere organizzativo e del proprio essere membro (Reger et al 1994), sia della coesione dell’identità nel suo insieme (van Rekom 2002).

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Il nostro lavoro parte dalle ricerche effettuate in questi due filoni, approfondendole nel seguente modo.

In primo luogo, è riconsiderata l’influenza che i tratti identitari delle organizzazioni hanno sulla stima. In particolare è riconsiderato il modo in cui gli studi attuali si riferiscono limitatamente alla Self Affirmation Theory riferendosi solo all’ outer self esteem, ossia alla stima esterna, e non a quello di inner self esteem, ossia alla stima interna. Per discutere questa limitazione degli studi ci riferiamo non solo alla Self Affirmation Theory ma anche alla Self Efficacy Theory.

In secondo luogo, il nostro lavoro si differenzia da quelli fatti fino ad oggi poiché riconsidera la causalità degli attributi identitari discutendo i fondamenti teorici non solo della Personal Construct Theory ma anche della Theory of Implication e della Theory of Change of Values, Attitudes, Behavior and Opinion.

In terzo luogo, il nostro lavoro approfondisce i lavori precedenti integrando in un unico modello le due prospettive precedentemente discusse, testando empiricamente l’antecedente cognitivo insieme a quello cognitivo - psisologico. In questo modo è possibile considerare se essenzialità o grado d’influenza sulla stima dei tratti identitari hanno lo stesso impatto sulla creazione della percezione di minaccia e del desiderio di mantenimento dei tratti identitari.

In quarto luogo il nostro lavoro considera anche gli effetti addizionali di altre variabili che possono aiutare a spiegare le conseguenze di questi antecedenti sulla minaccia percepita e il desiderio di mantenimento dei tratti identitari delle organizzazioni.

MODELLO E IPOTESI DI RICERCA

Nella figura 1 è presentato il modello teorico che verrà discusso nei prossimi paragrafi. In linea con il dibattito attuale vengono ipotizzati due antecedenti principali che creano minaccia percepita e desiderio di mantenimento dei tratti identitari. Inoltre, vengono ipotizzati degli effetti addizionali di altre variabili che causano un aumento o una diminuzione dell’impatto di questi antecedenti.

Figura 1: Modello teorico sugli antecedenti della resistenza al cambiamento identitario delle organizzazioni

Grado in cui il tratto identitario è soggetto a minaccia e desiderio di mantenimento Grado in cui

il tratto Identitario definisce stima interna ed esterna

Grado in cui il tratto identiario

è essenziale

H1 H2 Grado in

cui il tratto identitario definisce l’identità

multipla

Grado in cui il tratto identitario corrisponde alle aspettative

esterne

H3

H4

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È importante evidenziare che tale modello si basa sul concetto dei tratti identitari di tipo gerarchico. Come Reynolds e Gutman (1984) sostengono, l’identità delle organizzazioni è rappresentata in vari livelli gerarchici: alcuni membri dell’organizzazione percepiscono i tratti dell’identità dell’organizzazione in modo concreto attraverso degli attributi molto visibili, mentre altri li percepiscono in modo più astratto attraverso i valori, che definiscono le regole di condotta dell’organizzazione e che rappresentano il credo collettivo. Secondo questa concezione, i diversi livelli sono legati tra di loro. Come si vede dalla figura 2, gli attributi identitari rappresentano l’espressione concreta dei valori identitari di un’organizzazione. Difatti, un attributo identitario definisce il beneficio e la ricompensa emozionale di un valore identitario.

Figura 2: Gerarchia dei tratti identitari secondo Reynolds & Gutman

Questo modello gerarchico è in linea con la definizione d’identità organizzativa di Albert e Whetten (1985) adottata dalla presente ricerca e dagli studi attuali per la quale quanto vi è di distintivo centrale e duraturo in un’organizzazione è traducibile in qualunque affermazione istituzionalizzata, sia essa presente ad un livello concreto o astratto. Di conseguenza le ipotesi di ricerca formulate nei prossimi paragrafi fanno riferimento a tratti identitari che sono istituzionalizzati in una forma astratta di tipo valoriale e in una forma concreta. Dunque, le ipotesi e il modello teorico verranno testati sia sul livello astratto dei valori identitari che su quello concreto degli attributi identitari.

ANTECEDENTE 1: GRADO IN CUI I TRATTI IDENTITARI INFLUENZANO LA STIMA INTERNA ED ESTERNA DEL MEMBRO

La stima dei membri dell’organizzazione è definita come il grado in cui le persone si piacciono (Brockner 1988). Come spiegato prima, più l’organizzazione ha dei tratti identitari che definiscono un alto livello di stima collettiva, più è alto il livello di stima individuale del membro

dell’organizzazione e conseguentemente, più questi tratti sono soggetti ad inerzia. La maggior parte degli studi che considerano il grado in cui i tratti identitari definiscono la stima del membro dell’organizzazione, si riferiscono al processo di costruzione sociale dell’identità chiamato Looking Glass Self (Cooley 1922). Secondo questo processo, l’identità dell’organizzazione emerge da un

Valore identitario Ricompensa emozionale

Beneficio Attributo identitario

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riflesso interpretato dell’immagine esterna (“Cosa pensano gli altri dell’organizzazione?”). In base al principio spiegato in precedenza della SIT, per il quale l’identità organizzativa influenza quella sociale e di ruolo del membro, la presa di coscienza intra-personale dell’immagine organizzativa contribuisce alla presa di coscienza intra-personale dell’immagine sociale e di ruolo del membro.

In questo modo viene definito il sentimento personale di essere fiero di fare parte dell’organizzazione. Il membro dell’organizzazione desidera mantenere i tratti identitari

dell’organizzazione che lo rendono fiero e considera minacciosa una loro soppressione perché non vuole veder sopprimere degli elementi dell’immagine dell’organizzazione che lo fanno sentire fiero ed adeguato nel tempo (Steele 1988). Quest’affermazione trova origine nella Self Affirmation Theory e si basa sul principio che i tratti identitari che rendono fieri, essendo attrattivi,

garantiscono un senso di continuità nel tempo. È importante per il membro che l’organizzazione assicuri e non sopprima dei tratti identitari che permettono loro di sperimentare in modo continuo la propria identità di membro e di ruolo. Gli studi attuali che discutono queste dinamiche di stima e di resistenza al cambiamento si riferiscono al concetto outer self esteem (Gecas e Schwalbe 1989), ossia stima esterna. Come loro sottolineano, questa stima è associata ad una forma passiva di sperimentare l’identità sociale: “The looking glass self orientation leaves us with an essentially passive and conformist view of human beings, one which emphasizes an external source (e.g., the opinion of others, imagined or real) as the locus of the content or substance from which we construct our self – concepts” (Gecas e Schwalbe 1989: 78).

Dal nostro punto di vista, gli studi attuali considerano l’inerzia dei tratti identitari in base a un concetto limitato di stima che dovrebbe essere completato. Questa critica si fonda sugli studi di Gecas e Schwalbe, i quali evidenziano che questo concetto di stima basato sul looking glass self è solo una parte della stima che emerge dal processo di formazione dell’identità enunciato da Cooley. La stima degli individui, difatti, deriva anche da un’esperienza attiva dell’identità, ossia dalla valutazione dell’essere nelle proprie azioni. Questa stima è chiamata inner self esteem, stima interna, ed è self efficacy based, ossia dipende dalla motivazione ad agire efficacemente (Franks e Marolla 1976). La stima che emerge dalla propria identità dipende dunque non solo da un riflesso della propria immagine, ma anche dal prodotto delle proprie azioni (Gecas e Schwalbe 1989). Più l’individuo crede di poter controllare le proprie azioni, più egli ha stima di se stesso. Così come la stima esterna, anche quella interna dipende dal contesto organizzativo. Difatti, la sua stima è basata sulla motivazione ad agire efficacemente e dipende dalla possibilità permessa dalle risorse materiali o immateriali del contesto di effettuare delle azioni efficaci (Gecas e Schwalbe 1989).

L’identità delle organizzazioni è una delle risorse immateriali dell’organizzazione, ed in quanto tale si può ipotizzare che essa possa facilitare il membro nelle sue azioni e riesca a definire il grado di stima interna. Sulla base di queste affermazioni si può ipotizzare che:

(15)

H1: il grado in cui il tratto identitario dell’organizzazione definisce la stima interna ed esterna del membro influenza il grado in cui il membro dell’organizzazione desidera mantenerlo o ne

percepisce una minaccia se soppresso.

ANTECEDENTE 2: GRADO IN CUI I TRATTI IDENTITARI SONO ESSENZIALI (CENTRALI) Il tratto identitario dell’organizzazione che è centrale distingue l’organizzazione in base a qualcosa che è importante ed essenziale (Albert & Whetten 1985). Come spiegato prima, questi tratti, essendo causali, permettono ad altri tratti dell’organizzazione di esistere. Se non assicurati, i membri dell’organizzazione percepiscono una minaccia dato che vedono mancare l’elemento fondante che dà un senso all’identità. Per capire questi concetti è necessario considerare che un tratto identitario, causandone altri, ne definisce il significato (van Rekom 2002).

Quest’affermazione trova fondamento nelle teorie che permettono di comprendere come l’identità organizzativa sia percepita dal punto di vista cognitivo, come per esempio la Personal Construct Theory (Fransella et al. 2004). La Personal Construct Theory considera che gli individui

interpretano l’ambiente in base a un insieme logico ed organizzato di costrutti che permette loro di avere degli schemi della realtà. In base a questi schemi gli individui agiscono. Queste dinamiche cognitive sono spiegate più in profondità dal lavoro di Hinkle (1965), che permette di definire con chiarezza come è fatta questa organizzazione logica tra i costrutti (Fransella et al. 2003). Secondo Hinkle, le persone percepiscono i costrutti considerando simultaneamente le implicazioni che essi hanno per gli altri costrutti. Di conseguenza il significato dei costrutti che emergono da

un’implicazione è legata a quella del costrutto che logicamente li causa. Se quest’ultimo è

soppresso, vi sono delle conseguenze sul significato intero della struttura logicamente organizzata di costrutti.

È possibile sostenere che queste dinamiche cognitive di tipo implicativo sono applicate all’identità organizzativa da Reger et al. 1994. Benché questi autori non considerino la logica implicativa di Hinkle, essi fanno riferimento alla Personal Construct Theory e sottolineano che vi sono barriere cognitive ad accettare nuovi schemi identitari dell’organizzazione inconsistenti col passato. La centralità dei tratti, così come descritta da Reger et al., equivale all’essenzialità dei tratti descritti da van Rekom (2002). Secondo lui infatti, dato che la revisione di un tratto identitario essenziale implicherebbe a cascata la revisione degli altri tratti identitari, il tratto essenziale tende ad essere mantenuto. Questa cascata implica un sentimento di minaccia percepita e di desiderio di

mantenimento dovuto all’ansia rispetto al cambiamento. Dato che questo sentimento di minaccia non è ben spiegato dagli studi attuali, per capire meglio il sentimento di minaccia consideriamo il lavoro di Rokeach (1968), il quale considera come il cambiamento nel sistema di valori porta ansietà visto che vi è una perdita di coerenza dell’insieme. Questo autore considera il

cambiamento di valori, di atteggiamento e di comportamento. In particolare, discute come l’individuo definisce i suoi comportamenti e atteggiamenti in base ad un sistema di valori che

(16)

segue una struttura di tipo implicativo. Gli atteggiamenti sono legati a dei valori strumentali che a loro volta fanno riferimento a dei valori terminali. Il comportamento di un individuo non cambia fino a quando non cambiano i valori strumentali dato che essi definiscono il significato ultimo delle cose. Le persone hanno la tendenza a mantenere una coerenza tra gli elementi del sistema di valori, e dunque i valori terminali difficilmente cambiano.

Alla luce di queste considerazioni è possibile sostenere che:

H2: il grado in cui il tratto identitario dell’organizzazione è essenziale influenza il grado in cui il membro dell’organizzazione desidera mantenerlo o ne percepisce una minaccia se soppresso.

ELEMENTI CHE POSSONO INFLUENZARE L’IMPATTO DEGLI ANTECEDENTI

Il modello proposto considera la presenza di una serie di fattori che possono avere un effetto addizionale sul grado in cui i due antecedenti impattano sulla minaccia percepita e il desiderio di mantenimento dei tratti identitari. Questi effetti addizionali sono considerati in base alle

discussioni attuali sull’esistenza d’identità multiple delle organizzazioni, e sull’interrelazione tra identità e immagine.

Identità multipla

Come Albert e Whetten sottolineano (1985), le organizzazioni hanno identità multiple, ossia sono composte da due o più tratti identitari che i membri non si aspettano possano stare insieme.

L’identità dell’organizzazione è dunque ibrida, e può essere olografica o ideografica. Nel primo tipo di identità, i tratti incompatibili sono presenti simultaneamente nei diversi livelli

dell’organizzazione (dipartimento, unità); nel secondo tipo di identità, i tratti sono invece presenti singolarmente nei diversi livelli. La discussione dell’identità ideografica e olografica è rilevante per la presente ricerca perché, come sottolinea Rokeach (1968), la dissonanza tra due valori centrali può portare a cambiare questi particolari valori che sono maggiormente soggetti all’inerzia: “ a terminal value may be brought into dissonant relation with another terminal value, or with an instrumental value or with an attitude. Such experienced dissonant relations should give rise to motivational forces leading an individual to change his values and attitudes in such a say that they would become more psychologically consistent with one another” (Rokeach 1966;1968). Di

conseguenza consideriamo che:

H3: L’impatto dei due antecedenti può essere moderato dal grado in cui il tratto stesso è incompatibile con un altro tratto identitario, ossia dal grado in cui il tratto definisce l’identità multipla.

(17)

Corrispondenza dei tratti identitari con le aspettative esterne

Quando i membri dell’organizzazione valutano l’identità della loro organizzazione prendono in considerazione l’aspettativa del gruppo di riferimento esterno (Scott e Lane 2000). Secondo loro, infatti, ogni membro dell’organizzazione ripete nel tempo delle interrelazioni con gruppi di

riferimento esterni, definendo lo schema identitario dell’organizzazione: “over time, through repeated interactions with the same audience and/or with similar situations, situated identities become generalized and represented in a focal person’s memory as self – schema” (Scott e Lane:

46). Questo avviene perché, come discusso da Levellyn (2002), l’identità dell’organizzazione ha una dimensione personale di tipo relazionale, e dunque i suoi tratti hanno delle specificità che dipendono dalle relazioni con gli stakeholder esterni di riferimento. Quindi i tratti identitari sono percepiti anche in funzione delle aspettative del gruppo di riferimento esterno per l’organizzazione e dunque, per logica, la loro inerzia può essere influenzata da questa corrispondenza (Scott e Lane 2000). L’immagine esterna, così come viene interpretata all’interno dell’organizzazione, è un attractor che motiva a cambiare l’identità organizzativa (Reger et al. 1994, Dutton e Dukerich 1991). Queste affermazioni sono rilevanti per la presente ricerca dato che trovano fondamento sul concetto di formazione dell’identità Looking glass self di Cooley, concetto che, come abbiamo visto, è centrale per la presente ricerca. Di conseguenza consideriamo che:

H4: L’impatto dei due antecedenti può essere moderato dal grado in cui il tratto stesso corrisponde alle aspettative del gruppo di riferimento esterno.

METODO, ANALISI E RISULTATI

Il modello teorico presentato in precedenza è testato all’interno di un’università che nel 2005 ha effettuato una serie di cambiamenti per uniformarsi alla dichiarazione congiunta di Bologna dei ministri europei dell’educazione avvenuta nel 1999. Il cambiamento consiste nella trasformazione di programmi di studio quadriennali in programmi di studio quinquennali - tre anni bachelor più due anni master. L’adattamento universitario al sistema di Bologna rappresenta un’interessante situazione di studio per testare il modello della presente ricerca perché può comportare dei cambiamenti a livello identitario delle università visti i suoi obiettivi di fondo: la mobilità degli studenti, l’impiego nel mercato del lavoro nel sistema europeo, e la competitività/attrattività internazionale del sistema educativo universitario europeo. Difatti, è possibile considerare che l’adesione dell’università a questi obiettivi abbia un impatto su quello che Albert e Whetten (1995) chiamano equilibrio tra l’identità normativa delle università, ossia l’identità orientata alla missione educativa di fondo, e identità utilitarista, ossia l’identità orientata all’efficienza e al profitto.

Aderire a questi obiettivi infatti non rappresenta solo un cambiamento formale dei programmi di studio, ma un cambiamento sulla concezione stessa dell’essere di un’università.

(18)

L’applicazione empirica del modello è suddivisa in due parti. Nella prima, detta parte preliminare, sono condotte interviste semi strutturate presso tutte le tipologie dei membri dell’università, ossia collaboratori, professori, ricercatori – assistenti e studenti. L’obiettivo di queste interviste è quello di identificare i tratti identitari specifici dell’università. Le interviste sono state effettuate in base al Kelly grid approach (Fransella e Bannister 2004) e all’issue approach (Dutton & Dukerich 1991) e permettono di identificare sia gli attributi concreti che i valori astratti dei tratti identitari. A questo proposito nelle interviste è stato effettuato del laddering, una tecnica d’intervista che permette di considerare la gerarchia dei valori (Reynolds e Gutman 1984).

Nella seconda fase, quella di dettaglio, è stata effettuata un’inchiesta presso tutti i membri dell’università per identificare quali tra i tratti identitari emersi nella fase preliminare, sono quelli maggiormente soggetti a inerzia. In linea con il framework teorico della ricerca, l’inchiesta ha l’obiettivo di misurare in cui: (a) si desidera il mantenimento del tratto identitario e si percepisce una sua minaccia; (b) si considera che il tratto identitario sia influente sul sentimento di fierezza di essere membro dell’università e sul raggiungimento degli obiettivi in qualità di membro; (c) si considera essenziale il tratto; (d) si considera che il tratto identitario sia corrispondente alle aspettative esterne; (e) il grado in cui si percepisce un’incompatibilità tra tratti identitari.

Nella fase preliminare sono stati contattati 34 membri dell’università al fine di identificare i tratti identitari in base ad un approccio bottom up, ossia un approccio che considera non solo l’identità ispirata di chi guida l’università, ma anche quella sperimentata da tutti i membri attraverso i loro diversi punti di vista. I 34 intervistati sono stati selezionati in base al loro profilo ed alla loro appartenenza a tre delle quattro facoltà dell’università: la facoltà A, la facoltà B, e la facoltà D. La facoltà A ha un maggior numero d’intervistati vista l’eterogeneità delle aree di studio e istituti, e visto l’alto numero di membri. Questa facoltà difatti ha al suo interno ben 5 istituti e 8 laboratori di ricerca, un numero maggiore rispetto ai 7 istituti della facoltà B, e ai 2 della facoltà D. La

facoltà C non è stata considerata nella fase preliminare dato che è nata durante l’anno accademico nel quale è effettuato lo studio. Il requisito fondamentale per selezionare gli intervistati è la

permanenza all’interno dell’università per un periodo minimo di tre anni. La maggior parte degli intervistati è all’università da un periodo tra i tre e i dieci anni. Una tabella riassuntiva degli intervistati è presentata all’interno dell’appendice B.

Nella fase di dettaglio è stato contattato non un campione, ma l’intera popolazione dell’università attraverso un questionario on-line. La popolazione alla quale è stata sottoposta l’inchiesta

corrisponde, a parte qualche eccezione, alla popolazione indicata nel rapporto annuale

dell’università. Per la facoltà D e C vi è una corrispondenza totale, mentre per le facoltà A e B vi sono delle differenze. Vi possono essere due motivi per spiegare questa differenza: (1) i dati ufficiali sono conteggiati ad inizio anno, mentre l’inchiesta è stata effettuata nel mese di maggio

(19)

2005;(2) vi è un margine d’errore possibile nella definizione della mailing list. Una tabella riassuntiva della popolazione che ha partecipato all’inchiesta on-line è presentata all’interno dell’appendice B.

FASE I: TECNICHE D’INTERVISTA E RISULTATI

Tecniche d’intervista

L’identità di ogni organizzazione può essere definita in base ad un approccio induttivo o deduttivo (van Rekom e van Riel 2000). Nella presente ricerca è stato scelto un approccio induttivo dato che è necessario individuare i tratti identitari soggetti a inerzia. Per assicurare la totale induttività, le 34 interviste sono state effettuate con due diverse tecniche d’intervista, scelte proprio perché permettono di fare emergere induttivamente elementi che non sono consciamente accessibili, come per esempio i tratti identitari delle organizzazioni (van rekom 2002). Sedici interviste sono state eseguite seguendo l’issue critical approach, e le restanti diciotto sono state eseguite

seguendo il kelly grid approach. In ognuna di loro è stata eseguita la tecnica del laddering (van rekom 1997).

L’ issue critical approach è una sorta d’intervista semi-strutturata che fa emergere l’identità delle organizzazioni in base ad un episodio critico dell’organizzazione noto agli intervistati. A partire da tal episodio, ad ogni intervistato è richiesto per esempio di considerare tre attributi che

permettono di descrivere l’episodio in questione, o di comparare l’episodio in questione con altri avvenuti in passato. Ad ognuna delle domande viene fatto del laddering, ossia viene chiesto

“perché?” e “perché è importante?”. Nella presente ricerca questo laddering è effettuato su un numero ridotto di domande rispetto al lavoro originario presentato da Dutton e Dukerich. Una lista completa delle domande originali è reperibile in Dutton e Dukerich (1991), mentre la lista

selezionata delle domande effettuate nella presente ricerca è presente nell’Appendice A.

Il kelly grid approach è invece un’intervista che si differenzia da quelle classiche. Vi è una fase di preparazione nella quale sono definite le carte che in seguito saranno sottoposte all’intervistato.

Queste carte raffigurano elementi che sono legati all’organizzazione che si vuole studiare. In una seconda fase, durante l’intervista, le carte sono presentate all’intervistato in triadi al fine di dedurre dei costrutti che definiscono il fenomeno che si vuole investigare. Per ogni triade viene chiesto “Mi indichi un elemento per il quale due di queste carte si assomigliano e si differenziano dalla terza carta”. Spesso gli intervistati enunciano elementi troppo pragmatici e concreti o troppo astratti e generali. È dunque importante fare del laddering per capire quale elemento sta a monte o a valle di un costrutto enunciato dall’intervistato. Infine, in un terzo momento, all’intervistato è

(20)

chiesto, sempre durante la medesima intervista, di valutare i costrutti che sono emersi. Per esempio viene chiesto: (1) di fare una classifica tra i costrutti (Ranking Grid), (2) di valutare quanto ogni costrutto si applica alle carte precedentemente elencate in base ad una scala da 1 a 11 (Rating grid) , (3) di considerare cosa succederebbe agli altri costrutti se uno specifico

costrutto sparisse (Resistance to Change Grid). Queste tre fasi sono descritte nel dettaglio nel manuale della Repertory Grid Technique di Fransella et al. (2004).

Nella presente ricerca le carte sono state definite in base agli artefatti culturali (Schein 1984), ossia in conformità ad elementi concreti che esprimono i valori e le assunzioni di base della cultura organizzativa. Sono stati definiti tre gruppi di carte: il primo gruppo raffigura i professori di ruolo nelle 3 facoltà, il secondo raffigura gli istituti delle 3 facoltà, il terzo raffigura l’università studiata e altre università. Ai professori e ai ricercatori sono state sottoposte le carte dei professori, degli istituti e delle università. Agli studenti e ai collaboratori sono invece state sottoposte le carte dei professori e delle università e, quando è stato possibile, anche quelle degli istituti, poiché alcuni studenti e collaboratori non conoscono gli istituti. Visto che l’intervistato deve conoscere bene le carte che gli vengono sottoposte (Fransella et el. 2004), a tutti gli intervistati sono state

sottoposte carte che raffigurano professori e istituti delle proprie facoltà. Nella presente ricerca la fase di valutazione è avvenuta in base al rating, ranking grid e resistance to change grid. Queste griglie sono presentate nell’Appendice A.

Risultati

Le interviste preliminari sono state compiute durante il mese di marzo 2005 ed in media sono durate un’ora ,un’ora e mezza. Tutte sono state registrate con il consenso degli intervistati. È importante sottolineare che dalle due tipologie d’intervista sono emersi gli stessi 5 tratti identitari e gli stessi 10 attributi. L’induttività delle domande poste è risultata dunque essere molto alta.

In appendice A sono presentati i risultati delle interviste con esempi, citazioni e tabelle riassuntive che mostrano le evidenze di una percezione multilivello e multipla dell’identità dell’università studiata. Qui di seguito presentiamo invece in sintesi gli elementi che definiscono la sua identità, senza sottolineare i diversi punti di vista. In accordo con la concezione dei tratti identitari di tipo gerarchico di Reynolds e Gutman adottato dalla presente ricerca, questi tratti identitari sono presentati sia discutendo gli attributi e i valori identitari che definiscono l’essere

dell’organizzazione studiata.

(21)

Figura 3: Tratti identitari dell’università nella gerarchia di Reynolds e Gutman : dagli attributi concreti ai valori identitari

Valore

Innovatività

Internazionalità

Professionalizzazione

Consolidamento esterno

Arricchimento personale

Ricompensa emozionale

Essere all’avanguardia

Essere dinamici e

freschi

Essere internazionali

Essere prestigiosi

Essere capaci, idonei

Essere versatili professionalmen

te

Essere legittimati

Essere legittimati localmente

Essere intellettualmente

competenti

Essere multiculutrali

Beneficio Aggiornamento al passo coi

tempi

Presa in considerazio ne delle novità

Riconoscimento

Riconoscimento

Studio che rispecchia mercato del lavoro

Preparazione analitica e professionale

Raggiungimento consapevolezza

Avere sostegno

Arricchimento comprensione e spirito analitico

Arricchimento culturale

Attributo funzionale

Programmi di studio mai visti prima

Spirito di sperimentaz

ione

Ricerca e articoli scientifici di

livello internazionale.

Persone di prestigio internazionale

Corsi orientati allo

sbocco professionale Corsi che collegano teoria

alla pratica

Cura immagine

esterna Inserimento comunità

locale

Contatto diretto tra studente e

professore

Confronto con altre culture

Essere arricchente

Gli intervistati hanno sottolineato che l’organizzazione nella quale studiano o lavorano si distingue poiché vi è la possibilità d’instaurare un alto livello di contatto diretto tra studenti e professori come pure di avere un confronto con altre culture. Secondo loro, questi due elementi

caratterizzano la loro università come un luogo dove ricercatori – assistenti studenti e professori hanno la possibilità di raggiungere un arricchimento sia analitico che culturale che è difficile trovare in altri atenei, dove vi è un ambiente spersonalizzato e anonimo.

Essere consolidata esternamente

Dalle interviste è emersa anche l’attenzione dell’università per l’inserimento nel contesto locale e per la cura dell’immagine esterna. Tutti gli intervistati hanno sottolineato che, rispetto ad altre università, vi è una maggiore intenzione di raggiungere la consapevolezza ed il sostegno esterno.

Questo elemento è considerato da tutti come tipico di un’università giovane come la loro ed anche sempre più importante nel contesto universitario, che si apre al sistema di scambio europeo dei master.

Essere internazionale

Gli intervistati hanno sottolineato che la loro università è caratterizzata, come altre, per la

produzione scientifica della ricerca e di articoli di livello internazionale come pure per la presenza di persone di prestigio internazionale. Vista la giovane età dell’ateneo non è possibile effettuare un confronto con altre università presenti nel panorama accademico da cento anni. Malgrado questa convinzione, la maggior parte degli interpellati considera l’internazionalità un valore di fondo che guida molto i comportamenti di tutti i membri dell’università.

(22)

Essere professionalizzante

L’offerta di programmi di studio orientati al mercato del lavoro e che preparano gli studenti ad applicare la teoria appresa nella loro futura professione è un altro elemento che distingue il

contesto universitario studiato. Gli intervistati considerano che, rispetto ad altre università, la loro permette agli studenti di avere delle capacità idonee e versatili dal punto di vista professionale.

Per molti intervistati l’offerta di corsi orientata al mercato è incompatibile con l’orientamento alla ricerca internazionale, poché il ruolo fondamentale dell’ateneo è di produrre e di trasferire il sapere scientifico senza avvicinarsi troppo alle esigenze del mercato. Per questi motivi i valori di fondo dell’internazionalità e della professionalizzazione sono parzialmente incompatibili ed in quanto tali definiscono l’esistenza di un’identità duale multipla dell’università studiata.

Essere innovativa

Gli intervistati hanno descritto la loro università come un luogo dove vi sono programmi di studio mai visti prima nel contesto universitario e dove vi è spirito di sperimentazione. Rispetto ad altre, questa università permette ai suoi membri di essere al passo con i tempi cogliendo le novità del panorama accademico e professionale. Secondo gli intervistati, altri atenei con più tradizione, difficilmente riescono ad essere così all’avanguardia ed a sviluppare tale spirito di dinamicità.

Oltre a questi tratti identitari, le interviste hanno permesso d’identificare degli elementi di

contesto ripetutamente indicati dagli intervistati: la selezione degli studenti e la collaborazione tra ambiti e dipartimenti. Essendo questi due elementi emersi più volte nelle interviste li terremo in considerazione nella presente ricerca come variabili di controllo.

FASE II: PARTECIPANTI ALL’INCHIESTA, MISURE, VARIABILI DI CONTROLLO E RISULTATI

Abbiamo sviluppato uno strumento d’inchiesta che consiste in diverse scale stabilite e nelle misure emerse dalla fase preliminare di ricerca.

Partecipanti all’inchiesta

All’inchiesta hanno partecipato 468 persone. Nell’appendice B sono presentate le percentuali di risposta rispetto alla popolazione reale e alla popolazione mailing. Le percentuali più basse si presentano nella facoltà D, in particolare è molto bassa la percentuale di risposta nel profilo professori. Nelle altre tre facoltà vi sono invece buone percentuali di risposta per ogni profilo.

Per quanto riguarda la rappresentatività della popolazione è importante sottolineare che la popolazione della facoltà A è leggermente sovra rappresentata con una proporzione del 55%

(23)

rispetto al 40% della popolazione reale, mentre la popolazione della facoltà D è sotto rappresentata con una proporzione del 18% rispetto al 34% della popolazione reale. Di

conseguenza ogni profilo delle facoltà A è leggermente sovra- rappresentato, mentre ogni profilo della facoltà D è leggermente sotto rappresentato. I dati sulla facoltà D non sono molto

preoccupanti se non per il profilo dei professori che è gravemente sotto rappresentato con una proporzione del 5% rispetto al 33% della popolazione reale. Diversamente, le popolazioni della facoltà B e C sono ben rappresentate. Infine, da sottolineare che vi è una sovra rappresentazione del campus 1 con una proporzione del 84% rispetto al 66% della popolazione reale e vi è una sotto rappresentazione del campus 2 con una proporzione del 18% rispetto al 36% della popolazione reale. Questa sotto rappresentazione del campus 2 è conseguente alla

sottorappresentazione della facoltà D dato che nel campus 2 vi è solo la facoltà D. Non è stata effettuata una riponderazione della stratificazione dei rispondenti, tecnica usata comunemente in altri sondaggi. I dati discussi saranno rappresentativi per tutte le facoltà esclusa la facoltà D in particolare nel profilo dei professori.

Misure

Il questionario dell’inchiesta on-line comprende 9 domande. Esso è stato costruito sulla base di misure emerse nella fase preliminare e sulla base a scale ispirate da altri studi. Questa procedura di definizione delle misure è comunemente adottata da altri studi nel campo dell’identità

organizzativa come per esempio lo studio di Dukerich et al. 2002. Nell’appendice B è presentato il questionario.

Influenza dei tratti identitari sulla stima esterna ed interna.

Abbiamo definito questa misura prendendo in considerazione il lavoro di Gecas e Schwalbe (1989) che definisce la stima interna ed esterna. Inoltre abbiamo tenuto presente il lavoro di Schwarzer et al. (1992) nel definire le misure della self efficacy e le discussioni di più autori riguardo al sentimento di appartenenza ad un’organizzazione. Per misurare la stima esterna, ossia la stima che emerge dall’esperienza dell’identità in base al looking glass self process, ogni rispondente ha indicato quali attributi possono influire, positivamente o negativamente sul proprio sentimento di essere fiero/a di fare parte dell’università in base ad una scala Lickert a 5 punti (1 non influisce per niente; 5 influisce molto). Per misurare la stima interna, ossia la stima che emerge

dall’esperienza delle proprie azioni, ogni rispondente ha invece indicato quali attributi possono influire, positivamente o negativamente, sul raggiungimento dei propri obiettivi in qualità di membro dell’università (professore, ricercatore - assistente, studente o collaboratore) in base ad una scala Lickert a 5 punti (1 non influisce per niente; 5 influisce molto).

Il test di validità interna di questa misura è buono. Questi sono i valori per i 5 tratti identitari:

essere arricchente - Crombach alpha pari a .77; essere internazionale - Crombach alpha pari a

(24)

.76; essere innovativa - Crombach alpha pari a .82; essere consolidata esternamente - Crombach alpha pari a .76; essere professionalizzante - con un Crombach alpha pari a .86. Il test di validità interna di tutti gli attributi è pari ad un Crombach alpha pari a .86

Essenzialità dei tratti identitari.

Abbiamo usato la misura dell’essenzialità che è stata validata da van Rekom (2002). Ogni rispondente ha indicato la sua opinione riguardo a se l’università sarebbe la stessa nell’ipotesi in cui con i cambiamenti non fossero mantenuti gli attributi identitari. Questa opinione è stata espressa basandosi su una scala Lickert a 5 punti (1 per niente la stessa; 5 assolutamente la stessa).

Il test di validità interna di questa misura è buono. Questi sono i valori per i 5 tratti identitari:

essere arricchente - Crombach alpha pari a .81; essere internazionale -Crombach alpha pari a .71; essere innovativa: Crombach alpha pari a .82; essere consolidata esternamente - Crombach alpha pari a .78; essere professionalizzante: con un Crombach alpha pari a .87. Il test di validità interna di tutti gli attributi è pari ad un Crombach alpha pari a .93.

Percezione di minaccia e desiderio di mantenimento dei tratti identitari.

Abbiamo definito questa misura prendendo ispirazione dagli studi in psicologia che hanno definito la misura della percezione di minaccia, come per esempio gli studi di Sandler et al (1990). Questi studi sottolineano che la percezione di minaccia si cristallizza nella preoccupazione delle persone di vedere succedere un evento. Nel nostro caso si tratta della preoccupazione di veder scomparire un tratto identiario. Per questi motivi, ogni rispondente ha indicato il proprio grado di

preoccupazione sulla possibile soppressione dell’attributo identitario. Questa preoccupazione è espressa in base ad una scala Lickert a 5 punti.

Inoltre, per definire questa misura abbiamo preso spunto anche da altri studi nell’area della psicologia sociale - come per esempio lo studio di Oliver e Burke (1999) - che misurano il desiderio di mantenimento misurando la delusione di aspettative. Questi studi considerano la congruenza delle proprie aspettative con lo stato attuale delle cose. Prendendo ispirazione da questi studi, nella presente ricerca è prima misurato lo stato attuale delle cose, e poi viene fatta una comparazione con lo stato desiderato. Diversamente da altri studi, come per esempio quelli Foreman e Whetten (2002), non misuriamo la congruenza tra stato attuale e desiderato con i difference scores. Questa scelta è basata sul fatto che la validità di tale calcolazione è considerata incerta (Edwards 2001).

Alla luce di queste considerazioni, in un primo tempo ogni rispondente ha indicato quanto ogni attributo identitario caratterizza l’università dove lavora e/o studia su una scala Lickert a 5 punti (1 per niente - 5 molto). In un secondo tempo ogni rispondente ha indicato anche come

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