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Il giardino bassaniano : luogo di memoria e di raffinatezza

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Il giardino bassaniano : luogo di memoria e di raffinatezza

Sophie Nezri-Dufour

To cite this version:

Sophie Nezri-Dufour. Il giardino bassaniano : luogo di memoria e di raffinatezza. Spezieria ferrarese.

L’arte degli Speziali e i giardini dei Semplici, Faust Edizioni, pp.223-235, 2016, 8898147538. �hal-

01722528�

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Il giardino bassaniano: luogo di memoria e di raffinatezza

di Sophie Nezri-Dufour

N e Il giardino dei Finzi-Contini non è un caso se la necropoli etrusca di Cervete- ri, luogo storico ed illustre, diventa il punto di partenza di un viaggio nel pas- sato ferrarese ebraico e riaccende nel cuore del narratore il ricordo del giardino dei Finzi-Contini.

È difatti alla vista delle tombe del popolo etrusco scomparso che il protagonista si ricorda di quella dei Finzi-Contini nel maestoso cimitero ebraico di Ferrara e, conseguentemente, del luogo incantato di quella vecchia famiglia ebraica scomparsa durante la Shoah: il loro giardino, vero e proprio tempio della me- moria della comunità ebraica ferrarese.

Nello stesso modo in cui l’arte ristruttura e riordina la vita, la trascende, la su- pera, ne fa risaltare un senso, una coerenza, il giardino dei Finzi-Contini, nel suo riprodurre un microcosmo della natura, riordina anch’esso la realtà, confe- rendole un significato, una forza e una bellezza che si oppone al tempo e all’oblio, al caos.

Bassani è difatti consapevole della dimensione consolatrice della ricreazione artistica, paragonabile a quella botanica in cui la bellezza immutabile del mon- do vegetale si sottrae più facilmente alla tirannia del tempo.

Così, attraverso la descrizione di un luogo di perfezione, ossia quel giardino romanzesco, Bassani ricostruisce una stagione, un periodo unico: l’universo fragile e prezioso degli ebrei italiani prima della catastrofe. La felicità vissuta nel giardino diventa così parabola spaziale e temporale di un’età privilegiata, di un’infanzia umana quasi idilliaca, prima che la tragedia distrugga quel mi- crocosmo prezioso ed effimero.

Un giardino memoria.

Bassani vuole ricuperare il senso e il valore delle esperienze perdute, oppo- nendosi al dramma e all’oblio, alla perdita del passato con la celebrazione di uno spazio sacro.

Con la creazione del giardino dei Finzi-Contini, trasfigura l’esperienza del pas-

sato ormai lontana, l’immobilizza e la pietrifica, la circoscrive, conferendole

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una dimensione mitica e assoluta. Con lo scenario mitico di un giardino edeni- co, tenta simbolicamente di opporsi ai danni del tempo.

È attraverso lo spazio e l’evocazione particolareggiata di un giardino unico, dalla dimensione insieme realistica e allegorica, che Bassani ricupera il tempo e il passato: la minuziosa evocazione del giardino diventa pellegrinaggio spiri- tuale, itinerario morale, ritorno a una realtà che solo il giardino può far risorge- re. Nella sua lotta contro il passaggio del tempo, Bassani riorganizza lo spazio del passato dentro un giardino che diventa la metafora della memoria artistica.

Del resto, definirà il proprio romanzo «cuore del [suo] poema romanzesco» 1 . La similitudine del destino dei Finzi-Contini e del loro giardino è sorprenden- te. Come i membri della famiglia Finzi-Contini, gli alberi rappresentano un’entità antica, illustre e maestosa che ha tentato di perdurare per secoli. Sono

«[…] grandi, […] quieti, […] forti, […] pensierosi» 2 ; sono quelli che Micòl chiama i suoi «sette vecchioni» 3 , alberi giganteschi dalle «barbe venerande», per i quali la ragazza nutre «sentimenti di appassionata ammirazione» 4 , come per i suoi famigliari:

«Quanta eleganza, quanta ‘santità’, in quei loro tronchi bruni, secchi, curvi, scagliosi» 5 .

La venerazione dei Finzi-Contini per i loro alberi si rifà anche alla memoria che quelle piante secolari, simbolo di perennità, rinchiudono in sé, cariche come sono, per forza di cose, di secoli di storia:

«Ha quasi cinquecento anni, capisci», si estasia Micòl indicando un vecchio platano. «Pensa un po’ quante ne deve aver viste, di cose, da quando è venuto al mondo!» 6 .

Il giardino è un’allegoria dell’umanità, ebraica e universale, di cui offre un’originale rappresentazione botanica: mentre le fragili palme del deserto, sulle quali Micòl discorre in termini sapienti ed elegiaci, simboleggiano il po- polo ebraico, gli alberi fruttiferi, che la giovane descrive con tenerezza e con l’uso del dialetto, rinviano alla realtà della solida gente del popolo:

«Per gli alberi da frutta […] Micòl nutriva un affetto molto simile − avevo nota- to − a quello che mostrava nei riguardi di Perotti e di tutti i membri della sua famiglia. Me ne parlava, di quelle umili piante domestiche, con la stessa bona-

1 Stelio Cro, Intervista con Giorgio Bassani in “Canadian Journal of Italian Studies”, vol. 1, number 1, Fall 1977, p. 44.

2 Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Milano, Classici Moderni Oscar Monda- dori, 1991 (1ª edizione Torino, Einaudi, 1962), p. 85.

3 Ibidem, p. 86.

4 Ibidem, p. 85.

5 Ibidem, p. 86.

6 Ibidem, p. 86.

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rietà, con la stessa pazienza, e tirando molto spesso fuori il dialetto, da lei ado- perato soltanto trattando con Perotti, appunto, o con Titta e Bepi, quando ci ac- cadeva di incontrarli e ci fermavamo a scambiare qualche frase» 7 .

Bassani non esita così a dare ai luoghi, alle piante e agli alberi una funzione che li assimila a veri e propri personaggi. Ogni specie di albero ha il suo equivalen- te umano e offre una lettura simbolica, una visione della realtà particolare per- ché il dialogo con l’esterno è ormai sospeso. Perciò il tempo in seno al giardino sembra mantenersi «perfetto, fermo in quella specie di magica sospensione, di immobilità dolcemente vitrea e luminosa» 8 .

Il giardino si assimila al passato che concretizza ed eternizza: «modello idillia- co, si trasforma, s’immobilizza e si pietrifica per raggiungere le dimensioni dell’assoluto. Quelle del mito», spiegava Bernard Urbani 9 parlando del passato in Bassani:

«Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno ? Più di trenta.

Eppure, se chiudo gli occhi, Micòl Finzi-Contini sta ancora là, affacciata al mu- ro di cinta, che mi guarda e mi parla […]. Al di sopra della sua testa il cielo era azzurro e compatto, un caldo cielo già estivo senza la minima nube. Niente a- vrebbe potuto mutarlo, sembrava, e niente infatti l’ha mutato, almeno nella memoria» 10 .

È proprio nel giardino che Micòl e il protagonista, diventati adulti, si ricordano con nostalgia il loro primo incontro. La topologia del giardino concretizza l’analessi permanente e ha una funzione strutturante: principio organizzatore di una natura all’inizio selvaggia, offre agli episodi del passato, talvolta scon- nessi e casuali, una coerenza e un’unità interna che conferisce un significato nuovo, superiore. Attraverso una percezione quasi pittorica della realtà, insie- me genuina e simbolica, concreta e allegorica, lo scrittore cristallizza la bellezza di un’età ideale.

Se il giardino qual è dipinto risplende tanto è perché è descritto nel momento del suo apice, durante un’estate simbolica in cui tutto sembra per qualche mese non finire mai. Inoltre, il narratore sa che in questo giardino si trova il vero senso della sua identità, la vera anima del suo popolo.

Un giardino incantato.

Già nei suoi scritti giovanili del Corriere Padano, Bassani aveva immaginato le alte mura di un giardino incantato che, isolando i suoi abitanti in un luogo e

7 Ibidem, p. 86.

8 Ibidem, p. 67.

9 Bernard Urbani, «Il giardino dei Finzi-Contini». Un roman proustien de la mémoire in

«Novecento», Cahier n° 22, 1999, p. 200.

10 Giorgio Bassani, op. cit., p. 40.

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una temporalità altra, offriva un microcosmo a parte, unico, sottratto alla bana- lità quotidiana:

«Al di qua era il mondo comune e sensibile; al di là il mistero, la sopravviven- za, la fiaba», scriveva già nel 1936, evocando l’esistenza di un giardino miste- rioso 11 .

Un anno dopo, come in una logica ossessiva, il giovane scrittore evocava di nuovo, in un altro racconto, un giardino magico, «lungo il viale amico dei ti- gli», che faceva rinascere «una catena di epoche lontane, dolci, perdute» 12 . Con l’immagine del giardino, la cui evoluzione verso la morte ineluttabile non è percepibile a occhio nudo, Bassani desiderava realizzare una cristallizzazione spaziotemporale della realtà, immergendo il passato in una fissità confortante, quella di un giardino leggendario, fiabesco.

La stessa famiglia Finzi-Contini sembra nascere da un universo meraviglioso:

la bellezza della nonna di Micòl era stata celebrata poeticamente da Carducci che aveva, insieme a D’Annunzio, immortalato il celebre corso Ercole I d’Este che portava alla Magna Domus. Il luogo stesso sembrava uscire da un universo magico:

«Ampio; diritto come una spada […] con quel suo lontano sublime sfondo di rosso mattone, verde vegetale, e cielo, che sembra condurti davvero all’infinito» 13 .

La lussureggiante vegetazione del Barchetto del Duca si trasforma in un uni- verso fuori del comune, lo scrigno di un castello fatato:

«Ai miei piedi […] le chiome dei nobili alberi gonfie di luce meridiana come quelle di una foresta tropicale, si stendeva il barchetto del Duca: immenso, davvero sterminato, con al centro, mezzo nascosti nel verde, le torricelle e i pinnacoli della magna domus» 14 .

Un giardino-paradiso.

Il viaggio del protagonista finisce coll’assimilarsi a un percorso iniziatico in un giardino che ha numerose affinità con il Paradiso, «le vert paradis des amours enfantines» 15 , come lo chiama Micòl stessa. Si tratta di un mondo molto circo- scritto e appartato che rappresenta all’inizio un paradiso irraggiungibile, un Eden che non è altro che il paradiso dell’infanzia, di un’innocenza adamitica 16 .

11 Id., I mendicanti, «Il Corriere Padano», 22 marzo 1936.

12 Id., Caduta dell’amicizia, «Il Corriere Padano», 13 maggio 1937.

13 Id., Il giardino, cit., p. 11.

14 Ibidem, p. 36.

15 Ibidem, p. 88, 235.

16 Gilbert Bosetti, L’enfant-dieu et le poète. Culte et poétiques de l’enfance dans le roman italien

di XX° sièce, Grenoble, Ellug, 1997, p. 56.

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È il caso del protagonista del romanzo, almeno all’inizio della sua avventura paradisiaca con la misteriosa Micòl.

All’inizio, l’ingresso nel paradiso offre lo spettacolo di un hortus conclusus, pa- radiso delle anime pure e innocenti. E Micòl, con il suo legame stretto con il giardino, potrebbe rappresentare una moderna e contemporanea Beatrice, ma ricorda anche, nella prospettiva di un paradiso «pagano», una vera dea, prin- cipio di vita, parte integrante del luogo di cui è uno degli elementi essenziali:

diventa una sorta di Madre-Terra, di Demetra il cui reame dà insieme nuovi frutti e un rifugio ai morti. Il suo legame stretto con la terra e il giardino si ri- specchiano sul suo corpo a cui sono associati colori e profumi della terra, delle piante, e degli alberi che ama; ma anche nella sua affinità con il cielo e la luce solare che la circonda: appoggiata contro il muro di cinta, risalta nella sua bel- lezza la sua «testa bionda al sole» 17 . I suoi capelli sono simili alle «chiome dei nobili alberi gonfie di luce meridiana come quelle di una foresta tropicale» 18 . Micòl è come la protettrice, l’angelo del giardino che lei abbandona a fatica. Il narratore spiega difatti che Micòl, «con me fuori di casa e del giardino non ci sarebbe venuta mai» 19 .

È l’essere di questo giardino in cui aspetta il giovanotto per iniziarlo alla vita, alla verità, all’amore e alla morte, come se fosse la sua funzione, «come se il no- stro non fosse stato un incontro casuale, affatto fortuito» 20 .

Come Beatrice sul suo «piedistallo di purezza e di superiorità morale» 21 , Micòl idealizzata all’inizio porta l’eroe verso la rivelazione. Le incursioni e i «pelle- grinaggi» dei due giovanotti dentro il cuore del giardino, sempre più ritualiz- zati, corrispondono a un approfondimento dell’interiorità del personaggio.

Nella descrizione stessa del giardino, c’è difatti una configurazione metaforica dello spazio, attraverso un gioco di linee diritte (viali e corridoi) e soprattutto di cerchi che sottolineano concetti di ostacoli e implicano un progresso, una progressione. È solo in questo luogo di conoscenza, parabola narrativa e psico- logica, che il protagonista potrà realmente conoscersi.

L’enigmatica Micòl detiene le chiavi di un universo che si rivela ermetico. Sve- la al protagonista i segreti nascosti delle piante magiche attraverso una serie di lunghe passeggiate. Sa descrivere ogni albero con minuzia, col suo nome scien- tifico, anche se esso conserva sempre un valore metaforico: si tratta di una na- tura intellettualmente costruita, spesso un prolungamento della personalità di

17 Giorgio Bassani, op. cit., p. 38.

18 Ibidem, p. 36.

19 Ibidem, p. 110.

20 Ibidem, p. 38.

21 Ibidem, p. 199.

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Micòl e di ciò che rappresenta. È attraverso il suo reame vegetale che lei lo conduce verso la conoscenza dell’esistenza:

«In materia non sapevo nulla […]. ‘Possibile che tu sia così ignorante?’» 22 , e- sclamava l’ironica Micòl. «Come facevo a non capire, mio Dio, a non senti- re?» 23 .

Il sapere che ella gli propone supera tanto più la semplice dimensione botanica, quanto più la conoscenza delle piante, attraverso la loro denominazione preci- sa, si trasforma in allegoria dei primi giorni della Creazione in cui Dio, dopo aver creato il giardino dell’Eden per offrirlo ad Adamo, dà ad esso il compito di nominare l’universo che lo circonda. Come nell’Antico Testamento, il prin- cipio di conoscenza è allora strettamente legato a un discorso solenne, creativo,

«poetico» nel suo senso letterale, che Micòl fa da canto suo nel suo Eden per- sonale.

Perciò, nel giardino, l’eroe si sente felice perché scopre un microcosmo che gli permette di conoscersi meglio. Il percorso verso la conoscenza progredisce, per poi dirigersi verso la Casa: dopo aver attraversato il parco con la sua psico- pompa, il protagonista raggiunge il punto centrale dell’universo vegetale, la Magna Domus, in cima alla quale si trova la camera di Micòl, specie di vertice di una moderna piramide. Esperimenterà allora un’askesis simbolica, ma che falli- rà in parte: la ragazza rifiuta il suo amore. Egli vive allora una tragica caduta dal Paradiso e il giardino prende allora un senso totalmente diverso.

Un giardino infernale .

Dopo il rifiuto di Micòl, il giardino diventa paradiso perduto e inferno di dolo- re e di tristezza. I riferimenti al viaggio dantesco diventano allora evidenti, an- che se invertiti. Nel romanzo bassaniano, è difatti l’Inferno che succede al Pa- radiso. Dopo aver conosciuto le delizie dei «luoghi paradisiaci dai quali tuttora mi si escludeva» 24 , l’eroe fa la conoscenza del male e della morte, a partire dalla quale sarà tuttavia possibile rinascere alla vita, più responsabile, più maturo, con una reale presa di coscienza della verità. Così all’ascesa (fino alla camera di Micòl) succederà una lenta e inesorabile discesa, una catabasi necessaria, e al- trettanto conoscitiva. Il senso delle peregrinazioni del protagonista seguirà dunque il percorso di un «imbuto rovesciato», come nella Commedia. Il narrato- re evocherà del resto la «lenta, progressiva discesa nell’imbuto senza fondo del

22 Giorgio Bassani, op. cit., p. 85.

23 Ibidem, p. 85.

24 Ibidem, p. 198.

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Maelstrom» 25 , allorché «cacciato dal paradiso, aspettav[a] in silenzio di esservi riaccolto» 26 .

Già prima di penetrare nel Paradiso, il protagonista adolescente aveva provato, dall’alto delle mura di cinta del giardino, l’istintiva premonizione della «cadu- ta», la sensazione di essere sull’orlo di un «baratro», di un «abisso» 27 : un segno profetico della futura esclusione dal Paradiso. Inoltre, prima di penetrare nel giardino, aveva dovuto subire un vero e tenebroso descensus Averno, nelle vi- scere del giardino. Nell’infernale «budello sotterraneo» in cui aveva dovuto la- sciare la bicicletta, era passato da un metaforico stato di cecità − «come cieco, non vedevo nulla, assolutamente» 28 − alla scoperta delle prime angosce dell’amore: facendo penetrare il ragazzo nel cuore interno, sotterraneo, «infe- ro» del giardino, Micòl lo aveva trascinato in un itinerario iniziatico mirante a liberarlo dalla sua innocenza. Orbene, quel breve soggiorno ad inferos era stato l’inizio di una lenta e terribile iniziazione.

Del resto, i personaggi dell’Inferno sono fin dall’inizio ben presenti: il custode Perotti è un vero Caronte che accoglie il giovanotto in un regno fermo e immo- bile, dimostrando una «rabbiosa fedeltà da vecchio animale domestico» 29 ; ed è accompagnato dal suo Cerbero, Jor, il grosso cane della casa, imponente «come un enorme idolo granitico» 30 .

Quando Micòl-Beatrice se ne va per Venezia, perché anche lei ha bisogno per crescere di uscire dalle mura del giardino, tocca al Professore Ermanno guidare il protagonista attraverso il dedalo di quel reame, mezzo-Paradiso, mezzo- Inferno, purgatorio appunto, nei panni di un nuovo Virgilio.

Il giovane segue il vegliardo religiosamente in questo luogo quasi sacro, come Dante e Virgilio, «lui davanti e io dietro» 31 , scriverà Bassani riproducendo le parole dantesche, nella «mole gigantesca della magna domus […] del tutto buia» 32 .

Si noterà che, in seno a questo vasto giardino, lo spazio diventa tanto più in- quietante e suggestivo, infernale, quanto più è chiuso e ristretto: la Magna Do- mus, al centro del giardino, diventa anch’essa un labirinto nel quale è impossi- bile dirigersi senza aiuto. Centro del microcosmo botanico magico, questa di- mora si trasforma in luogo in cui il protagonista perde la sua ingenuità che lo

25 Ibidem, p. 192.

26 Ibidem, p. 199.

27 Ibidem, p. 41.

28 Ibidem, p. 45.

29 Giorgio Bassani, op. cit., p. 170.

30 Ibidem, p. 108.

31 Ibidem, p. 119.

32 Ibidem, p. 116.

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caratterizzava all’esterno, nei viali del giardino. Del resto, al momento del suo ingresso nella casa, il giardino-paradiso è come svanito; ormai, l’eroe focalizza il suo desiderio – di conoscenza o di amore? – verso la casa.

L’eroe non è più nel giardino paradisiaco in cui si lasciava solo guidare, limi- tandosi a subire le lezioni di Micòl, passivamente e mollemente, ingenuamente, da «Celestino», da «bambino». Inoltre, se si considera di nuovo il giardino dei Finzi-Contini come il Paradiso Terrestre, ci si rende conto che il dramma di Adamo cacciato dal Paradiso è rivissuto dall’eroe espulso dal reame di Micòl.

La similitudine si rafforza se si pensa che questa caduta dal Paradiso è legata alla trasgressione del divieto del padre, un padre, sia Dio sia il padre del narra- tore, conscio del pericolo che rappresenta il serpente o Eva peccatrice: Micòl.

Un’Eva che invita perfino il protagonista ad assaggiare un frutto sconosciuto – o proibito? :

«[Micòl] mi indicò […] una specie di alta scaffalatura di legno scuro, gremita di grossi frutti gialli e rotondi, più grossi delle arance e dei limoni, che prima d’allora non avevo mai veduto. […] Non ne avevo mai gustato? domandò poi, prendendone uno e offrendomelo da fiutare. Peccato che lei non avesse, lì, un coltello per tagliarlo in due ‘emisferi’».

Non a caso, il sapore è ambiguo:

«Il sapore del succo era ibrido: assomigliava a quello dell’arancia e a quello del limone, con, in più, una punta d’amaro del tutto particolare» 33 , senza dubbio prefigurazione dell’amarezza imminente…

Non è una coincidenza se Vittorina, che li sorprende nella connivenza amoro- sa, appare agli occhi del protagonista, con la sua «piccola testa da rettile» 34 . Gilbert Bosetti spiegava che «cedendo alla tentazione, il colpevole instaura la temporalità e rivela l’emergenza del dolore e l’ineluttabilità della morte» 35 . Tramite una Micòl tentatrice ma anche iniziatrice, il narratore penetra nella realtà, abbandonando la dolce eternità illusoria dell’infanzia, la purezza origi- nale di ogni individuo, la mitica innocenza dei bambini rappresentata dal giar- dino.

Micòl lo aveva iniziato alla scoperta di un vero paradiso ma, nello stesso tempo, aveva realizzato progressivamente la smitizzazione del paradiso d’innocenza nel quale regnava da divinità. Perde così gli attributi di Beatrice perché gli deve insegnare la vita vera, talvolta crudele, la morte e la nozione di scompar- sa. In tal senso si presenta sempre, metaforicamente, come un’esperienza mo- rale, una conversione.

33 Ibidem, p. 92.

34 Ibidem, p. 108

35 Gilbert Bosetti, op. cit., p. 56.

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Così, quando il protagonista torna dentro il giardino dopo un rifiuto definitivo, il luogo perde definitivamente il suo valore idilliaco, rassicurante; tornando una notte, di nascosto, in quell’universo una volta incantevole, vive una nuova esperienza infernale ma necessaria: il giardino gli offre, con una certa crudeltà, una totale desacralizzazione del Paradiso, una brutale rivelazione della realtà della vita e dell’Amore, poiché è proprio nel suo centro che pensa di scoprire Micòl e Malnate nella «Hütte», parola non a caso tedesca:

«Abbandonato il sentiero parallelo alla base del muro di cinta […] varcai il ponte sul Panfilio, quindi, piegai a sinistra […] il viso sempre rivolto a sini- stra». 36

«Sempre acquistando dal lato mancino», avrebbe detto Dante…

Il cammino attraverso il giardino si struttura dunque fino alla fine secondo una geometria precisa: il percorso iniziatico finisce sul centro dell’abisso, ma anche su una presa di coscienza che permette al protagonista di liberarsi dalle sue il- lusioni e dai suoi sogni.

La scalata simbolica del muro del giardino, per l’ultima volta, si presenta allora come il superamento di una tappa esistenziale: l’elemento spaziale segna la frontiera tra un prima, quello dell’ignoranza e della purezza, e di un dopo, ri- velatore ma tremendo. Qui, ancora, lo spazio simboleggia il tempo, e il giardi- no le diverse tappe di una presa di coscienza.

Un giardino scrigno prezioso metastorico.

Paradiso o Inferno, il giardino dei Finzi-Contini racchiude in sé, come abbiamo capito, una filosofia e una serie di valori che offrono al protagonista una più vasta conoscenza della realtà e di sé.

Pur essendo alla fine un luogo di sofferenza per l’eroe, rimane per i suoi occu- panti permanenti, ultimi superstiti di un mondo ebraico raffinato e fiero, un ul- timo rifugio agli orrori che si preparano all’esterno.

È del resto rigorosamente protetto da un interminabile muro di cinta che lo cir- conda e vieta ad ogni sguardo indiscreto di penetrare dentro. Quale un cerchio magico, la cinta di questo giardino-ghetto ha per funzione di allontanare sim- bolicamente le forze malefiche. Si ha così l’immagine di un luogo protettore e magico al contempo, all’interno del quale ci si ritrova deliziosamente tagliati dal mondo e dalle sue tragedie.

Anche quando la tempesta storica inizia, il giardino rimane un luogo sospeso, astorico, sereno, che si contrappone alla realtà minacciosa esterna, al di là delle mura del giardino. I Finzi-Contini oppongono al mondo ostile di fuori una vita

36 Giorgio Bassani, op. cit., pp. 236-237.

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di serra, protettrice, in cui coltivano metaforicamente le loro passioni: gli alberi e il passato, i libri e la memoria italo-ebraica.

Siamo allora nell’occhio del ciclone, ma il giardino, con le sue alte mura e la sua apparente serenità, è ancora una protezione 37 .

Grazie alle alte mura del loro reame maestoso di alberi, i Finzi-Contini sono fuori del tempo e dello spazio. Si pensi in particolare alla nobiltà del «gruppo solitario delle Washingtoniae graciles», «separate dal resto della vegetazione»,

«palme del deserto» che appaiono nella loro solitudine come veri «eremiti»:

sono la parabola di quegli ebrei isolati nel deserto, che attraversano dignitosa- mente un universo in cui oramai si trovano emarginati, soli con Dio 38 .

La fuga sarebbe possibile, ma solo all’interno è logico rimanere, perché solo nel microcosmo profondamente amato esistono le uniche realtà, i veri valori 39 . Simbolo di una tragica e aristocratica elezione, quale Bassani considera l’ebraicità, il loro soggiorno nel giardino, la loro immobilità in uno spazio im- mobile 40 diventa una scelta di dignità.

Eppure, perfino in seno al giardino, il loro destino è metaforicamente minaccia- to: mentre si avvicina l’inverno, Micòl contempla nostalgicamente, dalla sua finestra «le sommità barbute delle sue Washingtoniae graciles che la pioggia e il vento stavano battendo ‘indegnamente’: e chissà se le cure di Titta e Bepi […]

sarebbero bastate a preservarle nei mesi prossimi dalla morte per assideramen- to incombente ad ogni ritorno della brutta stagione, e finora, per fortuna, sem- pre evitata» 41 .

Si noterà anche qui l’umanizzazione implicita degli alberi del giardino: come loro, gli ebrei italiani erano riusciti, «finora, per fortuna», a sfuggire all’annientamento, alla morte, alla storia nemica, malgrado la «brutta stagio- ne».

Così, in questo giardino incantato caratterizzato da una dolce solitudine e da un modo di vita privilegiato, simile a quello dei loro illustri predecessori esten- si, i Finzi-Contini sono consapevoli di vivere gli ultimi giorni della loro storia e del loro splendore, della loro raffinatezza spirituale e intellettuale.

37 Gian Carlo Ferretti, Il giardino dei Finzi-Contini, in «Il Contemporaneo», marzo-aprile 1962.

38 Giorgio Bassani, op. cit., pp. 85-86.

39 Ibidem, p. 26.

40 Questa nozione di immobilità è stata trattata da Claudio Varese nel suo saggio «Gior- gio Bassani: spazio e tempo dal ‘Giardino dei Finzi-Contini’ a ‘L’Airone’» in AA.VV., Bassani e Ferrara, le intermittenze del cuore, a cura di Alessandra Chiappini e Gianni Ven- turi, Ferrara, Corbo Editore, 1995, pp. 17-28.

41 Giorgio Bassani, op. cit., p. 100.

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Ovviamente, il loro parco è un microcosmo che vive le sue ultime ore, l’ultima estate che i protagonisti si augurano di non vedere finire mai. Il crepuscolo e le notti che modificano il paesaggio del giardino sono del resto il riflesso della vi- ta intima dei personaggi, la proiezione della loro esperienza interiore, del loro proprio crepuscolo e della loro fine: il narratore si ricorderà per sempre, in un’ultima e straziante apparizione solenne e premonitoria, la crepuscolare fine del giorno e, «laggiù, ai margini della radura, le nere, dolenti figurette appaiate del professor Ermanno e della Signora Olga, reduci dalla pomeridiana passeg- giata nel parco» 42 .

Nella stessa logica poetica, il narratore descrive la madre di Micòl, durante la passeggiata quotidiana nel giardino-cimitero, «tutta in nero»: appartiene già al passato e sembra guidare una processione funerea, cullando letteralmente un mazzo di crisantemi, «in atto teneramente possessivo, quasi materno» 43 , come se tenesse in braccio il suo primogenito morto nella sua infanzia e di cui con- suma ancora il lutto.

Poco dopo, il lettore apprenderà che Alberto è anche lui condannato, come se il giardino nascondesse in sé il germe della malattia e della morte 44 , come se la famiglia fosse fin d’ora condannata all’estinzione con la morte dei suoi maschi.

Micòl e i suoi genitori, perfettamente lucidi sul loro avvenire, si rinchiudono nel loro magnifico ghetto vegetale. Come Emily Dickinson, la poetessa sulla quale Micòl ha scritto la tesi, la ragazza ha deciso di estraniarsi dal mondo, di non più vivere socialmente, per meglio sognare: isolandosi nella sua propria giovinezza, simboleggiata dal giardino, paradiso incantato circondato dalla di- struzione e dalla morte, vuole conservare intatta l’immagine incorruttibilmente pura di un periodo meraviglioso ma effimero. Vive in un giardino che è già un

«mitologema carcerario» 45 , una tomba, una necropoli ebraica. Il culto dei cimi- teri ebraici – sempre caratterizzati da tanti alberi – è del resto molto pregnante nella famiglia Finzi-Contini; sembra perfino essere uno degli elementi della lo- ro filosofia.

I Finzi-Contini sono difatti degli Etruschi moderni, isolati tra i loro contempo- ranei. Sono anche loro gente dolce e delicata, legata al culto degli antenati, ai ricordi della «gens». Basta ricordare l’amore che il Professore Ermanno mostra ai suoi alberi di cui vorrebbe significativamente offrire una parte al cimitero ebraico di Ferrara 46 . Infatti, il cimitero ha la stessa funzione del giardino. Sono

42 Ibidem, p. 191.

43 Giorgio Bassani, op. cit., p. 74.

44 Giusi Oddo De Stefanis, op. cit., pp. 132-133.

45 Vedi Gianni Venturi, «Bassani e il mito letterario di Ferrara» in Bassani e Ferrara, op.

cit., pp. 29-39.

46 Ibidem, p. 78.

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ambedue luoghi e ricettacoli di valori e della memoria ebraica, simboli di eter- nità. Del resto, si noterà che, quando Bassani descrive la necropoli etrusca di Cerveteri che gli ricorda l’universo dei Finzi-Contini, usa un registro e un liri- smo perfettamente consoni alle sue descrizioni del giardino di Micòl e dei suoi famigliari:

«L’eternità non doveva più sembrare un’illusione, una favola, una promessa da sacerdoti. Il futuro avrebbe stravolto il mondo a suo piacere. Lì, tuttavia, nel breve recinto sacro ai morti famigliari […] in quell’angolo di mondo difeso, ri- parato, privilegiato […] almeno lì nulla sarebbe mai potuto cambiare». 47

Il loro giardino rispecchia la stessa serenità spirituale, la simile maestà di fronte all’avversità. Permette di proteggere e preservare «il caro, il dolce, il pio passa- to» 48 :

«Per me non meno che per lei, più del presente contava il passato, più del pos- sesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può apparire che delusivo, banale, insufficiente […]. Era il ‘nostro’ vizio questo: d’andare avanti con le teste sempre voltate all’indietro». 49

Se Micòl rifiuta di concedersi al protagonista è perché appartiene a un universo già inghiottito, ma nel quale il protagonista farebbe bene a non penetrare. Il giardino rappresenta un dolce passato – ma di morte – di cui Bassani deve libe- rarsi: alla fine del romanzo, la rinuncia del protagonista a Micòl e al suo giar- dino corrisponde al suo ingresso nella vera vita, con tutto il peso di dolore e di responsabilità che comporta, con una nuova consapevolezza che il mondo pro- tetto e incantato del giardino dei Finzi-Contini non regge che su valori ormai scomparsi, che i discorsi di Micòl sono «le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire» 50 . Anche per questo, il romanzo è così nostalgico.

Alla fine, «l’età fiorita» e il tempo del ricordo fanno spazio all’aggressione dell’intimo e a un brusco ritorno della storia mortifera, alla realtà crudele della guerra: il giardino viene distrutto, con i suoi abitanti, gli alberi, in modo defini- tivo e violento, come per gli ebrei deportati: «sono stati abbattuti per ricavarne legna da ardere» 51 , «sacrificati per farne legna da stufe» 52 . Tutti saranno brucia- ti…

A Bassani non resta che offrire ai Finzi-Contini, emblemi di una comunità scomparsa, una nuova tomba, monumentale anch’essa: il giardino della memo-

47 Ibidem, p. 7.

48 Ibidem, p. 241.

49 Ibidem, pp. 181-182.

50 Ibidem, p. 241.

51 Ibidem, p. 12.

52 Ibidem, p. 35.

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ria, un museo naturale, un’isola del passato che, con il suo carattere concreto ed estetico, si oppone all’oblio e alla scomparsa definitiva. Grazie al giardino, il tempo e più precisamente il passato sono fissati in una forma plastica, quasi pittorica ed architettonica. Dato che i loro abitanti non hanno avuto sepoltura in seguito alla loro deportazione – «Chissà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi» 53 − Bassani gliene offre una: l’eternità del giardino, immagine d’immutabilità.

Nell’idilliaca cornice di questo luogo protettore, i Finzi-Contini riappaiono al- lora, in modo eterno, come eleganti statue in un giardino incantato. Lui Bassa- ni, superstite, deve loro almeno questo ultimo favore, questo atto d’amore, co- me a se stesso e alla sua giovinezza a cui cerca di dare un’ultima dimensione d’eternità.

53 Ibidem, p. 8.

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