L'industrializzazione in Italia
L'industrializzazione del nostro paese fu lenta e difficile.
Fino al 1861 l'Italia era rimasta divisa in molti Stati. Quasi tutti difendevano i propri prodotti con un rigido sistema doganale, facendo pagare forti dazi a tutte le merci prodotte da altri che entravano nel proprio territorio. Ciascun produttore poteva contare solo sulle poche vendite realizzate nel piccolo Stato in cui operava e quindi non aveva modo di svilupparsi. Un nuovo ceto sociale appare: il proletariato.
Altre difficoltà erano di ordine naturale. L'Italia non aveva giacimenti di ferro o di carbone, come l'Inghilterra, il Belgio, la Francia o la Germania. Per di più l'ambiente geografico rendeva difficili le comunicazioni.
Le Alpi ostacolavano i collegamenti con l'Europa, mentre all'interno la catena degli Appennini isolava intere regioni.
La costruzione delle strade o delle ferrovie era quindi particolarmente difficile e costosa:
occorreva scavare gallerie o realizzare ponti per superare colline, montagne e burroni.
Ancora nei primi anni del Novecento i trasporti commerciali avvenivano in gran parte via mare.
Fecero eccezione le regioni dell'Italia settentrionale, come il Piemonte e la Lombardia, dove era iniziata nel primo Ottocento una certa industrializzazione.
La manifattura della seta fu all' inizio l'attività più importante: le vendite all' estero di seta grezza e semilavorata rappresentarono la più rilevante voce di esportazione del commercio italiano fino alla prima guerra mondiale. I profitti che vennero realizzati con questa attività fornirono i capitali che servirono per sviluppare lanifici, cotonifici, industrie siderurgiche e meccaniche.
Nella seconda metà dell'Ottocento, una volta raggiunta l'unità politica, l'Italia pote in parte colmare il distacco con i paesi più industrializzati facendo soprattutto leva sulla sua tradizione di creatività e di cultura, anche scientifica e tecnica.